“Buonanotte Tōkyō” (edizioni e/o, 2024), romanzo di Yoshida Atsuhiro, e “Perfect Days” (2023), il nuovo film di Wim Wenders, esplorano il tema della quotidianità e della ricerca di significato all’interno di esistenze del tutto ordinarie. Attraverso un’ode alla vita di tutti i giorni, ci ricordano che è soprattutto all’interno della routine che possiamo cogliere la sottile bellezza delle piccole cose.
C’è un fil rouge che lega Perfect Days, il nuovo film di Wim Wenders candidato agli Oscar nella categoria “Miglior film internazionale”, e Buonanotte Tōkyō di Yoshida Atsuhiro, pubblicato per la prima volta nel 2018 e ora disponibile in libreria per edizioni e/o nella traduzione di Costantino Pes.
È la vita lenta, assaporata momento dopo momento. È la pulsione che spinge a trovare un senso al vivere. Ma è anche lo spazio di cura ritagliato tra le pieghe del quotidiano, che tutti abbiamo sperimentato durante i lunghi mesi del lockdown.
“Buonanotte Tōkyō”: il romanzo corale di Yoshida Atsuhiro
I personaggi di Yoshida Atsuhiro si muovono tra le strade notturne di Tōkyō la seconda città più popolosa al mondo, descritta alla stregua di uno spazio relazionale pressoché inerte: poco viene detto della città, dei suoi ambienti, delle sue attrattive. È una metropoli che vive attraverso la materia umana che la anima e che in essa sopravvive attendendo l’arrivo delle sue notti, quando il fremito del giorno si spegne e ciò che rimane è il tempo per il silenzio, per il pianto, per il rammarico, per i sogni.
Tutti i protagonisti hanno una vita che più o meno li soddisfa e mansioni senza infamia né lode che permettono di sbarcare il lunario: Matsui, tassista notturno di mezza età che indossa sempre i tipici guanti bianchi degli autisti giapponesi; Mitsuki, giovane attrezzista di scena; e Moriizumi, che si destreggia tra due lavori – impiegata in una ditta per lo smaltimento di apparecchi telefonici di notte e collaboratrice presso l’impresa di pompe funebri dei genitori di giorno.
Di alcuni di loro sappiamo molto poco, come di Eiko, aspirante attrice alla prima esperienza cinematografica, di Kōichi, distributore di giornali e attento osservatore di corvi, e di Ibaragi, titolare di un negozio di anticaglie in cui si diverte a dare nuovi, strambi nomi a strumenti finalmente “emancipati dall’uso degli esseri umani” (p. 84).
Le storie dei protagonisti di Buonanotte Tōkyō finiscono a poco a poco per intrecciarsi, sebbene in una città così popolosa la probabilità di incontrarsi per caso sia tra le più basse del pianeta.
Eppure, non è così per il tassista Matsui, che più di una volta ha preso a bordo gli stessi clienti e che, riponendo fiducia nell’opera provvidenziale della dea Coincidenza, spera di ritrovare quella donna salita una volta nella sua auto e che non ha mai dimenticato.
Non è così neppure per Kanako, centralinista alla ricerca di suo fratello minore Ren, scomparso da più di vent’anni; per ritrovarlo, spera di entrare in contatto con il “grande investigatore Shuro”, proprio quello che una volta è salito a bordo del taxi di Matsui.
“Perfect Days” di Wim Wenders: la bellezza di una vita più lenta
Nella vita dei protagonisti di Buonanotte Tōkyō non succede molto, perlomeno non nello spazio di tempo descritto dai tredici capitoli che compongono il libro. Ciò che emerge, invece, è la smaniosa ricerca di senso dei personaggi, che avvicina il romanzo di Atsuhiro al linguaggio narrativo di Perfect Days, uscito nelle sale italiane lo scorso 4 gennaio.
“Giorni perfetti”, come quelli che possono annidarsi anche tra le trame di una vita assolutamente normale, non avventurosa, non eccezionale, come quella del protagonista del film Hirayama, addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tōkyō che ogni giorno svolge il proprio lavoro con straordinaria minuzia e devozione.
Wim Wenders racconta la sua vita attraverso una lunga sequenza di quadretti narrativi ripetuti: ogni giorno, Hirayama si sveglia, piega il futon, annaffia le sue piante, prende un caffè in lattina dal distributore automatico sotto casa, sistema gli attrezzi da lavoro nel furgone e parte, con della buona musica in cassetta ad accompagnarlo durante il tragitto.
Durante la pausa pranzo, si gode un tramezzino al parco, mentre con la sua macchinetta analogica immortala il gioco di luci e ombre descritto dagli alberi nel cielo. Ogni settimana, gli scatti vengono mandati in stampa e attentamente esaminati per la conservazione, in un solenne rito fatto di scarti e di selezione.
La routine di Hirayama continua con tanti altri piccoli gesti e automatismi che lo accompagnano fino a sera. Lo stesso copione si ripete ogni giorno, con qualche imprevisto a turbare l’ordine certosino della sua quotidianità, come l’arrivo della nipote scappata di casa, evento che Hirayama, da indolente al cambiamento qual è, dovrà imparare a gestire e a sistemare nella sua vita perfettamente strutturata.
La routine come protagonista
Wenders e Atsuhiro aprono un attesissimo fronte di riflessione sul ruolo della routine e sulla rappresentazione della normalità. Perfect Days e Buonanotte Tōkyō ci impongono una pausa, una sospensione dall’azione, dalle trame grandiose e dai colpi di scena, così diffusi negli ultimi anni nel cinema e nella narrativa.
Se per alcuni, come l’attrezzista di scena Mitsuki, l’abitudine diventa una gabbia assordante, per altri, come Hirayama, è una nicchia sicura, un rifugio dalle intemperie della vita, dagli incontri inattesi, dalle cose che non possono essere controllate.
Per Mitsuki, “Allo stesso punto” aveva due significati. Uno positivo, “Bene che le cose non cambino”, l’altro era quando lo usava per maledirsi e lamentarsi di se stessa che non cambiava mai niente, come una specie di ricordo sempre uguale.
Buonanotte Tōkyō di Yoshida Atsuhiro (pag. 184)
In qualità di nostra creazione personale, la routine, di fatto, è uno stato di cose inoffensivo. Essa, però, può assumere vita propria quando le diamo il potere di renderci schiavi o figli devoti.
Ma è tra le sue pieghe che si insinuano i dettagli, apparentemente banali, su cui Wenders e Atsuhiro hanno costruito la grammatica dei loro capolavori: Hirayama che trova un foglio con il gioco del tris infilato da uno sconosciuto nella fessura di un bagno, l’ultimo gradino di una vecchia scala che l’Ayano di Atsuhiro compra nel negozio del rigattiere Ibaragi per “arrivare al piano superiore” della sua vita…
Fare pace col cambiamento
Le vite dei protagonisti di Perfect Days e Buonanotte Tōkyō vengono continuamente perturbate da piccoli eventi che aprono una crepa negli ingranaggi apparentemente perfetti della loro routine: i percorsi incrociati dei personaggi di Atsuhiro, alle prese con incontri casuali e misteriosi; il colloquio tra Hirayama e sua sorella, che fa riemergere in superficie dissidi familiari non ancora ricomposti; il primo terremoto che sorprende Eiko mentre è “nuda e indifesa” nella vasca da bagno (p.111); il sentimento di affetto, forse amore, che Hirayama scopre di avere per Mama, la proprietaria del ristorante dove si reca abitualmente.
La logica securitaria garantita dalla routine, tuttavia, non protegge dal rischio rappresentato dal cambiamento improvviso; tutto scorre, molto cambia, e ciò che resta da fare è trovare il punto di equilibrio tra progettualità e caso fortuito: lo scopre Hirayama, che reagisce al moltiplicarsi delle linee di rottura nella sua quotidianità oscillando tra il riso e il pianto, nella straordinaria scena finale sulle note di Feeling Good.
L’abitudine è una barriera che non può reggere alla forza dell’imprevedibilità, neppure ai suoi impulsi bruti e dispotici che mettono l’uomo direttamente a contatto con la morte: viene da chiedersi come Hirayama riuscirà a familiarizzare con la notizia di un tumore che sta per stroncare la vita di Tomoyama, ex marito di Mama che il protagonista incontra una sera lungo la sponda del fiume Sumida. Probabilmente l’accetterà, perché il cambiamento – corrente che abbevera la vita di acqua nuova, giorno dopo giorno – va accolto, interpretato, reso amico.
Lo sa bene Mitsuki che, dopo aver tentato per mesi di sfilarsi dal dito un anello di fidanzamento troppo stretto, decide di tornare a indossarlo proprio nel momento in cui era riuscita a liberarsene.
Ci stava provando con tutte le forze ma non veniva via, quell’anello le restava avvinghiato all’anulare come una cosa viva.
Buonanotte Tōkyō di Yoshida Atsuhiro (pag. 18)
Attraverso un rovesciamento nelle gerarchie di visibilità, Wenders e Atsuhiro spalancano il sipario su una massa sterminata alla cui convenzionalità, ancora, non è stata data sufficiente voce.
Per farlo, scelgono trattamenti a linee pastello con cui restituiscono le vite di uomini e donne non fuori dalla media, ma così dentro, fieramente e ansiosamente, a quel valore intermedio delle loro esistenze da risultare eccezionali nella loro assoluta normalità.
Buonanotte Tōkyō e Perfect Days ci ricordano che non tutti sono alla ricerca di qualcosa di straordinario: chi lo è, teme quel futuro e imprevisto cambiamento che dovrà addomesticare e assorbire nella propria, santificata routine.
Ma tutti, in un modo o nell’altro, accettano di stare dentro alla reiterata garanzia di uniformità dell’abitudine, felici di trovarvi un senso alla vita, ancora.
Alexandra Bastari
Non c’è nulla di strano nell’essere normali – La lezione di “Perfect Days” e “Buonanotte Tōkyō” è un articolo di Alexandra Bastari. Clicca qui per altri articoli a tema cinema.