“Chiudete gli occhi e pensate a come dovrebbe essere il Paese in cui vorreste vivere”. Questa è la frase con cui Enrico Giovannini, economista, professore universitario e fondatore dell’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile), introduce il suo libro “L’utopia sostenibile” (Laterza, 2018). Martedì 5 marzo 2024, presso l’Oratorio San Filippo Neri (Bologna), Carlotta Bertinelli ha avuto l’opportunità di fargli alcune domande.
Il problema del cambiamento climatico e della difficoltà nella transizione ad un’economia sostenibile è alla base dell’Agenda 2030. La chiave è il cambiamento comportamentale dell’umanità intera che, col passare del tempo, si è resa la causa principale del riscaldamento globale.
L’utopia sostenibile riporta alcune proposte di Enrico Giovannini su come aiutare l’Italia e l’Europa a intraprendere una strada più sostenibile, marginando e affrontando le loro debolezze. La sensibilizzazione sui temi dell’ecologia e del clima è fondamentale per comprendere il modo con cui fronteggiare il problema.
Carlotta Bertinelli: Nel libro L’utopia sostenibile afferma che “è l’uomo, con i suoi comportamenti, a determinare lo stato e l’evoluzione dell’intero pianeta, ed è quindi l’uomo a doversi assumere la responsabilità globale di gestire il mondo”; e ha accennato al timore della fine del petrolio. Cosa pensa dunque della recente Cop 28 tenutasi a Dubai nel novembre del 2023 e terminata con l’adozione del cosiddetto transitioning away, ovvero un’uscita graduale dei combustibili fossili con termine nel 2050?
Enrico Giovannini: Le Cop, ovvero le Conferenze delle Parti, sono un luogo di difficile negoziazione, non solo perché i paesi hanno punti di vista diversi, ma perché ci sono anche le lobby, che spingono le decisioni politiche in certe direzioni.
Da questo punto di vista, la Cop 28 secondo me è stata un successo, perché inizialmente si pensava che non avrebbe prodotto nulla, e invece ha generato alcuni punti importanti: il primo è l’attuazione del cosiddetto “fondo per le perdite e i danni”, importante perché riconosce sul piano concettuale che la colpa del cambiamento climatico è dei paesi sviluppati. Il secondo punto riguarda la scelta del mondo di seguire la strada europea.
Quando nel 2019 la Commissione Europea e poi l’UE hanno affermato di voler attuare un processo di decarbonizzazione, gli altri Paesi hanno “sorriso”. Oggi questo obiettivo è stato riconosciuto in tutto il mondo.
Tutto a posto quindi? Ovviamente no. I tempi della trasformazione sono incompatibili con i processi non lineari che i comportamenti umani hanno determinato nei sistemi climatici e ambientali.
Non è affatto detto che andrà tutto bene, come si diceva durante la pandemia, ed è per questo che dobbiamo continuare ad accelerare il cambiamento, che per alcuni può implicare molti rischi. Ma questa è la partita, e l’Italia, come l’Europa, può giocarla solo in attacco, non in difesa.
C.B.: Lei ha affermato che “Il nostro paese non è in una condizione di sviluppo sostenibile, e gli Italiani sembrano abbastanza consci del problema”. Ha però destato scalpore un’intervista rivolta al Presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Antonino Zichichi, in cui lui afferma che l’attività antropica incide pochissimo sul cambiamento climatico, e che la causa del disastro ambientale è legata all’attività del Sole. Cosa risponderebbe a questa affermazione?
Enrico Giovannini: Io non sono un fisico, ma ci hanno pensato gli scienziati del clima a spiegare che questa teoria è in realtà una stupidaggine. Ha fatto scalpore soltanto perché una parte della stampa, tipicamente negazionista, dà importanza a posizioni che sono, sul piano scientifico, considerate insostenibili.
Ciò vuol dire che abbiamo l’assoluta certezza che è tutta colpa dell’uomo? No, nessuno ha mai detto questo. Tuttavia, il fatto che l’attività antropica stia determinando dei cambiamenti profondi nel sistema naturale è ciò che ci dice la scienza.
Dunque, dobbiamo fare ancora di più, soprattutto se una parte di questa crisi climatica non è indotta da noi: è comunque presente, esiste e quindi andrà avanti indipendentemente da quello che facciamo, e poiché non stiamo parlando del futuro del pianeta, ma di quello delle persone, quello che dobbiamo fare è portare al minimo, se non azzerare, il contributo che l’uomo ha dato e dà a questi cambiamenti così disastrosi.
C.B.: Riferendosi ad un frase di Oscar Wilde, lei ha detto che “sognare di cambiare il mondo è facile: io lo faccio venti volte al giorno”. Per questo motivo lei ha deciso di diventare un economista al fine di dare un contributo per cambiare il mondo. Secondo lei, quali sono quelle azioni che possono permettere a tutti coloro che hanno il suo stesso desiderio di fare qualcosa senza però entrare in politica?
Enrico Giovannini: In primo luogo sono richiesti dei cambiamenti nei comportamenti: come consumatori, come risparmiatori, come investitori. Tutti i giorni possiamo fare delle scelte che portano in una direzione o nell’altra. Ma io aggiungo “come elettori”.
Non tutti sono d’accordo che sia questa la strada da prendere. Soprattutto in questo periodo storico, in cui purtroppo, dalla pandemia in poi, vediamo spirare una serie di venti contrari alla transizione verso un’economia ecologicamente compatibile con i limiti planetari.
Detto questo, la politica si fa in tanti modi: andando in strada, cambiando la cultura sui posti di lavoro, nelle scuole e nelle università. E soprattutto, coloro che sono sui social media (io non lo sono, mentre le istituzioni per cui lavoro le ho sempre volute molto attive) hanno la straordinaria opportunità di influenzare l’opinione di molti altri.
E poi ci troviamo in questo paradosso: i giovani, anche grazie all’educazione e all’alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, che ha portato l’argomento nelle scuole, sono molto più consci di questo tema.
La resistenza è negli adulti, e in particolare negli uomini ultracinquantenni, che guarda caso sono proprio quelli che detengono il potere nelle imprese e nella politica. Quindi, è importante che ognuno faccia la sua parte, soprattutto le donne: forse non è un caso che parola “sostenibilità” sia un sostantivo femminile.
Questo ce lo dicono le indagini, perché le donne hanno una prospettiva intergenerazionale più forte e un senso della giustizia diverso e più sviluppato rispetto a quello che, purtroppo, tanti uomini hanno perso.
Forse la causa è un’educazione che li ha portati a massimizzare i risultati in un breve termine per se stessi, senza pensare agli altri. Sono contento che ci siano ancora possibilità, e credo che più donne nei posti di responsabilità aiuterebbero il processo verso la sostenibilità.
Intervista a cura di Carlotta Bertinelli, con la collaborazione di Federica Pasquali.
(In copertina Enrico Giovannini, da Sky Tg24)
L’intervista a Enrico Giovannini è stata realizzata in collaborazione con l’Oratorio di San Filippo Neri e Mismaonda.