La censura è una pratica che riguarda tutti i mezzi di comunicazione, fin dalla loro nascita. Dopo varie norme per regolarizzarla, adeguati diritti e libertà sembrano ora garantiti. Recenti episodi, come le polemiche a seguito di alcune affermazioni degli artisti durante Sanremo 2024, hanno riacceso il dibattito intorno a questo tema tanto scomodo, puntando i riflettori sulla RAI. Cerchiamo allora di dare un quadro chiaro di come questo fenomeno si sia evoluto e delle sue criticità.
L’articolo 21
L’articolo 21 della Costituzione italiana garantisce il diritto alla libertà di manifestazione del pensiero sui vari strumenti di comunicazione, un diritto inviolabile. Questa affermazione però appare un po’ stridente: abbiamo la percezione che non sia esattamente così, riusciamo facilmente a trovare degli esempi che contestino le parole di questo articolo, episodi in cui questo diritto è stato negato.
Sono stati commessi dei reati dunque? Questo diritto è stato violato? Se leggiamo l’intero articolo costituzionale, non soffermandoci solo sul primo comma, capiamo che non è esattamente così:
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione […]. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria […]. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.”
Soffermiamoci sull’ultimo comma: “vietate […] le manifestazioni contrarie al buon costume”. È qui che troviamo il cavillo, la giustificazione per alcuni episodi di censura. Di cosa si tratta? Secondo la Treccani, “Comportamento conforme all’orientamento della morale collettiva corrente, spec. con riferimento ai costumi sessuali; ormai raro nel senso più generico di buone usanze”.
È dunque un concetto giuridico indeterminato, il cui significato dipende dagli interpreti. Un vero e proprio limite esplicito alla libertà di manifestazione del pensiero, del quale bisogna tenere conto. Non è qualcosa di fisso nel tempo, si evolve in base al sentire comune di cosa è definito “osceno”; perciò, influisce sulla censura.
Non è allora un caso che le trasmissioni RAI, canale nazionale dedito al servizio pubblico, siano più soggette alla censura. Ci sono casi in cui questo concetto è perfettamente applicabile, come il tema della figura della donna o quello che riguarda la comunità LGBTQ+; altri, di carattere politico, in cui non basta di certo questo a giustificare la censura, casi che richiedono un’analisi più approfondita.
Censura sulle donne
Analizzando i casi di censura RAI sulla figura della donna capiamo come nel tempo si sia raggiunta una maggiore libertà. In una fase iniziale, il tema del corpo femminile in televisione era molto scomodo: i vestiti indossati dovevano essere sobri, poco vistosi, non si potevano intravedere neppure le gambe.
Le ballerine, infatti, erano costrette a indossare calzamaglie per potersi esibire, come nel caso delle gemelle Kessler e del loro corpo di ballo durante Giardino d’inverno, nel 1954, che danzarono con mutandoni neri coprenti.
Emblematico è anche il caso di Alba Arnova che durante un’esibizione nel varietà La piazzetta (1961) indossava una calzamaglia di colore rosa che la fece apparire svestita agli occhi dei telespettatori. Il programma venne addirittura interrotto e la ballerina allontanata dalla televisione.
Adesso, invece, non c’è più questa rigidità. Rispetto ad altri canali televisivi però, in RAI continuano a esserci regole da seguire: il motivo è che si tratta di un’emittente nazionale. Ciò comporta che ci si impegni non solo nel garantire trasparenza e pluralità dell’informazione, ma anche che siano rispettati dei valori educativi, tra i quali il rispetto per l’immagine del corpo della donna . Non si tratta più di censura, ma piuttosto di una forma di riguardo.
Censura LGBTQ+
Anche nel caso della censura LGBTQ+ negli anni ci sono stati dei miglioramenti. Questo tema ci è ormai molto familiare, tanto che non è raro vedere in film, serie TV e televisione personaggi con diversi orientamenti sessuali, scene di baci ed effusioni che superino la coppia eterosessuale.
Le lotte, l’informazione, la conoscenza sociale di questa tematica hanno fatto sì che episodi come la censura della canzone degli Equipe 84 del 1965, Prima di cominciare, non accadessero più: bastarono le voci acute e la performance faccia a faccia dei cantanti Maurizio Vandelli e Franco Ceccarelli a definirla un’esibizione gay.
La battaglia per i diritti LGBTQ+ si sta ancora combattendo e inizia a dare i suoi frutti solo di recente. Ancora nel 2005 nei Segreti di Brokeback Mountain hanno subito la censura alcune parti centrali: alcuni baci tra i due protagonisti e la principale scena di sesso, anche se poco esplicita.
Non solo le scene ritenute più esplicite, ma non mancò la censura al matrimonio gay. Nel 2011 una puntata della serie in onda su Rai 1 Un ciclone in convento non venne trasmessa per via della cerimonia all’interno di una chiesa cattolica.
Il tema dei matrimoni omosessuali era molto acceso in quegli anni; perciò, per evitare polemiche, si preferì eliminarlo dal canale nazionale. Nonostante in RAI questo tema sia ancora trattato con particolari accortezze, non mancano esempi positivi, come la recente serie TV Un professore, in cui la prima stagione tratta principalmente la storia di un adolescente omosessuale e del suo coming out.
Il caso di Dario Fo e Franca Rame
In questi due casi abbiamo visto come è il buon costume a giustificare l’utilizzo della censura. Sia nel caso delle donne, che nel caso della comunità LGBTQ+, si fa attenzione alla sensibilità dei telespettatori, alle loro credenze e convinzioni. Non si può dire lo stesso per altri tipi di censura, in cui ad esempio possono essere messe a tacere opinioni considerate scomode.
Un episodio importante riguarda gli attori Dario Fo e Franca Rame. Durante il varietà Canzonissima i due stavano eseguendo delle scenette comiche che, da regolamento, prima di andare in onda dovevano essere approvate dalla commissione. Nel 1962 hanno messo in scena un dialoghetto sul tema delle morti bianche, si ironizzava sulla mancata attenzione nel seguire le norme di sicurezza sul lavoro.
Un altro sketch ha fatto scalpore, stavolta riguardava la mafia: un dialogo tra una donna sicula e un giornalista in cui emergeva il problema delle morti per mano dell’organizzazione criminale. I testi delle scenette furono approvati dalla commissione, nulla andava contro le regole televisive. Allora, qual è stato il problema? Una risposta a pressioni esterne.
In quel periodo, i due temi erano decisamente scomodi all’interno del dibattito socio-politico, non erano mai stati trattati in televisione, tantomeno durante un programma di largo intrattenimento. Le reazioni furono forti, varie e contrastanti tra loro.
I giornali ne parlarono, le proteste sindacali si moltiplicarono e inasprirono, il fenomeno ancora sconosciuto della mafia ha scatenato un grande scandalo politico e una serie di minacce nei confronti degli attori. A tutto questo la RAI ha risposto aumentando la censura sui testi della coppia che, non accettando i limiti imposti, si rifiutò una sera di salire sul palco. Vennero cancellati dalla scena televisiva.
L’Editto bulgaro: l’influenza della politica
Questo un caso in cui il tentativo di censura è andato oltre certi limiti. Non si trattava di seguire delle linee editoriali, né un tentativo di evitare agitazioni sociali. Qui la pretesa arrivava dal capo di governo stesso, e le motivazioni risultano effimere. Il 18 aprile 2002 il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi richiedeva pubblicamente, durante una conferenza stampa a Sofia, l’allontanamento di tre giornalisti dai canali RAI:
L’uso che Biagi, Santoro […] – come si chiama quell’altro – […] e Luttazzi hanno fatto della televisione pubblica, pagata con i soldi di tutti, è un uso criminoso. E io credo che sia un preciso dovere della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga.
Silvio Berlusconi
Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi gli accusati. Il motivo? I tre conducevano programmi molto seguiti, rispettivamente Il Fatto, Sciuscià e Satyricon, dei talkshow politici in onda sulla Rai in seconda serata.
Iniziò tutto da Luttazzi: nel 2001, prima delle votazioni per le elezioni, intervistò il giornalista Marco Travaglio, discutendo con lui sull’origine della ricchezza del futuro premier. Anche Biagi e Santoro successivamente non risparmiarono commenti, inchieste e reportage contro la destra al potere.
Già a capo di una buona fetta dei programmi televisivi, uomo politico, abile imprenditore e grande oratore, Berlusconi non accettava lesioni alla propria immagine. Nel giro di pochi mesi dopo l’editto bulgaro, a seguito di procedimenti disciplinari e processi, i tre vennero sostituiti con personalità più conformi ai valori dei vertici del governo.
Finalmente tornerà ad essere una tv di tutti, oggettiva, non partitica e non faziosa come invece è stata con l’occupazione militare della Rai da parte della sinistra.
Silvio Berlusconi
Una falsa promessa, una mossa che cambiò le sorti della RAI.
Imparare dagli errori: i casi di Sanremo
La musica non si limita all’intrattenimento: è una forma d’arte e in quanto tale veicola dei messaggi ben precisi. Gli artisti utilizzano le proprie canzoni come strumenti per dar spazio a pensieri, valori e temi che ritengono importanti. Il palco di Sanremo non è che un’occasione perfetta per fornire all’ampio pubblico un certo tipo di idee.
Negli ultimi anni sono stati vari gli episodi in cui gli artisti hanno deciso di portare sul palco dell’Ariston i grandi temi politico-sociali del periodo. Riescono a farlo non solo con le parole, ma anche attraverso look o accessori: fiori che riprendono i colori della bandiera ucraina, l’abbigliamento insolito che trasporta una simbologia, le matite come simbolo di democrazia per promuovere il diritto di voto. In tutti questi casi non vi sono stati problemi di censura: i messaggi che volevano essere lanciati erano in linea con il pensiero politico-governativo. Altri, invece, sono stati accolti diversamente.
A partire da Ghali, che dopo la performance sul tema del conflitto israelo-palestinese ha deciso di pronunciarsi con la frase “Stop al genocidio”. E poi Dargen D’Amico, che a seguito dell’esibizione che verteva sul tema dell’immigrazione ha scelto di dedicare una frase alla brutalità della guerra in generale, richiedendo un “cessate il fuoco”. In risposta a queste dichiarazioni c’è stata la reazione indignata dell’ambasciatore israeliano in Italia Alon Bar, il quale ha percepito questi eventi come mancanza di rispetto nei confronti delle vittime della strage del 7 ottobre.
La RAI ha cercato subito di rimediare: tagliata la frase di Ghali nella versione caricata sul canale streaming RAI Play; nei giorni successivi sui canali Rai gli artisti non hanno trovato spazio a dichiarazioni politicamente impattanti, come l’esempio di Dargen D’Amico a Domenica In. Come per il caso Dario Fo-Franca Rame, un tema politicamente scomodo e che rischia di sollevare polemiche è immediatamente censurato.
Tanti tipi di censura: la modifica alla legge sulla Par Condicio
Il problema della censura, dunque, continua ad essere centrale, in televisione e non solo. Nonostante i casi siano diversi, per modalità e motivazioni, si tratta di una dinamica che ritroviamo in tutti gli anni di storia della RAI, fino ai giorni nostri. Che si tratti di rispetto del buoncostume, o che riguardi più la politica, sembra che la censura faccia necessariamente parte dei mezzi di comunicazione, ancor di più all’interno della televisione pubblica.
Nulla sembra essere cambiato, e rivediamo nel caso di Sanremo le stesse dinamiche del 1960; e le cose ora stanno solo peggiorando. La politica sta cercando sempre più di insidiarsi all’interno della sfera televisiva, calpestando il diritto a una buona informazione che dovrebbe essere garantito dalla RAI.
L’attuale governo Meloni ha deciso di modificare la legge sulla Par Condicio (che garantisce pari visibilità mediatica a tutti i partiti di governo) con l’obiettivo di dare maggiore visibilità ai rappresentanti del governo. Non solo, lo scopo è anche quello di non intralciare in alcun modo le figure politiche in questione: possibilità di parlare nei talk show senza limiti di tempo e senza contraddittorio e comizi politici trasmessi integralmente su Rai News 24.
La RAI diventerebbe così strumento politico, i partiti subdolamente censurati togliendo loro lo stesso spazio di visibilità mediatica. Evento che ci ricorda l’editto bulgaro sopra citato, con una differenza: non si tratta più di una censura volta a salvaguardare l’immagine del soggetto politico, ma è una mossa propagandistica che ha come obiettivo oscurare una parte della scena politica.
Nulla è cambiato, e con questo l’intero articolo 21 non può che lasciare più domande che certezze: se esiste, perché non lo si rispetta?
Valeria Zaffora
(In copertina Silvio Berlusconi ed Enzo Biagi, da Wikipedia)