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“La Chimera”, di Alice Rohrwacher – Cercare sempre un’altra prospettiva 


“La Chimera”, il nuovo film di Alice Rohrwacher, racconta le vicende di un gruppo di tombaroli nell’Italia degli anni ’80. L’opera è un manifesto della visione estetica e politica della regista, che, ancora una volta, invita i suoi spettatori a cercare il confronto con l’altro, con il diverso.


La storia di Arthur e dei suoi tombaroli 

Se è vero che un’opera si riconosce a partire dal suo autore, allora il caso del nuovo film di Alice Rohrwacher è emblematico. La Chimera appare come la sintesi ideale della poetica della regista, che dimostra, ancora una volta, di essere in grado di rimanere fedele a se stessa senza mai risultare monotona o ripetitiva. 

Josh O’Connor e Alice Rohrwacher sul set della Chimera. Foto Simona Pampallona.

Il film racconta la storia di Arthur, un giovane e sgangherato archeologo inglese, che dopo essere uscito di prigione ritorna nel piccolo paese della Tuscia in cui abita. Degna di nota l’interpretazione di Josh O’Connor, che è stato capace di donare al suo personaggio un’aria burbera e scontrosa, ma molto affascinante e squisitamente inglese.

Il protagonista trova, ad accoglierlo al suo rientro, il vecchio gruppo di amici, nonché la causa del suo arresto: una banda di tombaroli che si procura da vivere depredando le tombe etrusche della zona. Nonostante le inziali resistenze, ben presto l’uomo si fa convincere e torna a operare insieme ai suoi complici.

Il contributo di Arthur è essenziale poiché possiede un dono inestimabile: un sesto senso che gli permette di captare la presenza dei morti, e quindi delle tombe sotterranee. Arthur è l’anello di congiunzione con l’aldilà, è il depositario di un sapere ultraterreno e inaccessibile, ma capace di dispiegare, in quell’attimo estatico, tutte le potenzialità della Natura. 

Italia, un personaggio indipendente 

L’uomo è abituato a vivere isolato da tutti, in una specie di capanna a ridosso del paese e sprovvista di qualsiasi agio. È un ragazzo malconcio e malinconico che mangia e si lava poco.

L’unica persona a cui sembra essere legato è Flora, una vecchia signora, interpretata da un’ineccepibile Isabella Rossellini, che vive in un fatiscente palazzo nobiliare.

Arthur la conosce bene, perché è la madre di Beniamina, la sua defunta fidanzata.

Isabella Rossellini (Foto: Wikimedia).

Flora, incapace di accettare la morte della figlia, continua ad aspettarla invano, e nel frattempo si lascia accudire dalla servile e paziente Italia, una ragazza solare che ben presto stabilisce una profonda e ambigua connessione con il protagonista. 

Sarà lei, infatti, l’unica a indignarsi per le azioni criminose della banda di tombaroli, e ad accusarli di infrangere un patto sacro e antichissimo, di irrompere in una dimensione inaccessibile agli esseri umani. “Ci sono cose che non sono fatte per gli occhi degli uomini”:  sono queste le parole profetiche che la ragazza rivolgerà ad Arthur e ai suoi, e che accenderanno nel protagonista un nuovo senso di giustizia e sacralità.

Italia, interpretata da Carol Duarte, è l’unico personaggio che vanta un arco narrativo indipendente, e che sembra uscire incolume dalla tragedia dell’immobilità che risucchia tutti gli altri. Nelle scene finali la donna, finalmente non più succube delle richieste di Flora, occupa una vecchia stazione, e lì, in una sorta di comune matriarcale, cresce in pace i suoi figli.

La Chimera
Italia e Arthur. Foto: La Repubblica.

Alla ricerca di un sogno

Alice Rohrwacher mette in scena personaggi profondamente insoddisfatti, tutti alla ricerca della loro chimera. I tombaroli bramano la ricchezza e continuano a scavare sperando di trovarla sottoterra, Flora aspetta la figlia, Italia pretende un futuro più stabile, e Arthur è alla disperata ricerca della bellezza, della pace e del suo amore perduto, Beniamina.

Ma una chimera è, per definizione, irraggiungibile: anche quando si crede di averla in pugno, questa non si lascia ammaestrare e scappa via.

La Chimera
Foto: Javardh (Unsplash).

Una chimera è un ideale, è il motore della ricerca ma non può mai essere la meta, perché smettere di cercare equivale, per gli esseri umani, a morire. 

Il ruolo della natura

La Chimera è un manifesto dell’estetica della regista, in cui tutti gli elementi che caratterizzano la sua produzione emergono con una forza dirompente e giungono a una nuova maturità. Basti pensare alla centralità che, ancora una volta, occupa la natura. Anche in questa ultima pellicola, come nelle precedenti, l’elemento naturale non è solo uno sfondo inanimato, al contrario gli è assegnata una capacità di azione e influenza, una forza vitalistica. 

Tutti i personaggi di Alice Rohrwacher, a partire da quelli dei primi film come Le Meraviglie (2014) e Lazzaro Felice (2018), vivono immersi in una natura incontaminata e padrona di se stessa. Anche Arthur è figlio primogenito di questa natura, che cresce indisturbata tra le crepe della città e sopravvive con fierezza alla civilizzazione; una natura ribellecrudele, e capace di rivelare, con la sua forza generatrice, le verità più intime e profonde dell’universo.

Il protagonista, grazie a questo legame indissolubile con la terra, quasi corporeo, riesce ad avvertire la presenza delle anime sotterranee. Una volta giunta la ‘chimera’, così chiama il suo sesto senso, l’archeologo si mette a scavare con frenesia, instancabilmente, fino a quando, con i vestiti logori e le unghie spezzate, non riesce finalmente a ricongiungersi alla terra e alle sue radici. Si tratta di una vera e propria metamorfosi.

L’incontro con l’altro

Si potrebbe imputare alla regista di aver fornito una narrazione fin troppo generosa e romanticizzata di un gruppo di tombaroli, a maggior ragione se si considera che il trafugamento e il traffico illecito dei beni archeologici è stata una vera e propria piaga per l’Italia degli anni ’80. Ma la forza di Alice Rohrwacher è sempre stata quella di costringere lo spettatore a fare i conti con personaggi scomodi e contraddittori, le sue pellicole nascono sempre da una riflessione sui limiti e le dissonanze del rapporto tra individuo e società.

 La Chimera mette in scena dei personaggi ai margini, dei reietti, che nei loro abiti eccentrici e nel loro aspetto non convenzionale ricordano molto quelli di Amarcord (1973) di Fellini, che non a caso è uno dei punti di riferimento dichiarati della regista. In un’intervista a Vogue Italia, Rohrwacher ha affermato:

Ma lui (Fellini) è stato un grande autore tragico, anche se spesso ci viene descritto come il regista del sogno. Per me è, diciamo, un realista, anche quando racconta le favole ha sempre la realtà in mente, e lo trovo più reale di altri autori palesemente ispirati alla vita vera. 

Alice Rohrwacher

Esattamente come il suo maestro, anche la regista toscana, quando realizza i suoi film, è in cerca dell’autenticità, che si nasconde sotto il materialismo opprimente e il disincanto dell’epoca contemporanea. È una realtà che si scopre solo nell’incontro con ciò che è estraneo, diverso. Ecco qual è la vera chimera che Alice Rohrwacher continua a inseguire: la speranza che nello scontro con l’alterità, col dissonante, lo spettatore comprenda che c’è un mondo intero da scoprire lì fuori. 

Un invito rinnovato

Il senso più politico e profondo del film è già racchiuso nella sua locandina: l’affiche dell’Appeso dei tarocchi che guarda la realtà a testa in giù. È questo lo sforzo che chiede la regista, quello di cercare un’altra prospettiva, di non accontentarsi mai del proprio punto di vista e di diffidare sempre del pensiero unico.

Ed è un invito che rinnova lungo tutta la pellicola, a partire dal capovolgimento di macchina che mostra Arthur al contrario quando scopre una tomba. Ancora una volta si chiede al pubblico di cambiare prospettiva e di assumere quella del protagonista: un uomo fragile e solo, che scopre nei resti sotterranei l’unico spiraglio di bellezza a cui aggrapparsi. 

La Chimera
Immagine di copertina della Chimera. Foto: Mymovies.

Arthur non è un tombarolo, non è interessato al profitto che può ricavare da quegli oggetti, al contrario lui è un cultore dello stupore, della meraviglia. Ecco perché le parole di Italia lo tormentano.

Così, quando osserva, in una delle scene più tragiche del film, tutti quegli individui avidi contendersi la testa della statua da lui trovata, così incapaci di riconoscerne il valore spirituale, decide di buttarla in mare e di restituirla alla terra. Ma l’attrazione del protagonista per il mondo sotterraneo è fatale e non gli permette di trovare la pace lontano da quei cubicoli. E così che, alla fine del film, l’uomo rimane sepolto sotto una tomba, vittima della sua stessa terra, e ricongiunto, una volta per tutte, alla morte e alla sua amata perduta. 

Il film si conclude sulle note della canzone di BattiatoGli uccelli, e affida il suo monito finale alle parole immortali del cantautore:

Cambiano le prospettive al mondo, voli imprevedibili ed ascese velocissime, traiettorie impercettibili, codici di geometria esistenziale.

Un’opera fatta per le anime

La Chimera è un’ode alla lentezza, è un’opera fatta di ritagli intimi, uniti tra loro grazie alla straordinaria abilità artigianale della regista, che riesce a lavorare con maestria a ben tre formati di pellicola diversi. Il film mette in scena una storia fatta di contraddizioni: amore e perdita, sacro e profano, etica e individualismo, vita e morte.

Ancora una volta Alice Rohrwacher, con la delicatezza e l’autenticità che la contraddistinguono, ricorda a tutti, servendosi della voce di Italia, che ci sono opere che: “non sono fatte per gli occhi degli uomini, ma delle anime“, e la sua è una di queste. 

Alice La Morella

(Immagine di copertina: Internazionale)


Cercare sempre un’altra prospettiva è la recensione di Alice La Morella su La Chimera, di Alice Rohrwacher. Clicca qui per altre recensioni dell’autrice.  

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