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La divergenza tra etica e sviluppo tecnologico in “Oppenheimer”

Oppenheimer etica

Siamo spesso portati a percepire discipline umanistiche e scientifiche, tecnologia e uomo, come poli opposti in costante tensione, senza soluzione di sintesi. Eppure, i due mondi non sono, in fondo, così distanti. Nolan, nell’ acclamata pellicola “Oppenheimer” (2023), ripercorre la biografia di J. Robert Oppenheimer, padre della bomba atomica, in ottica etica e filosofica.


La pellicola

Uscito nelle sale americane a luglio 2023, Oppenheimer è sbarcato in Italia il 23 agosto 2023. I numeri al botteghino sono da capogiro: un incasso complessivo di oltre 900 milioni di dollari, il terzo più proficuo a livello globale nell’ultimo anno.

Un successo prevedibile, nato dall’unione del genio cinematografico di Christopher Nolan (candidato agli Oscar 2024 nella categoria Miglior Regia) e il carisma interpretativo di Cillian Murphy (candidato come Migliore Attore protagonista). 

Chiaramente ispirato all’opera letteraria American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer, pubblicata nel 2005 da Kai Bird e Martin J. Sherwin, il film mira ad indagare le motivazioni dietro alle scelte del protagonista e a offrire uno spaccato della sua psiche.

Questa complessità contenutistica è tradotta, dal punto di vista cinematografico, nell’uso di più piani narrativi, che permettono di seguire in contemporanea le diverse fasi della carriera di Oppenheimer.

Tramite un uso sapiente dei flashback, Nolan riesce a tenere unite tre diverse linee temporali: la prima narra la vita dello scienziato relativamente al progetto Manhattan; la seconda mostra il processo a cui Oppenheimer fu sottoposto nel 1954; la terza, ambientata nel 1959, si concentra sulla figura di Lewis Strauss, presidente della Commissione per l’energia atomica nel dopoguerra.

Christopher Nolan è noto per la sua abilità nel gestire intrecci complessi all’interno delle sue opere: lo aveva fatto con Inception nel 2010 e successivamente con Dunkirk nel 2017. I risultati sono sempre stati magistrali, in grado di catturare l’attenzione del pubblico senza tuttavia rivelare nulla rispetto al finale, che è infatti sempre capace di stupire lo spettatore.

La tecnica di montaggio del regista si avvale di scene brevi e concise, alternate come all’interno di un videoclip, che convergono solo sul finale, riavvolgendo un nastro che era stato srotolato all’inizio della pellicola.

Prometeo e il fuoco

In molti hanno visto nella figura dello scienziato un ‘moderno Prometeo‘. La scena iniziale del film, che costituisce un capolavoro in termini di effetti speciali e montaggio, del resto, presenta un richiamo diretto al mito del titano che rubò il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini.

Questo atto di sfida aperta nei confronti delle divinità costò a Prometeo un esemplare ed eterno castigo – un’aquila divora il suo fegato mentre lui è incatenato alle rocce del Caucaso – che contribuisce a collocarlo al fianco dei grandi peccatori della mitologia.

Prometeo
Prometeo. Foto: National Geographic.

La sua drammatica fine non è tanto determinata da un’istanza di hýbris – la tracotanza che porta gli individui a ritenersi pari o addirittura superiori agli dèi – ma piuttosto dal suo amore verso gli uomini. La volontà di donare loro uno strumento, il fuoco, fonte di energia vitale e progresso, rappresenta una diretta contestazione dell’essenza stessa del genere umano.

Questo desiderio di oltrepassare la mortalità, eliminando quello che è l’elemento distintivo degli individui, è una costante non solo nella mitologia, ma anche nella letteratura e nella filosofia: rientra in quegli istinti primitivi e incontrollabili che sono alla base dell’essenza umana e che, in quanto tali, saranno sempre la forza motrice delle azioni. 

“Io sono colui che deve sempre superare sé stesso” scrisse Nietzsche, contestualmente al concetto di superuomo che introdusse nell’opera Così parlò Zarathustra (1883).

L’idea di essere protagonisti attivi del progresso e quindi di contribuire al superamento dei limiti umani è effettivamente il quesito di fondo della pellicola: fino a dove possiamo spingerci prima di perdere la nostra essenza di creature mortali?

Ma soprattutto, la natura umana dovrebbe agire come categoria morale o può essere messa da parte in nome di un avanzamento tecnologico che ci potrebbe portare ad una realtà apparentemente migliore?

Aldous Huxley e il transumanesimo 

Non era ancora scoppiata la Seconda Guerra Mondiale quando Huxley, scrittore e filosofo britannico, pubblicò il romanzo distopico Brave New World – in italiano, Il mondo nuovo (1932) –, considerato una pietra miliare del movimento transumanista. Circa un secolo dopo, l’opera è ancora così attuale da poter dialogare direttamente con la pellicola di Nolan. 

All’interno del libro, Huxley dipinge un futuro roseo per l’umanità, organizzata in un’unica società perfetta nella quali tutti sono apparentemente felici e contribuiscono al funzionamento di questa macchina ben oliata. Scavando sotto la superficie, l’autore porta al centro del romanzo gli strumenti tecnologici (manipolazione genetica, uso di droghe, controllo sociale) utilizzati per raggiungere questo idillio. 

Brave New World
Foto: Amazon.

L’idea centrale del movimento transumanista è quella di esplorare ciò che gli esseri umani possono diventare attraverso l’innovazione scientifica, sottolineando le potenzialità della tecnologia che non solo possono, ma devono, essere sfruttate.

Se da una parte Oppenheimer si pone in una linea diretta di discendenza con questo concetto, dall’altra è anche interessante notare come il caso della bomba atomica sia senza precedenti

Infatti, la creazione dello scienziato nasce, fin da subito, con l’intento di generare distruzione. L’ordigno di morte architettato e sviluppato durante il piano Manhattan non tende verso un miglioramento della società umana, né tantomeno verso un superamento della condizione mortale, ma, al contrario, è portatore di devastazione. 

Il peso delle responsabilità e il finale 

La responsabilità del creatore nei confronti della sua opera è sicuramente la parte più drammatica del film, nonché il fulcro della pellicola. La prima e l’ultima scena sono infatti legate in una sorta di cerchio che si chiude con la fine del film e che riesce a trasmettere a livello visivo il peso delle conseguenze che Oppenheimer forse neanche comprende fino in fondo. 

Oppenheimer etica
Cillian Murphy nella scena finale di “Oppenheimer”. Foto: GQ Italia.

Se il regista mette in atto una sospensione del giudizio nei confronti dello scienziato e delle sue intenzioni morali, noi spettatori siamo inevitabilmente portati a riflettere sul legame che intercorre tra il creatore e la sua creazione.

Da una parte, Oppenheimer può essere imputato come responsabile, insieme a moltissime altre menti eccelse, di aver creato uno strumento che potenzialmente potrebbe porre fine all’umanità; tuttavia, è anche vero che un’opera, una volta creata, viene consegnata nelle mani di tutta la società e può essere sfruttata oltre le originali intenzioni del creatore. 

L’immagine visiva delle gocce di pioggia che si infrangono sull’acqua generando centri concentrici apre la pellicola ed è poi ripresa nella scena finale. L’inconsapevolezza con cui Oppenheimer aveva svolto inizialmente i calcoli da cui è nata la bomba atomica vengono sostituiti da una piena presa di coscienza che lo scienziato ammette ad Einstein.  

Albert, quando sono venuto da lei con quei calcoli pensavo che avremmo dato vita ad una reazione a catena che avrebbe distrutto il mondo. Penso che lo abbiamo fatto.

J. Robert Oppenheimer

Un susseguirsi di causa-effetto ben fuori dall’immaginazione dello scienziato, ma da cui egli non può ormai sottrarsi né esimersi. Con questo finale carico di intensità, Nolan allude alla potenziale forza distruttrice che la concatenazione di eventi di cui Oppenheimer è stato motore potrebbe generare.

Il film non pretende di fornire risposte; al contrario, la soluzione al problema etico è lasciata all’interpretazione dello spettatore

Valentina Bianchi

(In copertina, immagine di MyMovies)


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