Ieri, 10 aprile 2024, il Parlamento Europeo ha approvato il nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo. Nonostante l’obiettivo dichiarato della riforma sia facilitare l’accoglienza dei richiedenti asilo e favorire il rimpatrio di coloro che non hanno il diritto allo status di rifugiati, molti osservatori credono che le modifiche portino solo al rischio di maggiori violazioni dei diritti umani. La decisione passa al Consiglio per il voto finale, e dovrà infine essere recepita dai 27 Stati Membri – ma si tratta di una mera formalità.
Le origini
Nel 2015 l’Unione Europea sembrava sull’orlo del collasso interno, a causa dell’arrivo di quasi 1 milione di profughi ai suoi confini e sui suoi territori. Gran parte di loro arrivava dalla Siria, ma le nazionalità di origine erano – e sono tuttora – molto diversificate. Quel milione era solo una piccola parte dei migranti in movimento, che per la maggior parte rimangono nel loro Paese d’origine o nei Paesi confinanti.
Spaventata da quell’ondata di arrivi, l’Unione Europea ha iniziato a costruire la sua “fortezza”, con numerosi Stati Membri che hanno avviato la costruzione di barriere, soprattutto alle frontiere più esterne.
Nove anni dopo, a conclusione di un decennio di discussioni sulle modalità d’ingresso e le regole comuni per l’accoglienza, l’adozione del nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo viene accolto soprattutto dal centro destra, mentre è fortemente criticato dagli osservatori e dalle ONG internazionali come un passo indietro che rischia di portare solo a maggiori sofferenze umane.
Il voto a Bruxelles è stato infatti accompagnato da proteste e manifestazioni, al grido di “Questo regolamento uccide: votate no”. Tuttavia, è molto probabile che il Patto continui la sua corsa fino all’adozione a livello nazionale. La riforma è infatti in linea con il generale orientamento verso destra che l’Unione Europea sta assumendo.
Il precedente e la riforma
La riforma mira a modificare il Regolamento di Dublino, firmato nel 1990 e aggiornato l’ultima volta nel 2013, che stabilisce “i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide”.
Secondo il Regolamento, il Paese di primo ingresso è quello competente per l’esame delle domande di asilo. In parole semplici, un profugo che approda su territorio italiano deve porgere domanda di asilo in Italia, senza avere la possibilità di spostarsi in altri Paesi europei e scegliere quello in cui desidera stabilirsi.
Questo meccanismo va a gravare soprattutto su alcuni Paesi, quelli ai confini esterni dell’Unione Europea, come Italia e Grecia. La stragrande maggioranza dei migranti arriva infatti su questi territori, i cui governi devono quindi occuparsi di elaborare volumi molto elevati di domande.
Il nuovo pacchetto di norme vuole riformare l’attuale sistema europeo di gestione delle politiche migratorie e della legge europea sull’asilo, in gran parte basato sul Regolamento di Dublino. Ecco i punti principali.
Normativa sulla gestione dell’asilo e della migrazione
È il cuore della riforma, che dovrebbe andare a sostituire direttamente il Regolamento Dublino. L’obiettivo è quello di alleviare la pressione migratoria sugli Stati Membri di frontiera, per distribuire meglio le domande di asilo su tutto il territorio dell’Unione.
La normativa introduce dei meccanismi di solidarietà, che prevedono che gli Stati Membri non di primo ingresso possano farsi carico della loro quota di responsabilità scegliendo tra due opzioni: ricollocare i richiedenti asilo nel loro territorio o versare contributi finanziari ai Paesi di primo ingresso.
Il contribuito di ogni Stato Membro verrà calcolato sulla base del PIL (50%) e della dimensione della popolazione (50%). Ogni Paese potrà decidere come distribuire il contributo, scegliendo solo una delle due opzioni o combinandole. Il parametro generale da seguire è che, in un qualsiasi momento e in tutta l’UE, ci siano almeno 30.000 persone sottoposte a procedura di frontiera. Ciò alleggerisce il peso delle richieste di asilo per procedura ordinaria.
Regolamento sulla procedura di asilo
Questa parte del Patto stabilisce una procedura comune europea (invece che a livello nazionale com’è stato finora) per la concessione o la revoca della protezione internazionale. A questo fine sono previste norme per accelerare il trattamento delle domande di asilo, grazie a procedure di frontiera che comprendono:
- una più rapida valutazione delle domande alle frontiere esterne, fino a sei mesi per una prima decisione;
- termini più brevi per l’esame di domande infondate o inammissibili;
- rimpatri più rapidi ed efficaci, entro le 12 settimane dopo il respingimento della domanda;
- obbligo di screening immediato alla frontiera per alcune categorie di migranti;
- la costruzione di centri di accoglienza alle frontiere, con una capacità adeguata fissata a 30 mila posti.
Regolamento sulle situazioni di crisi
Il Patto stabilisce anche norme procedurali per garantire una rapida attivazione dei meccanismi di solidarietà in casi eccezionali e situazioni di crisi. In particolare sono previste misure particolari a sostegno degli Stati che si trovano ad affrontare un afflusso eccezionale di arrivi, con possibili deroghe temporanee dalle procedure standard di asilo.
Lo Stato Membro che vede saturato il suo sistema di accoglienza potrà presentare una richiesta alla Commissione, che stabilità se si tratta di una situazione di crisi. Verranno poi decise le misure straordinarie e le categorie interessate nel contesto della gestione della crisi.
Riforma Regolamento Eurodac e Regolamento di screening
L’obiettivo di questi regolamenti è facilitare l’identificazione di chi arriva sul territorio europeo. Dai sei anni di età, in fase di identificazione le autorità potranno registrare anche immagini del volto e impronte digitali.
Chi non soddisfa i requisiti di ingresso o è ritenuto un potenziale pericolo potrà essere sottoposto a una procedura di screening pre-ingresso, che comprende identificazione, registrazione dei dati biometrici, e controlli sanitari e di sicurezza.
I dati verranno raccolti in un database comune che unificherà le informazioni al fine di rilevare movimenti non autorizzati. Ogni Paese avrà un meccanismo di monitoraggio indipendente per garantire il rispetto dei diritti fondamentali.
A supporto della riforma
“Potremo tutelare meglio le nostre frontiere esterne, i vulnerabili e i rifugiati, rimpatriando rapidamente coloro che non hanno diritto a restare”, ha dichiarato la Commissaria europea agli Affari Interni, Ylva Johansson. “Abbiamo creato un solido quadro legislativo su come gestire la migrazione e l’asilo nell’UE. Un equilibrio tra solidarietà e responsabilità: questa è la via europea”, ha commentato la Presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola.
I difensori del nuovo Patto sostengono che si tratta di un’alternativa all’esternalizzazione del fenomeno migratorio. In parole semplici, le nuove misure andrebbero ad evitare che Paesi terzi o attori non statali ostili utilizzino i migranti per destabilizzare l’Unione Europea.
Alcuni esempi di Paesi che strumentalizzano i migranti sono la Turchia e gli Stati del Nord Africa, i cui governi fanno pressione sull’Unione limitando l’afflusso di migranti in cambio di finanziamenti o altri benefici. La realtà del Patto sembra però essere tutt’altra.
Le critiche
Secondo Amnesty International, l’Unione Europea ha dimostrato l’incapacità di assumere una leadership globale in campo migratorio: l’accordo non aiuta gli individui in difficoltà, ma amplifica i rischi di violazione dei diritti umani. Invece che facilitare la procedura di accoglienza, infatti, la riforma rende più rigorosa la gestione delle frontiere e i processi di asilo.
L’accelerazione delle procedure di asilo alle frontiere e i rigidi sistemi di screening rischiano di portare a un aumento non solo dei rimpatri, ma anche delle violazioni dei diritti umani. Ad esempio, le procedure di frontiera e gli screening pre-ingresso si svolgeranno spesso in stato di detenzione.
L’uso di queste misure riduce inoltre il numero di persone che avrà accesso alla procedura di asilo: le loro domande possono essere respinte ancora prima che vengano presentate. La riforma riduce anche il diritto a un ricorso effettivo, abbreviando i termini per presentarlo ed eliminando l’effetto sospensivo automatico del ricorso per molte categorie di persone e decisioni. Ciò significa che le persone verranno rimpatriate ancora prima che il loro ricorso venga ascoltato.
Ritmi più serrati e controlli più stringenti tenderanno a ignorare le esigenze di protezione particolari, preferendo procedure cumulative che tenderanno fin dall’inizio alla negazione del riconoscimento del diritto alla protezione internazionale.
Regimi derogatori per situazioni di crisi e “forza maggiore” limiteranno le possibilità di accesso alla procedura ordinaria di richiesta di asilo anche nei pochi casi in cui sarebbe prevista. Le ONG avanzano anche dubbi sulla realistica possibilità di attuazione del piano sui singoli territori, e sull’affidabilità dei controlli di monitoraggio nazionali.
La Fortezza Europa
Ma il vero punto critico del Patto è che esso mira ad aggiustare i difetti del sistema di accoglienza europeo senza affrontarne le cause profonde. Se il Regolamento di Dublino ha sicuramente i suoi limiti, la questione non è tanto la cornice legale, ma il fatto che non riesce a prevenire che le persone cerchino comunque di spostarsi illegalmente all’interno dell’Unione. La riforma non fa che introdurre nuove tecniche di esternalizzazione, camuffate sotto i meccanismi di solidarietà.
L’unica soluzione per evitare spostamenti interni all’UE proposta dalla riforma sembra essere il rimpatrio verso il Paese d’origine o Paesi terzi. A questo fine, alcuni cambiamenti giuridici legalizzeranno gli Stati Membri che mandano le persone altrove, anche se la destinazione non può essere garantita come sicura.
Si tratta di un ampliamento della portata dell’alternativa di protezione interna, un concetto integrato nel diritto europeo ma non parte del diritto internazionale. Quest’ultimo si basa infatti sul principio di non-respingimento, che vieta il rimpatrio dei richiedenti asilo verso Paesi che non sono considerati sicuri.
Ecco la Fortezza Europa. Arrivare in territorio europeo per vie legali è sempre più difficile, e ciò va a favorire i due “nemici” dell’Unione: i trafficanti e gli attori che strumentalizzano i flussi migratori per ricattare Bruxelles. Tutto ciò in vista di un futuro che ha in serbo un aumento costante dei flussi migratori, soprattutto causati dalla crisi climatica. Nei prossimi anni sono previste decine di milioni di profughi climatici: non sarà un sistema più rigido a risolvere il problema.