Nelle scorse settimane è andata in onda su Rai 1 la miniserie “La Storia” di Francesca Archibugi, basata sull’omonimo romanzo di Elsa Morante. Se consideriamo l’attività di epurazione di cui è stata oggetto la Rai nei mesi scorsi, la presenza di questo sceneggiato nel palinsesto risulta veramente in controtendenza. Ma vediamo i motivi.
Una serie basata su un romanzo
Il romanzo La Storia, quando uscì nel 1974, non ottenne il favore della critica, che lo giudicò troppo sentimentale e poco politico – insomma, poco più di un romanzo rosa. In prima fila tra i detrattori c’era Pier Paolo Pasolini, che non risparmiava nessuno, nemmeno le amiche.
Nonostante questo, il pubblico accolse l’opera con entusiasmo, tanto che ne furono vendute, solo nel primo anno di pubblicazione, più di 800mila copie.
Una delle principali critiche riguardava il personaggio di Nino, il figlio maggiore della protagonista Ida, che da un momento all’altro della narrazione, come si dice, volta gabbana, passando dalle file dei più convinti fascisti a quelle dei partigiani. Questo cambiamento apparì molto romantico e troppo poco realistico.
Effettivamente La Storia è un romanzo che pone al centro le emozioni e gli stati d’animo dei personaggi, descritti con minuziosità di particolari, ma non solo. L’ambientazione, collocata durante la Seconda Guerra Mondiale e nell’immediato Dopoguerra, induce necessariamente il lettore a una riflessione sulla guerra, ancora oggi attualissima.
Di cosa parla La Storia
La serie, costruita in maniera fedele al libro, è ambientata a Roma e narra la storia di Ida (Jasmine Trinca), una maestra elementare, madre di due figli maschi: Nino (Francesco Zenga) e Useppe (Mattia Basciani).
Nino è un ragazzo brillante, furbo e fomentato dalla guerra, in cui è coinvolto in prima persona, non senza suscitare le preoccupazioni della madre. Useppe invece, è il figlio non previsto, il cui padre è un soldato tedesco che, durante l’occupazione di Roma del 1943, abusa di Ida.
Il bambino, nonostante le circostanze nefaste del concepimento, si rivelerà per la madre una grande risorsa. Amato e accettato da tutti i personaggi senza troppe domande, quel piccoletto, spuntato un giorno quasi all’improvviso, rappresenta la vita che continua, nonostante tutto. Useppe è la dimostrazione tangibile che la bellezza resiste, anche in un presente completamente dilaniato dalla guerra.
Allo spettatore viene da chiedersi cosa ne sarebbe stato di Ida, se Useppe non fosse nato, e come avrebbe vissuto gli anni della guerra senza di lui, un vero e proprio raggio di sole nella devastazione. Per Useppe invece è diverso: un bambino non dovrebbe mai nascere durante un conflitto, tanto meno assistere alle violenze di questo periodo.
Il ragazzo è dapprima intuisce la guerra da piccolo, grazie alle storie degli adulti, poi la conosce da solo, attraverso i propri occhi. Questi ultimi, così colmi di incredulità e sofferenza, sono quelli di tutti i bambini costretti, ieri come oggi, a vivere sotto le bombe. Ma la sua sofferenza, a volte dissimulata dietro alla gioia innocente di quell’età, si manifesta anche fisicamente, investendolo di forti crisi epilettiche.
La storia e le storie
La Storia di Morante ci parla di come la Storia con la S maiuscola, quella che viene riportata nei libri scolastici, si scontri con la storia delle persone comuni, soppiantata dagli eventi ufficiali. Infatti, sono le persone come Ida che più di tutte subiscono le conseguenze delle guerre, anche a lungo termine.
Come gli affluenti si inseriscono nel corso d’acqua principale, la vicenda di Ida, così piena di amore e di sofferenza, viene spazzata via dagli avvenimenti storici, gli unici di cui sembra valga la pena conservare memoria.
Quintiliano sosteneva che “historia magistra vitae” noi oggi sappiamo che la storia non ci ha insegnato e continua a non insegnarci proprio nulla. “Per non dimenticare” leggiamo ogni 27 gennaio per la Giornata della Memoria, eppure abbiamo dimenticato tutto.
Per quanto cerchiamo di dissimularlo, chiamandoli con altri nomi, i campi di concentramento abbiamo continuato a costruirli anche dopo la Seconda Guerra Mondiale e abbiamo continuato a chiuderci dentro le persone. E sì, anche in Occidente, anche se ci riempiamo la bocca di parole come democrazia e civiltà.
Le idee che permeavano il regime fascista, nonostante quest’ultimo sia stato destituito, continuano ad esistere in ogni forma di razzismo e a diffondersi come un morbo così radicato da risultare inestirpabile. Oggi la minaccia di un nuovo fascismo per alcuni è tangibile, tanto da riscontrarsi nelle scelte, nelle parole o nell’assenze di alcuni politici.
D’altronde non possiamo sorprenderci, perché eravamo stati avvisati. Il filosofo bulgaro Tzvetan Todorov nel suo saggio di introduzione a I sommersi e i salvati (1986) di Primo Levi scriveva:
Non è dunque necessario che siano presenti tutte le caratteristiche tipiche dello Stato totalitario perché ricompaiano alcune delle sue pratiche. Levi lo sa bene: la violenza illegittima (se non “inutile”) non è prerogativa solo dei regimi nazisti e comunisti, si incontra anche negli Stati autoritari del Terzo Mondo e anche nelle democrazie parlamentari. Basta soltanto che le voci dei capi politici la presentino come necessaria […] tali scelte sono sempre fatte in nome della “difesa della democrazia” o del “male minore”.
Le contraddizioni della televisione italiana di oggi
La Storia è un prodotto che non ci aspetteremmo di vedere in prima serata su Rai 1, considerato il suo forte messaggio antibellico e la messa in discussione di quel nazionalismo che attualmente pervade la politica italiana.
Ma anche la televisione italiana è cambiata dall’insediamento del governo Meloni. Progressivamente nel canale si è assistito a un allontanamento di coloro che sono considerati “i nemici”, “gli oppositori” dell’attuale governance. È il caso dello storico programma di Fabio Fazio, Che tempo che fa, trasferito da Rai 3 al Nove. Oppure ancora, la scelta di non mandare in onda su Rai 3 il programma Insider, faccia a faccia con il crimine di Roberto Saviano.
Ma a questa tendenza a eliminare o criticare alcuni programmi si contrappone la messa in onda di trasmissioni come Mameli – il ragazzo che sognò l’Italia, che veicolano un’esplicita volontà di esaltare il nostro Paese e le nostre origini.
D’altronde trasmettere una serie apertamente contro la guerra come La Storia appare in contraddizione con l’incapacità di condannare apertamente il regime fascista e con il persistente finanziamento delle attuali guerre. Infatti, sono recenti i fatti di Acca Larenzia, dove più di mille persone si sono radunate per commemorare l’omonima strage, esibendo il saluto romano al grido di “presente”.
Nel dibattito politico, ogni volta che succedono episodi come questi, si riaffaccia la necessità di sciogliere le organizzazioni di stampo neofascista, avallando i propositi della Costituzione. Ma poi anche se tutti condannano l’accaduto nessuno le scioglie veramente. Infatti, dopo questi eventi, si è tornati a discutere la sentenza della Cassazione del 2016, che stabilì che il saluto romano, se praticato in contesti privati e commemorativi, non si può considerare reato.
Cosa ci insegna La Storia di Morante
Nella situazione descritta ne La Storia di Morante possiamo trovare delle analogie con le oltre 52 guerre che sono in atto oggi sotto il nostro stesso cielo. Mentre stiamo seduti sul nostro comodo divano a guardare questa serie, abbiamo il compito di riflettere su come quelle immagini, per quanto romanzate, ci parlino del nostro passato nazionale, ma anche del nostro presente internazionale.
Non esistono guerre giuste, perché a pagarne le spese maggiori sono i civili indifesi come Ida. Infatti, il potere distruttivo della guerra è negli occhi della donna nel momento stesso in cui vede la propria casa rasa al suolo, dopo il bombardamento di Roma del 19 luglio del 1943.
Si parla di Gaza come del genocidio più documentato al mondo. Oggi, infatti, delle guerre abbiamo le prove istantanee: ma le insistenti immagini che ritraggono le peggiori atrocità, a cui siamo esposti in ogni momento, rischiano di renderci apatici, di assuefarci al dolore.
Il pericolo è quello di diventare persone che scorrono le foto di guerra come qualsiasi altro contenuto del feed di Instagram. Susan Sontag aveva profetizzato questa possibilità nel suo saggio Davanti al dolore degli altri (Nottetempo, 2021), quando ancora si era ben lontani dall’avvento dei social (leggi il nostro approfondimento).
Per questo leggendo o guardando La Storia di Morante dovremmo riflettere sul privilegio che abbiamo a non vivere durante un conflitto. Un privilegio casuale e assolutamente immeritato. Ma dovremmo anche considerare che non è sempre stato così e potrà non essere sempre così.
Disinteressarsi al destino diverso di altri popoli, perché ci appaiono distanti dal nostro e perché pensiamo che la guerra qui non arriverà mai, ha già dimostrato recentemente di essere un ragionamento fallace.
Chiara Celeste Nardoianni
(In copertina La Storia, tratto dal romanzo di Elsa Morante; foto di TodayTelevisione)