Nel mondo contemporaneo è considerato normale appagare il nostro amore per gli animali costringendoli nelle nostre case. Tuttavia, possedere animali domestici rappresenta una questione delicata sia dal punto di vista etico che da quello ecologico: se vogliamo costruire un futuro più giusto e sostenibile, non possiamo ignorare questo problema.
Una “primavera silenziosa”
La zoologa e biologa Rachel Carson descrive nel suo libro più famoso, Primavera silenziosa (Feltrinelli, 2023), un mondo in cui gli alberi sono rinsecchiti, le malattie decimano la popolazione e non si sentono più gli uccellini cinguettare.
Lo spaventoso paesaggio da lei dipinto non è frutto della sua immaginazione: quella “primavera silenziosa” è proprio la realtà che noi esseri umani stiamo creando con le nostre mani.
Ormai è chiaro a tutti: lo stile di vita che conduciamo – e il sistema in cui siamo costretti a farlo – sta causando l’aumento della temperatura globale, la distruzione di preziosi habitat, le frequenti catastrofi naturali e molto altro. L’essere umano è l’unico animale mai esistito che si è dimostrato capace di avere un tale impatto sul suo pianeta.
Il problema, forse, è proprio questo: l’essere umano ha considerato per troppo tempo la Terra come il regno su cui può governare liberamente, tenendo conto solo dei propri interessi e infischiandosene di quelli che lo condividono con lui.
Fare la raccolta differenziata, viaggiare su mezzi pubblici, ma anche prestare attenzione alla provenienza degli alimenti sono comportamenti ecologici che molti hanno assunto o di cui condividono l’utilità. Tuttavia, recentemente è stata messa in discussione anche la sostenibilità ed eticità di un’altra caratteristica che accomuna il 57% della popolazione mondiale: gli animali domestici.
L’in-sostenibilità degli animali domestici
Durante la pandemia, il numero di animali domestici posseduto dalle famiglie di tutto il mondo è sensibilmente aumentato. Chiaramente, un siffatto incremento non può non avere un sensibile impatto ambientale: in un’epoca in cui stiamo mettendo sempre più in discussione il consumo di carne continuiamo tuttavia a metterci in casa carnivori obbligati, o quasi.
Cani e gatti sono responsabili del 25% dell’impronta ecologica solo negli USA. Per limitarci alla loro alimentazione, basti pensare che l’industria del pet food – ma soprattutto il suo mercato luxury – è da ritenere imputabile, insieme agli allevamenti intensivi di bestiame in tutto il mondo, delle 8 gigatonnellate di CO2 da loro prodotte.
La questione etica degli animali di razza
È ormai evidente la dubbia eticità degli allevamenti di razza canina o felina in cui, per esempio, le fattrici vengono fatte riprodurre solo per partorire teneri cuccioli che, alla stregua di una qualunque altra merce, servono solo a rimpinguare le tasche dei loro padroni e a fornire ad altri esseri umani un accessorio all’ultima moda, mentre i canili e i gattili strabordano di individui che, senza un aiuto, rischierebbero la morte.
Inoltre, gli allevamenti di razza si macchiano di un’altra colpa. Per rendere ancor più esteticamente desiderabili i loro esemplari, gli allevatori ne alterano il DNA, noncuranti delle possibili controindicazioni. Infatti, molti di questi animali sono costretti a convivere per tutta la vita con patologie crudeli per un motivo futile.
L’influencer Tommaso Zorzi ha denunciato di recente la pratica della mutazione genetica che, nella fattispecie, fornisce ai gatti Scottish Fold come il suo quelle orecchie piegate tanto carine, ma anche il quasi inevitabile sviluppo dell’osteocondriodisplasia, una malattia molto dolorosa.
I nostri doveri nei confronti degli animali
L’idea stessa di “possedere” degli animali può risultare problematica. L’anti-specismo è una corrente filosofica e politica che rifiuta l’appartenenza di specie come criterio per conferire rilevanza morale agli individui.
Secondo alcuni pensatori, primo tra tutti Peter Singer, lo specismo è una forma di pregiudizio non diversa dal razzismo e dal sessismo, i quali sono a loro volta colpevoli di assumere criteri neutri su cui fondare differenze etiche. Per alcuni filosofi anti-specisti, gli animali sono individui che dovrebbero essere depositari di diritti perché, come gli esseri umani, sono senzienti, autonomi o possiedono specifiche capacità potenziali.
La domesticazione, però, viola questi stessi diritti. Il classico modello della teoria dei diritti animali – scrivono Donaldson e Kymlicka nel loro Zoopolis – prescrive come unico comportamento etico nei confronti degli animali il non interferire nelle loro vite e lasciare loro piena libertà.
Se questo approccio può essere accettabile per quanto riguarda gli animali selvatici, lo stesso principio non può essere applicato a tutti.
Ormai abbiamo costretto molti animali – come quelli domestici – a dipendere da noi, per questo possediamo una serie di doveri positivi nei loro confronti, che dovrebbero essere riconosciuti nella loro ampiezza anche da un punto di vista politico. In fondo, sono co-cittadini dei nostri stessi spazi e abbiamo il dovere di gestirli tenendo conto anche dei loro stessi interessi.
Alla ricerca di un’alternativa
Siamo quindi sicuri che disporre liberamente degli animali per soddisfare i nostri egoistici desideri, noncuranti dell’impatto ambientale e della loro stessa qualità di vita, significhi tenere conto dei loro interessi e di quelli di tutte le altre “specie”?
Si tratta di una questione molto complessa. È difficile rispondere a domande riguardanti a una possibile e salutare alimentazione alternativa dei nostri animali domestici, a una diversa gestione della loro proliferazione e a una migliore regolamentazione degli allevamenti di razza.
Quel che è certo, però, è che bisogna riservare uno spazio rilevante a questa riflessione nel dibattito etico e ambientale, in modo da tale da avvicinarsi progressivamente a uno stile di vita più sostenibile.
Federica Pasquali
(In copertina foto da Unsplash)