Diana Nyad è una sessantenne che conduce una vita tranquilla insieme a Bonnie Stall, amica e compagna di vita. A spezzare questa quotidianità è la decisione di Diana di ritentare ciò che aveva fallito trent’anni prima: compiere la traversata da Cuba alla Florida, cento miglia e circa sessanta ore di nuoto senza interruzione. Un’incredibile Annette Bening, affiancata da Jodie Foster, tra debolezza e incredibile determinazione, ci mostra che non è mai troppo tardi e che l’avventura della vita è sempre dietro l’angolo.
È mai troppo tardi? La parola a Diana Nyad
“Invecchiare è peccare. Penso che la cosa più controversa che io abbia mai fatto sia restare in giro”. Lo dice Madonna, 65 anni, alla fine di un concerto del suo tour di celebrazione da quasi 80 milioni di dollari.
Una carriera lunghissima che non accenna a rallentare e che proprio per questo motivo raccoglie numerose critiche, una tendenza che è evidente soprattutto nei confronti delle donne. Ageismo e misoginia sono risvolti della stessa medaglia, con attacchi che spesso vertono sull’aspetto più che sulle reali competenze.
Diana Nyad è una nuotatrice da tutta la vita, è forte, non la migliore, ma ha dalla sua una tenacia unica e una determinazione senza eguali.
Intorno ai 20 anni si affaccia a una specifica disciplina, le maratone di nuoto o nuoto di fondo, un mondo estremamente complesso e stratificato (ad oggi anche sport olimpionico).
Gli anni ‘70 sono il suo periodo d’oro, in cui partecipa a numerose gare che le permettono di acquisire fama mondiale battendo record in varie categorie: nel ‘74 il Golfo di Napoli; nel 1975 il record, che resisteva da ben 45 anni, per la circumnavigazione dell’isola di Manhattan.
Nel ‘78, a 28 anni, decide di compiere un’impresa impossibile: nuotare da Cuba alla Florida, per un totale di circa 100 miglia (più o meno 170 km), senza mai fermarsi. Convinta di farcela, nei video dell’epoca si vede Diana in un costume rosso, abbronzatissima, suonare la sua rituale tromba di partenza e lanciarsi con determinazione nelle acque fredde dell’Oceano Atlantico.
Stacco, Diana che viene tirata fuori a forza dall’acqua con le labbra gonfissime, il sale incrostato e soprattutto le lacrime sul volto di chi crede di aver fallito, per sempre.
Diana Nyad 33 anni dopo
33 anni dopo, il ‘per sempre’ si trasforma in un ‘non è mai troppo tardi’. La ninfa Nyad dimostra che l’età non conta, se c’è la volontà. Si tratta di un esempio sensazionale dato che riguarda la prestazione atletica e non solo lo sforzo mentale.
Nel 2011 Diana decide che ritenterà la traversata impossibile e a questo giro senza gabbia per gli squali. Alla sua amica storica e futura allenatrice Bonnie Stall, interpretata da una fantastica Jodie Foster, Diana spiega che a 28 anni aveva il corpo, questo è sicuro, ma a 61 ha una mente e una volontà di ferro che saranno motivo del suo successo.
Sullo schermo vediamo succedersi i tentativi di Diana nel reclutare un team e degli sponsor, un supporto che da giovane non serviva nemmeno chiedere, ma che adesso sembra impossibile ottenere.
Nessuno confida in una sessantenne che dichiara di voler portare a termine il suo destino, la sfida di una vita, un nuovo inizio che a 28 anni era stata la sua fine. Le voci fuori campo dicono: “Non è minimamente possibile. Soprattutto per una donna. Soprattutto per una della tua età”. Diana ribatte imperterrita: “Sì, ho 61 anni ed è proprio per questo che devo farlo […]. Non ci sono limiti imposti, è per questo che lo faccio, non il contrario”.
L’ombra della vittoria
Diana ce la fa. A ben 63 anni arriva a nuoto in Florida. Con gli occhi rossi, la pelle distrutta e il volto gonfio, esce dall’acqua barcollante e si lascia andare tra le braccia di Bonnie, finalmente sorridente, finalmente in pace. È il 13 agosto 2013: la traversata riesce al terzo tentativo dopo ben 53 ore di nuoto ininterrotto; un’impresa monumentale che pochi al mondo possono dire di aver affrontato.
Tuttavia, la favola non continua a lungo: la trama del personaggio pubblico e dell’atleta si mischia infatti con la storia personale, l’infanzia e il personaggio privato di Nyad.
Annette Bening, con un’interpretazione magistrale che riesce a risultare estremamente autentica e sfumata, ci mostra una donna che ha come unico scopo nella vita quello di trionfare, di poter dire “ce l’ho fatta”, anche a scapito di chi le sta intorno.
Un atteggiamento che nel settore sportivo viene spesso definito ‘vincente’, una specie di focus esclusivo per l’obiettivo, che non lascia spazio a nessuna distrazione emotiva o attenzione al contesto circostante.
Infatti, già dalle prime battute del film ascoltiamo i discorsi ripetitivi e nostalgici di Nyad, permeati di quel senso di sconfitta che da trent’anni aleggia sempre su di lei, e la rende infelice.
Destino, ossessione, trauma
Oltre al desiderio di successo e all’amarezza per la sconfitta, attraverso alcuni flashback, scopriamo che c’è dell’altro. Due figure maschili compaiono sullo sfondo e diventano elementi di continuo confronto per Diana.
La prima figura è quella del padre – non biologico, ma adottivo – che cresce Diana da solo e che convince la figlia di essere nata per grandi cose, per un destino che si nasconde già nel suo nome: Nyad, ninfa dell’acqua.
Una scena dei due di notte sul bordo dell’oceano sembra quasi spiegare la fissazione di Diana per Cuba: “Lì di fronte c’è Cuba, ti fanno credere che sia lontana, ma in realtà è vicina. Potresti quasi arrivarci a nuoto”, le dice lui.
Non c’è alternativa a questa strada, per Nyad quelle cento miglia sono “La missione della vita, il mio destino oserei dire”.
L’altra figura è l’allenatore di nuoto, presentato come premurosa, importante, un punto di riferimento per l’inizio della carriera di Nyad, ma che presto si rivela un uomo viscido, che abusa delle bambine negli spogliatoi e che prende Diana di mira.
Un rapporto morboso, contorto, di una bambina che perde fiducia nel mondo degli adulti e che si porta dietro il trauma per decenni. E una sfida con se stessa che a tratti sa più di rivalsa e catarsi che di pura volontà.
“Ci vuole un team”
Guidata da questo senso di predestinazione, la vediamo annunciare il primo tentativo del 2011, attorniata da una massa di fan urlanti alla partenza. Fallimento dopo fallimento, sempre meno gente tifa per lei: la nuotatrice perde di credibilità e risonanza, e ci sono notizie più interessanti nel mondo.
Diana non si arrende, prova e riprova fino a un punto di rottura: l’abbandono da parte del suo team.
Attraverso quella che molti hanno definito un’idealizzazione della realtà, vediamo le varie figure che l’avevano supportata nei precedenti anni tornare alle loro vite, ai loro lavori e famiglie; un po’ per una questione economica, ma anche per la difficoltà di relazionarsi con la testardaggine di Nyad.
Tuttavia, realizza che da sola non può farcela, che ha bisogno di persone che la aiutino e credano in lei; con un passaggio un po’ semplicistico di pentimento interiore, si scusa con il suo navigatore e riesce a ricongiungere il gruppo – ora un vero e proprio team – per il suo ultimo tentativo. La vediamo lanciarsi ancora una volta dallo stesso molo, da sola con Bonnie e nessun altro fan sullo sfondo. Suona la tromba, parte, vince. Non più sola, ma gruppo.
La divisione della comunità sportiva
Una storia di formazione agée che ha dell’incredibile, capace di portare un messaggio potente, che colpisce senza tanti giri di parole anche grazie alle interpretazioni delle due attrici protagoniste. Quello che decide di raccontare Hollywood però è solo una percentuale della realtà della vita.
Come emerge già sul grande schermo, Diana Nyad è una figura controversa: pare sia una questione caratteriale, un rapporto interpersonale difficile che porta le persone a definirla caparbia, testarda, ostinata – termini curiosamente associati spesso a donne di successo, a fronte di descrizioni che per gli uomini hanno un’accezione positiva (tenace, duro, resistente, volitivo).
Ma, in realtà, la questione è un po’ più complessa, e nel mondo del nuoto di fondo c’è una forte divisione tra i suoi detrattori e chi invece la celebra per il suo successo, tanto che online si trova un intero sito dedicato a lei dal nome NyadFactCheck – In search of the truth about Diana Nyad.
Le critiche che le vengono mosse sono di vario tipo: in primis il fatto che sia un esempio di brutta competitività sportiva, dato che – come si osserva nel film – proprio per la sua mania di ‘essere la prima’ è sempre stata molto critica e offensiva nei confronti di altre persone che volevano tentare la stessa impresa.
Una cattiveria che deriva dalla sua angoscia all’idea che qualcuno potesse sottrarle il titolo. Inoltre, nelle sue apparizioni pubbliche e con la sua retorica del primato, c’è chi sostiene abbia invalidato i successi di due suoi predecessori, Walter Poenisch (primo a compiere la traversata ma con le pinne e una gabbia per gli squali) e Susie Maroney (con la gabbia per gli squali).
La giovane Diana aveva anche commentato l’annuncio della traversata di Poenisch del ‘78 dicendo che: “Un uomo di 65 anni e sovrappeso non riuscirà a nuotare per due giorni senza fermarsi”. Ironia della sorte.
Non una storia vera
Oltre a tutto ciò, la stessa gara non è mai stata riconosciuta dal Guinness World Records o dalla Associazione WOWSA (World Open Water Swimming Association), che ad agosto 2023 pubblica una dichiarazione dal titolo “Per mettere le cose in chiaro su Nyad”: in risposta alle notizie sui veri primi nuotatori ad attraversare il tratto Cuba-Florida, Walter Poenisch e Susan Maroney”.
Senza scendere nei dettagli, molte delle questioni sollevate riguardano proprio la valutazione tecnica della gara: per nove ore di fila l’osservatore a bordo non ha documentato la nuotata – una delle regole fondamentali – e nello stesso periodo la velocità del GPS sarebbe aumentata molto rispetto alla media di Nyad.
C’è chi lo trova compatibile con correnti veloci e a favore e chi invece sostiene che abbia percorso un tratto a bordo della barca.
Altri punti dibattuti sono ad esempio che nel team i ratificatori presenti erano solo due, chiamati all’ultimo momento e secondo molti non imparziali; l’attrezzatura di sicurezza utilizzata porrebbe la nuotata nella categoria “assisted”, facendo sì che nessun primato possa venire associato alla traversata (che Nyad rivendica come la prima “unassisted” perché senza gabbia di squali); non sono state mai chiarite le regole, che normalmente devono essere dichiarate prima della gara.
Insomma, una storia che ha tanti livelli di lettura e che, come gli stessi produttori hanno dichiarato, “è un film basato su una storia vera, non è una storia vera”. Comunque la pensiate, il film ha una carica comunicativa e ispirazionale che non può essere negata e fintanto che non si idealizza la persona attraverso il personaggio, porta con sé dei messaggi importanti e universali, riassunti dalla stessa Nyad.
Uno, non arrendersi mai. Due, non si è mai troppo vecchi per inseguire i propri sogni. E tre, potrebbe sembrare uno sport solitario… ma ci vuole una squadra.
Diana Nyad
Alice Nanni
(In copertina, immagine tratta da Netflix)
“Nyad – Oltre l’oceano” – La missione di una vita in cento miglia di nuoto è un articolo di Alice Nanni. Leggi qui altri articoli dell’autrice.