Giulia Marelli e Beatrice Lopolito sono due osteopate specializzate nel trattamento di soggetti con diverse disabilità fisiche e psichiche. Da qualche anno collaborano come volontarie in tre associazioni e due centri polifunzionali nelle province di Milano e Monza e Brianza. Teresa Caini ha parlato con loro di due argomenti ancora poco conosciuti: l’osteopatia e i disturbi del neurosviluppo.
Teresa Caini: Quale percorso vi ha portate fin qui? Da cosa è nata la passione per il trattamento delle alterazioni del neurosviluppo e, soprattutto, come è nata la collaborazione con i centri delle associazioni con cui oggi collaborate?
Beatrice Lopolito: Io e Giulia siamo due osteopate specializzate nei trattamenti di persone con disabilità; soprattutto in soggetti con disturbi dello spettro autistico. Fin da studentesse abbiamo avuto il desiderio di aiutare chi è in difficoltà: una volta iniziata l’attività lavorativa, ci siamo chieste come concretizzare questa passione mettendo a disposizione le nostre conoscenze e studiando sempre di più la letteratura scientifica.
Inizialmente abbiamo creato un’e-mail rappresentativa in cui abbiamo esposto i ruoli e i benefici dell’osteopatia nei trattamenti di persone con disabilità. La prima risposta è arrivata da un’associazione di Milano, con cui è partita una collaborazione. Successivamente, altri centri hanno aderito alla nostra proposta; così, abbiamo ampliato il nostro team in modo da far partire questo nostro progetto.
T.C.: In questi centri che tipi di trattamenti potete svolgere con i ragazzi, in particolare con quelli affetti da disturbi dello spettro autistico?
Giulia Marelli: Come prima cosa è importante sottolineare che non è un trattamento doloroso ed è eseguito da almeno due operatori; quindi, in questo caso siamo sempre almeno io e Beatrice. Pratichiamo trattamenti a quattro mani che durano circa trenta minuti e possono avvenire sul lettino, ma anche in qualsiasi posizione che i pazienti preferiscano: ci capita spesso di trattare i ragazzi sulle sedie, mentre giocano.
Ci capita anche di dover fare dei balletti o raccontare delle storie per riuscire a tranquillizzarli; insomma, cerchiamo di trovare una chiave per far sì che si possa accedere al trattamento. Le modalità sono un po’ varie, però siamo noi ad assecondare le loro esigenze e le posizioni che loro preferiscono: siamo noi ad adattarci a loro, mai il contrario.
T.C.: Quali obiettivi realistici e concreti vi permette di prefissare la letteratura scientifica? A quali benefici si può arrivare?
B.L.: Nella letteratura scientifica esistono pochi studi specifici sul trattamento osteopatico di soggetti con autismo. Noi abbiamo analizzato quegli articoli che evidenziano le problematiche più comuni dei pazienti affetti da questo disturbo, come stitichezza, cefalea, disturbi posturali, disturbi della masticazione, fonazione e deglutizione, oltre alle difficoltà di approccio al tocco.
Abbiamo preso questi dati, chiedendoci se l’osteopatia potesse apportare dei benefici: è emerso che queste problematiche sono comunemente trattate dall’osteopata; quindi, noi abbiamo unito le nostre ricerche e abbiamo scritto un articolo che dimostra come il trattamento osteopatico possa avere dei benefici in questa sintomatologia.
Ad oggi, grazie alla nostra esperienza, possiamo constatare che l’osteopatia può migliorare sia la qualità di vita di questi soggetti sia la sintomatologia più comune, per esempio la stitichezza.
T.C.: Quindi, nel caso di un disturbo come la stitichezza cronica, l’azione è a livello locale, cioè sulla muscolatura addominale-intestinale, o a livello di stimolo centrale?
B.L.: Tramite le tecniche fasciali andiamo a lavorare sulla componente addominale con l’obiettivo di detendere la parete addominale, queste tecniche non sono né invasive e né dolorose e generano anche una risposta a livello centrale grazie all’azione del sistema nervoso autonomo parasimpatico, che permette di generare un rilassamento e una diminuzione delle tensioni. Abbiamo inoltre notato quanto la stipsi possa generare delle alterazioni a livello della colonna vertebrale, migliorando questa sintomatologia migliora anche la postura.
In letteratura scientifica è stato osservato che soggetti con autismo presentano problematiche di stitichezza, la cui gravità è correlata con la gravità del disturbo; grazie al trattamento osteopatico abbiamo osservato dei miglioramenti significativi in termini di stitichezza.
Basti pensare che un ragazzo non verbale non è in grado di esprimere un suo disagio: attraverso la diagnosi palpatoria riusciamo a capire quali sono le disfunzioni primarie; quindi, andiamo a ridurre un disagio con conseguenze positive a livello comportamentale.
G.M.: Sì, il fatto che qualcuno con una diagnosi palpatoria riesca a riscontare questo problema e a toglierglielo sicuramente fa stare bene i pazienti, soprattutto quelli che hanno un disagio e faticano a comunicarlo. Intendiamo proprio in questo senso il miglioramento della qualità della vita. Questo vale un po’ su tutti gli aspetti e su tutti i dolori, soprattutto sull’intestino: c’è una forte correlazione tra cervello e intestino, definito spesso “secondo cervello” proprio per questa connessione emotiva.
T.C.: Buona parte dei vostri trattamenti si basa proprio sul tocco manuale e sul contatto con la pelle del paziente. Come si coniuga questo approccio con le difficoltà di interazione e la necessità di spazi e modi precisi di contatto che spesso hanno questi ragazzi?
G.M.: Per noi l’approccio positivo al tocco è uno dei primi obiettivi del trattamento ed è proprio spesso uno dei motivi per cui i genitori dei ragazzi si rivolgono a noi. Oltretutto, noi siamo in due, quindi i ragazzi si ritrovano ad avere quattro mani addosso. Cerchiamo di far vedere il tocco come un qualcosa di positivo, qualcosa di terapeutico, e non come un aspetto da evitare. Il tocco diventa in primis una chiave di comunicazione.
Ad esempio, la mamma di un nostro paziente di sette anni affetto da un autismo molto grave era preoccupata nel portarlo a eseguire i trattamenti di osteopatia perché non si lasciava visitare dal pediatra: non vedeva il tocco e la terapia come qualcosa di positivo. Noi, in realtà, non abbiamo avuto nessun tipo di difficoltà di approccio perché la chiave sta sempre nell’accogliere le esigenze dei pazienti e trovare la via di comunicazione per far sì che loro vedano questo momento in maniera positiva.
Dopo la prima seduta – al massimo la seconda – il problema all’approcciare al tocco non esiste più. Quindi sì, è proprio uno degli obiettivi e uno dei benefici dell’osteopatia che si ripercuote nella vita quotidiana, perché riuscire a farsi toccare crea poi una serie di benefici di rilassamento e di produzione ormonale positiva; quindi, è assolutamente fondamentale.
T.C.: Vi è mai capitato di non riuscire a trovare questa via di accesso e, magari, di dover rinunciare alla terapia palpatoria?
B.L.: Per adesso, no.
G.M.: Magari ci sono alcune zone che non fanno approcciare. Ad esempio, c’era stato un ragazzo, uno tra i più difficili che abbiamo avuto, che non si muoveva dalla sedia. Lui giocava con le sue carte in un centro diurno e non c’era modo di schiodarlo da lì. Noi siamo rimaste nella sua stanza per permettergli di fare il trattamento, mentre rimaneva seduto e giocava.
Inoltre, lui non voleva assolutamente che gli toccassimo la testa, ci toglieva le mani: noi abbiamo accettato questa cosa. Abbiamo trattato le zone che lui ci consentiva di toccare. Tante volte chiediamo ai pazienti di posizionarci le mani dove vogliono, magari usiamo la loro mano sotto e noi ci posizioniamo sopra: in questo modo, il contatto è ancora più indiretto.
Quando accettano questa modalità, allora ritentiamo un approccio nella zona che inizialmente non facevano toccare. Infatti, ad oggi ci abbiamo messo due mesi (circa quattro trattamenti, li facciamo ogni quindici giorni), ma siamo riuscite a trattare il cranio a un ragazzo che prima non faceva trattare quella zona.
T.C.: È chiaro che ogni paziente le sue tempistiche e non c’è una fretta o una tempistica minima o massima. Adesso, invece, vorrei chiedervi come si inserisce il ruolo dell’osteopata in un contesto di trattamento multidisciplinare di questi ragazzi, in cui abbiamo figure come neuropsichiatri, neurologi e psicologi che devono collaborare fianco a fianco per gestire il paziente in maniera integrata?
B.L.: Sicuramente il lavoro d’équipe è fondamentale nel migliorare la qualità di vita di questi ragazzi e permette al singolo professionista di lavorare in maniera più efficace e con un mantenimento a lungo termine.
Per esempio, il trattamento osteopatico non è fondamentale per i disturbi della deglutizione, fonazione e masticazione, ma dà una mano e si pone a sostegno di altre figure professionali, come il logopedista o il dentista; quindi, lavoriamo tutta la parte della bocca per togliere delle tensioni e permettere al logopedista di lavorare meglio. Ad esempio, abbiamo un bambino in comune con una logopedista; quindi, ci aggiorniamo costantemente per seguire i progressi del bambino.
La nostra esigenza era quella di una collaborazione, cioè di avere un’équipe con cui lavorare in un mondo così complesso come quello delle disabilità. Per questo, abbiamo cercato dei centri polifunzionali.
T.C.: Quali difficoltà avete riscontrato nell’introdurre le vostre terapie in un ambito come quello sociosanitario, in cui ancora spesso si vede l’osteopatia come un trattamento di serie B?
G.M.: È chiaro che l’osteopatia non è il trattamento primario da fare in un soggetto affetto da disabilità; quindi, ci sono una serie di altre terapie che oggettivamente sono molto più importanti. Quello che andiamo a fare noi non è sicuramente trattare la disabilità, questo è importante perché tante volte ci attaccano. Quello che andiamo a fare è andare a migliorare la qualità della vita.
Non abbiamo mai trovato degli ostacoli netti; solo tanta ignoranza, nel senso proprio del non conoscere l’argomento, perché spesso si pensa all’osteopata come il terapista delle ossa. Si pensa che l’osteopata sia una figura lontana dal mondo delle disabilità. Come dicevamo prima, adoperiamo tecniche indirette e dolci.
Dato che spesso le persone non conoscono il nostro lavoro, scriviamo delle e-mail dove spieghiamo quello che facciamo. È importante perché ci permette di far conoscere quello facciamo realmente e quindi se qualcuno non sa che esiste questa possibilità e che l’osteopata non è soltanto quello che ti scrocchia e ti fa male sul lettino diventa difficile accoglierci. Però, dopo aver spiegato cosa facciamo realmente, non abbiamo riscontrato difficoltà.
T.C.: Visto come in un’ottica di un trattamento di supporto, l’osteopatia aggiunge qualcosa, e non si pone come alternativa, come invece spesso viene visto. Quale è stata la risposta – anche emotiva – da parte di pazienti e famiglie a questo tipo di iniziativa?
B.L.: Allora diciamo che ad oggi abbiamo sempre ricevuto feedback positivi sia da parte dei genitori ma anche, ce dei sorrisi contenti dei ragazzi a sottoporsi al trattamento, per esempio si mettono in fila e fanno a gara per chi entra prima, ci lasciano disegni, ci abbracciano con riconoscenza e ci dicono parole dolci.
Questo per me è molto importante e in alcuni miglioramenti che magari possono sembrare banali, come la stitichezza in un ragazzo, per le famiglie invece rappresentano un grosso successo, perché questo disagio spesso li rende nervosi. Altri genitori sono entusiasti nel vedere il proprio figlio rilassato durante il trattamento e così predisposto al tocco positivo.
Tutto questo ci fa capire che stiamo andando nella direzione corretta: molti genitori sono veramente entusiasti nel vedere i loro figli rilassarsi e riposarsi sul lettino dell’osteopata, un piccolo traguardo che credevano irraggiungibile.
G.M.: Esatto, magari sono ragazzi che hanno iperattività, disturbi del sonno e li vedono o lì che si addormentano sul lettino e sono molto stupiti. All’inizio fanno fatica ad affidare il proprio figlio, che segue già molte terapie ed è sottoposto a tanti stimoli, a un estraneo: per questo motivo, noi facciamo un incontro conoscitivo con i genitori, che ci possono tempestare di domande, così sono consapevoli di ciò che faremo. Si tratta semplicemente di spiegare cosa facciamo: all’atto pratico, poi, sono sempre contenti.
T.C.: Sicuramente tutto parte dal rendere chiaro quello che si fa e rispondere a tutte le domande che possono avere soprattutto i genitori. Passando a un altro argomento, quali altre realtà magari simili a quella in cui lavorate esistono nel vostro territorio e, in generale, in Italia? Ci sono altre strutture ricettive o altri percorsi specifici in cui potreste svolgere queste attività?
G.M.: Esistono sicuramente altri progetti di osteopatia legati alle disabilità, ma purtroppo ancora troppi pochi. In realtà stiamo cercando di espandere il nostro di progetto all’interno degli altri centri. Sicuramente ci sono, noi ad esempio stiamo raccogliendo con i genitori i nomi di altri centri e associazioni polifunzionali così da poterci presentare e sperare poi di ampliare questo progetto.
In tutte le associazioni in cui andiamo non troviamo un osteopata già presente; quindi, siamo noi che cerchiamo di far partire questo progetto di osteopatia all’interno dei vari centri. Magari sono presenti progetti di questo tipo in qualche studio privato, ma non sono strutturati all’interno di un’équipe.
T.C.: Come vi aspettate che si evolverà un po’ questa situazione nei prossimi anni? Come vedete il vostro futuro in questo percorso? Secondo voi riuscirà a prendere piede anche nel resto di Italia e a entrare in strutture ospedaliere?
B.L.: Il nostro progetto sull’osteopatia e la disabilità si chiama Potency ed è partito da un gruppo di amiche accomunate dalla volontà di essere di supporto a questi pazienti. Il nostro obiettivo è quello di coinvolgere nuovi osteopati motivati che condividano i nostri stessi valori e che ci aiutino a creare una rete in Italia e, chissà, poi magari anche altrove. Per fare questo, stiamo raccogliendo i dati dei nostri trattamenti in ogni centro per analizzarli e arricchire la letteratura scientifica, visto che adesso ci sono pochi articoli dedicati a queste tematiche.
G.M.: Recentemente ci sono stati anche un po’ di aggiornamenti sull’osteopatia: ad esempio, è passata come professione sanitaria, ma l’iter è ancora molto lungo. Noi stiamo facendo un’esperienza molto bella all’ospedale pediatrico di Firenze, il Meyer, che fortunatamente ha accettato gli osteopati da tanti anni. In ospedale noi stiamo seguendo un percorso di formazione che speriamo possa espandersi anche nel resto d’Italia.
B.L.: Quello che vogliamo trasmettere ad altri professionisti è che noi non siamo dei maghi, ma abbiamo delle basi scientifiche e forniamo un supporto nel trattamento dei ragazzi con disturbo dello spettro autistico: riusciamo a rimuovere un disagio, un fatto importante per i pazienti e le loro famiglie. Sarebbe quindi interessante avere un confronto anche con altre strutture mediche, proprio per spiegare che noi esistiamo e possiamo fare qualcosa a supporto.
T.C.: Al di là dell’espansione di questo progetto, avete in mente altri progetti nell’ambito del trattamento delle disabilità? Ad esempio, ci sono trattamenti che avete già messo in atto con successo in ragazzi che magari abbiano una sindrome di Down o altre problematiche?
G.M.: Il mondo delle disabilità è molto ampio. La nostra casistica principale riguarda i disturbi del neurosviluppo e le disabilità cognitivo-comportamentali. Abbiamo trattato anche ragazzi con sindrome di Down o con altre disabilità. Che poi, ci sono tantissime sindromi rare, e infatti il nostro obiettivo immediato è quello di approfondire le nostre conoscenze sulle diverse sindromi e disabilità.
A oggi il focus principale è sulla disabilità e sull’autismo, ma stavamo valutando l’idea di estendere il progetto ad altre forme di disabilità e non solo. Ad esempio, stavamo valutando anche l’ipotesi di lavorare con donne vittime di violenza: il nostro è un progetto di inclusione.
Intervista a cura di Teresa Caini.
Editing e impaginazione di Beatrice Russo, Benedetta Del Re e Federica Pasquali.