Il film “Barbie” (2023) ritorna al centro del dibattito pubblico a causa della mancata candidatura agli Oscar 2024 della regista Greta Gerwig e dell’attrice protagonista, Margot Robbie. L’Academy ha penalizzato il blockbuster sulla bambola Mattel, ma ci sono molti fattori da considerare in questa esclusione.
Barbie è uno dei fenomeni culturali più discussi degli ultimi mesi. Nonostante sia uscito nelle sale questa estate, il film di Greta Gerwig è ancora al centro di numerosi dibattiti e continua a dividere l’opinione pubblica.
In particolare, l’annuncio delle nomination agli Oscar 2024, in cui sono saltate all’occhio le mancate candidature della regista e dell’attrice protagonista, nonché produttrice, Margot Robbie, ha riacceso gli animi e ha scatenato molte polemiche.
Se i detrattori di Barbie hanno concordato a pieno con la scelta dell’Academy, i suoi difensori l’hanno ritenuta una vera e propria ingiustizia e non hanno nascosto la loro indignazione.
Il sessismo dell’Academy
È ironico il fatto che nel film simbolo dell’emancipazione femminile di quest’anno, pensato proprio per riflettere sul tema della disparità di genere, siano state penalizzate le due donne che costituiscono, senza alcun dubbio, il cuore della pellicola.
Sono in molti a intravedere, dietro questo fenomeno, l’ennesima prova del pregiudizio sessista che macchia la notte degli Oscar.
E, in effetti, è innegabile che l’Academy sia colpevole di non valorizzare abbastanza i talenti femminili dell’industria cinematografica, soprattutto nel caso specifico della regia, in cui le donne sono particolarmente penalizzate.
Basti pensare che, nella storia degli Oscar, solo tre donne hanno vinto il premio per la regia: Kathryn Bigelow (The Hurt Locker, 2010), Chloé Zhao (Nomadland, 2021) e Jane Campion (Il potere del cane, 2022).
Per fortuna, negli ultimi anni si sono fatti dei progressi: molte registe hanno raggiunto una notevole visibilità, proponendo visioni del cinema inedite e alternative, e hanno gradualmente conquistato lo spazio che meritano.
Non c’è Ken senza Barbie
Tra i nomi più di spicco c’è sicuramente quello di Greta Gerwig, che in passato ha ricevuto due candidature all’Oscar come migliore regista, per Lady Bird (2017) e Piccole Donne (2019). È quindi paradossale che Barbie, ovvero il primo film ad alto budget della regista, con cui ha fatto il suo esordio nell’olimpo dei blockbusters, sia stato la causa della sua esclusione.
Persino Ryan Gosling, protagonista del film candidato all’Oscar come miglior attore, ha espresso la sua disapprovazione riguardo l’esclusione della regista e dell’attrice protagonista, e ha subito dichiarato: “Ma non c’è Ken senza Barbie, e non c’è Barbie senza Greta Gerwig e Margot Robbie”.
In realtà, questo flop era stato in parte anticipato dai risultati dei Golden Globes, in cui il film è stato premiato solo come miglior successo al botteghino; categoria che, tra l’altro, è stata costituita quest’anno e che ha tanto l’aria di essere un premio di consolazione.
Il fenomeno “Barbie”
A ben vedere, probabilmente è proprio la portata del fenomeno Barbie a essere la causa della sua penalizzazione. Tra i suoi meriti innegabili c’è sicuramente quello di aver portato in sala un numero esorbitante di spettatori, coinvolgendo un pubblico eterogeneo composto tanto da giovanissimi quanto da adulti.
Barbie, come ogni blockbuster che si rispetti, è un film per tutti e non lascia nessuno escluso. La pellicola può considerarsi come la nuova formula vincente di Hollywood: la messa in scena dei grandi marchi di consumo e dei loro prodotti (in questo caso si tratta dell’azienda Mattel).
Il film di Greta Gerwig porta alla luce temi e problematiche di attuale rilevanza, prima fra tutte la discriminazione di genere. Ma facendolo attraverso la Mattel, un’azienda che per molto tempo è stata accusata di promuovere un’ideale stereotipato e maschilista di donna, si carica inevitabilmente di un problema di credibilità ideologica.
In molti si sono chiesti se Greta Gerwig si possa considerare una ‘sabotatrice dall’interno’, un’infiltrata, o se sia irrimediabilmente parte del sistema.
Le accuse rivolte a “Barbie”
Barbie è stato considerato come un prodotto eccessivamente esemplificativo, a tratti ripetitivo. Il film è stato al centro di numerosi dibattiti proprio per questo aspetto: è stato accusato di proporre soluzioni semplici e comode a problemi complessi, di pubblicizzare un femminismo spicciolo e conciliante.
Il suo didascalismo, sicuramente non involontario, è quindi da considerarsi il frutto di un’incapacità risolutiva? Così facendo, però, si rischia di assegnare al cinema un ruolo sociale di cui nessun tipo di arte dovrebbe farsi carico, ovvero quello di ‘risanare’ i danni e le mancanze della società odierna.
Piuttosto, bisognerebbe intendere il cinema, proprio in virtù dell’eco di cui gode, come una cassa di risonanza capace di portare all’attenzione di tutti i temi che, altrimenti, rimarrebbero confinati nella torre d’avorio dell’intellettualismo.
Il femminismo di Greta Gerwig
Si potrebbe quindi ipotizzare che tra i motivi di esclusione di Barbie dagli Oscar ci sia il suo carattere apparentemente contraddittorio e il suo essere veicolo di un femminismo monetizzabile e mainstream.
È tuttavia giusto sottolineare che sotto la spessa corteccia del film, fatto di astute strategie pubblicitarie e scene pop studiate a puntino, si riesce comunque a intravedere la firma autoriale della regista, che ricollega Barbie alle sue opere precedenti.
Ciò che è onnipresente nei film di Greta Gerwig è la capacità di mettere in scena dei drammi esistenziali. Da Lady Bird (2017) a Piccole donne (2019), passando anche dai soggetti delle sue sceneggiature, come nel caso di Frances Ha (2012), tutti i personaggi più emblematici della sua carriera sono donne in costante ricerca di sé stesse.
La regista racconta una femminilità autentica, si riappropria della fragilità che è sempre stata imputata alle donne, e la rende il catalizzatore per l’evoluzione dei suoi personaggi. Le sue donne sono fragili, sì, ma anche motivate, contradittorie, ambiziose e libere.
L’evoluzione di Barbie Stereotipo
In Barbie questa evoluzione è evidente. La situazione iniziale raffigura dei personaggi tipizzati, bidimensionali e macchiettistici, che si sentono profondamente inadeguati e insoddisfatti.
Tuttavia, una semplice domanda di Barbie Stereotipo (Margot Robbie), tanto deprimente quanto autentica, si opporrà all’immobilità della loro condizione. Sarà lei a chiedere: “ma voi pensate mai alla morte?”.
Ecco il punto di svolta, niente è come prima: Barbie non cammina più sulle punte, si sveglia con i capelli crespi e l’alito che puzza. Ma soprattutto, scopre qualcosa di sé che prima non conosceva: la capacità di emozionarsi, di soffrire e di rialzarsi. Sul finale la trasformazione arriva a compimento e la protagonista diventa una giovane donna.
La nuova ‘Barbie Umana’ non è un individuo risolto e realizzato: al contrario, le si apre davanti la possibilità, genuinamente umana, di essere chi vuole. Il tratto più umanistico ed esistenziale della regista è la profonda convinzione che ogni individuo possa forgiare la sua esistenza, e in questo emerge anche il suo femminismo: nel donare alle sue eroine la capacità di essere padrone di loro stesse.
Barbie è femminista nella sua ostinata pretesa di indipendenza.
Le protagoniste degli Oscar 2024
Non c’è dubbio che Greta Gerwig e Margot Robbie siano state snobbate agli Oscar. Tuttavia, c’è da chiedersi se questa decisione sia solo frutto del già noto sessismo dell’Academy, o se sia anche dovuta all’incapacità di quest’ultima di cogliere le spinte artistiche e autoriali che si celano dietro a film così commerciali, come Barbie.
Infatti, è risaputo che prodotti come le commedie, che sono più accessibili e capaci di coinvolgere un pubblico meno elitario, sono spesso sottovalutate agli Oscar perché considerate prive di spessore.
Inoltre, è giusto sottolineare che, al di là del caso Barbie, quest’anno molte altre donne hanno ricevuto candidature importanti agli Oscar. Prima fra tutte Justine Triet che, con il film Anatomia di una caduta, si è aggiudicata la nomination all’Oscar per la regia.
Inoltre, la candidatura di Lily Gladstone come miglior attrice protagonista, per la sua formidabile interpretazione in Killers of the Flower Moon, è un evento senza precedenti: è infatti la prima attrice nativa americana proveniente da un popolo indigeno a essere stata nominata.
In più, tre opere di registe donne sono in lizza per l’Oscar come miglior film: Past Lives di Celine Song, il già citato Anatomia di una caduta di Justine Triet, e lo stesso Barbie di Greta Gerwig.
Celine Song. Foto: Golden Globes.
Eppure, sebbene questi risultati siano degni di nota, è avvilente il fatto che rappresentano ancora dei casi eccezionali e fuori dalla norma.
Forse, l’aspetto più drammatico di tutta la vicenda Oscar di quest’anno non è tanto l’esclusione di Barbie, ma il fatto che ancora nel 2024 si faccia fatica a riconoscere il giusto valore alle donne, senza che questo riconoscimento abbia il sapore amaro di un banale contentino.
Alice La Morella
(Immagine di copertina: Jaap Buitendijk)