Ogni bambina timida ha un sogno che inizialmente è solo un gioco. Silvia Mezzanotte ci ha raccontato di come ha trasformato la sua passione in un mezzo per aiutare i suoi allievi e coinvolgere il pubblico, dagli esordi fino alla consacrazione con i Matia Bazar.
Beatrice Russo: Partiamo dalle tue origini. Sei nata a Bologna, dove vivi tuttora. Qual è il tuo legame con la città? Credi che la cultura musicale bolognese abbia avuto un’influenza sulla tua produzione artistica?
Silvia Mezzanotte: Ho un legame profondo con la mia Bologna, soprattutto per la sua capacità di accoglienza e per la sua apertura mentale. Non è scevra dai problemi delle grandi città, ma ha mantenuto una sorta di attenzione verso l’individuo che si esprime in ogni cosa, dalla ristorazione ai rapporti di buon vicinato. Ovviamente tutto questo ha influito anche sulla mia attività artistica. È più facile crescere in un mondo dove la musica è considerata un valore aggiunto piuttosto che un semplice passatempo.
B.R.: In altre interviste hai dichiarato di essere stata una bambina molto timida: in che modo il canto ti ha aiutato a superare le tue paure? Hai ancora dei momenti in cui la timidezza riaffiora?
S.M.: Si scende a patti. Con la paura del giudizio, l’insicurezza e il senso di inadeguatezza si può solo scendere a patti. Ed è un duro lavoro da fare su sé stessi. Io, per fortuna, l’ho fatto anche attraverso la voce e quella paura mi ha lasciato una grande eredità: quel quid che ti ricorda ogni giorno il privilegio del mestiere che fai, l’amore che il pubblico prova per te e il rispetto che devi avere nei suoi confronti. Tutto questo mi permette di salire sul palco senza mai dare nulla per scontato, con quella leggera emozione che provo ogni sera e mi permette di trasformare ogni sentimento in note musicali.
B.R.: Hai sempre desiderato fare la cantante o avevi anche progetti alternativi alla carriera musicale?
S.M.: Non avevo progetti alternativi, il canto era il mio gioco da quando avevo cinque anni.
B.R.: Hai partecipato a numerose edizioni del Festival di Sanremo. La prima volta è nel 1990, quando hai esordito nella sezione Novità con Sarai grande. Qual è stato il primo impatto con la kermesse? Come è stato condividere il palco con artisti affermati come Mia Martini o i Pooh?
S.M.: La prima volta, nel 1990, ero una ragazza molto giovane e inesperta. Ho vissuto quel palco un po’ come Alice nel Paese delle Meraviglie. Ricordo di essere salita sul palco per fare le prove dopo Ray Charles. Dopo quell’esperienza, la luce su di me si è accesa e spenta nel corso di un paio di anni. Invece di disperarmi mi sono messa in gioco e in discussione. Ho studiato e lavorato sodo per ottenere un’altra occasione. Ci sono voluti dieci anni, ma poi è arrivato il mondo dei Matia Bazar.
B.R.: Come vi siete conosciuti tu e i Matia Bazar? Tu eri una loro grande fan: cosa hai provato quando sei diventata la vocalist della band?
S.M.: Dal primo momento ho creduto fortemente di avere le qualità per interpretare quel ruolo, ma la mia insicurezza era sempre dietro l’angolo. Dopo tre audizioni mi hanno presa nel gruppo: mi è sembrato un sogno, coronato immediatamente da un festival di Sanremo di grande successo con Brivido caldo.
B.R.: Sentivi il confronto con le cantanti che ti hanno preceduto? Nonostante i numerosi cambi di formazione avvenuti nel corso degli anni, il pubblico era preparato a questa novità?
S.M.: Il pubblico non è mai pronto a un cambio di formazione. Io sono ancora scioccata dalla separazione di Albano e Romina! Chi si avvicina a un gruppo si affeziona ai componenti storici ed è dura fargli cambiare idea. Io sapevo di avere nella voce e nel modo di essere una qualità fondamentale per stare su quel palco: il rispetto per il mio passato. Credo sia stata la chiave vincente per quel momento storico, quella musica, quella formazione.
B.R.: Com’è stato tornare a Sanremo dieci anni dopo, in compagnia dei Matia Bazar?
S.M.: Avevo un’altra esperienza. Ero pronta. Sapevo di avere i fucili puntati contro, ma ero consapevole di avere le carte giuste per quel ruolo e una canzone che poteva lasciare un segno, e così è stato: Brivido caldo è ancora uno dei brani più cantati del mondo Matia Bazar anni 2000.
B.R.: Nel 2002 avete vinto il Festival di Sanremo con Messaggio d’amore. Quale ricordo conservi di quell’edizione? Hai qualche aneddoto particolare?
S.M.: Ricordo che dopo la proclamazione mi sono imposta di non cedere all’emozione. Sapevo di dovere affrontare foto, interviste, Tg, conferenza stampa e mi sono imposta di essere lucida, sia per me che per i miei compagni di viaggio. Alle cinque ci siamo finalmente seduti per cenare e insieme abbiamo pianto, rendendoci conto del bel risultato che abbiamo conseguito.
B.R.: Affermi di avere un’anima pop, nel senso di popolare, vicina alle persone. Come descriveresti il tuo rapporto con i fan?
S.M.: Senza filtri. Il palco porta distanza, perché i brani che canto sono notoriamente molto difficili da interpretare. Chi viene a vedere un mio spettacolo in genere segue ammirato i miei volteggi vocali: piuttosto che per cantare a squarciagola come in altri concerti, viene per ascoltare. Per questo, appena scendo dal palco, cerco di togliere questa distanza anche memore della mia timidezza, che mi porta ad abbassare le barriere e mi rende il più possibile empatica e alla mano.
B.R.: Da anni porti in scena lo spettacolo Le mie regine. Quando è nata l’esigenza di dare voce alle cantanti che ti hanno ispirato? Che ruolo hanno avuto nella tua formazione musicale?
S.M.: Sono le grandi donne dello spettacolo che hanno contribuito alla mia crescita. Con il loro esempio di vita mi hanno inconsapevolmente aiutata a diventare quello che sono. Per me, come per molte di loro, la paura del giudizio è stata difficile da affrontare. Quando ho scoperto le loro vite piuttosto complicate ho deciso di celebrarle, farle conoscere. In un mondo in cui le donne devono sempre dimostrare di valere il doppio, volevo fortemente fare capire al pubblico che anche sul palcoscenico esistono problemi da affrontare e che spesso chi sceglie questa vita deve poi fare grandi rinunce sotto il profilo personale e umano.
B.R.: Negli ultimi anni hai portato in scena anche altri spettacoli, come La nostra storia, insieme a Carlo Marrale, col quale ripercorri i momenti più importanti della storia dei Matia Bazar, e Duettango, in cui omaggi Astor Piazzolla. Come varia la risposta del pubblico a seconda degli spettacoli?
S.M.: Ogni spettacolo che ho portato in scena è un racconto di vita. Con Carlo raccontiamo le nostre carriere nei Matia Bazar tra ricordi e risate e il pubblico ci segue. Il pubblico va sempre accompagnato per mano. Anche nello spettacolo più particolare come quello dedicato ad Astor Piazzolla ho voluto fare uno studio approfondito sulla sua vita e le sue canzoni, in modo che lo spettatore possa immergersi in quell’atmosfera, assaporando per due ore il piacere di essere catapultato nell’Argentina degli anni ‘60.
B.R.: L’anno scorso tu e Carlo Marrale avete celebrato i quarant’anni di Vacanze romane. Credi che una canzone di questo decennio possa ambire a una fama così longeva? Cosa pensi dell’evoluzione dell’industria musicale italiana?
S.M.: È tutto cambiato. Difficile riuscire a fare musica che resta. È cambiata la maniera di fare la musica e soprattutto di fruirla. Tutto nasce predisposto per una rapidissima obsolescenza programmata. Al momento mi sembra complicato pensare che da qui possa nascere capolavori come Vacanze Romane o Ti sento.
B.R.: Per te il contatto con i giovani è molto importante: fra i progetti dedicati a loro spicca la Vocal Academy, un’accademia musicale in cui insegni canto usando dei metodi innovativi. In cosa consistono e come differiscono dall’insegnamento tradizionale? Quali sono i loro benefici?
S.M.: Sono tecniche di canto con esercizi specifici per ogni allievo che permettono di rendersi conto della propria attitudine vocale e di come migliorarla. Lavoriamo sulla personalità specifica di ogni studente attraverso lo studio della teoria, ma cerchiamo di costruire spettacoli ad hoc affinché gli allievi abbiano da subito la percezione diretta del live.
B.R.: Hai parlato di «un contatto umano che tanto mi è mancato nella mia crescita professionale». Potresti approfondire questa affermazione? Come cerchi di applicare questo contatto umano con i tuoi allievi?
S.M.: Ritorniamo anche in questo caso alla mia timidezza. Da ragazza avrei voluto poter parlare con qualcuno che facesse il mio mestiere e che avesse voglia di esporsi raccontando i successi, gli insuccessi e come rialzarsi quando si cade…perché inevitabilmente si cade. È come ci si rialza che fa la differenza. Dato che mi è tanto mancato questo contatto, ho deciso di dedicare parte della mia vita e della mia professione proprio a questo.
B.R.: Quali consigli daresti a un ragazzo che vuole avvicinarsi al mondo della musica?
S.M.: Al momento è molto difficile dare consigli, perché ai giovani viene richiesto un modo stereotipato di essere, nonché di cantare: ormai si fa ricorso all’autotune, che ha l’effetto di appiattire le voci – e forse anche i cervelli…Purtroppo questo rende gli artisti tutti uguali. Io invece insegno imperterrita a cercare la propria personalità, a lavorare su se stessi per essere unici. Per fare questo occorre studiare molto, impegnarsi tanto, e fare gavetta.
B.R.: Hai detto più volte di essere una grande sperimentatrice. C’è un campo a te sconosciuto che vorresti esplorare? Hai in mente qualche progetto da realizzare in futuro?
S.M.: Ci sono alcuni progetti che mi porteranno a sperimentare nuovamente la mia voce in altri ambiti. Vedranno la luce a breve, ma non ne parlo ancora per scaramanzia. Magari sarà l’occasione per la prossima intervista.
Intervista a cura di Beatrice Russo.
Editing e impaginazione di Blu Di Marco e Benedetta Bellucci.
(In copertina Silvia Mezzanotte da Tgcom24)