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Giorgio Ieranò, tra Odisseo, Nausicaa e l’idillio mancato

Giorgio Ieranò copertina

Martedì 19 dicembre 2023, presso l’oratorio di San Filippo Neri (Bologna) si è tenuto il quarto appuntamento della rassegna La voce degli antichi. Ospite della serata il filologo e scrittore Giorgio Ieranò, che, assieme al professor Federico Condello, ha presentato al pubblico bolognese il suo nuovo libro, “Omero. Nausicaa e l’idillio mancato” (il Mulino, 2023). A margine, Lorenzo Bezzi e Davide Lamandini gli hanno posto alcune domande.


Il quarto incontro della rassegna La voce degli antichi ha avuto come protagonista Giorgio Ieranò, traduttore teatrale per l’INDA e ordinario di Letteratura greca all’Università di Trento. Tra i suoi libri più recenti, Il mare d’amore (Laterza, 2019), Elena e Penelope. Infedeltà e matrimonio (Einaudi, 2021) e Atene. Il racconto di una città (Einaudi, 2022). Il tema centrale è stato il suo ultimo saggio, pubblicato per i tipi del Mulino, Omero, Nausicaa e l’idillio mancato (2023).

Alla fine del V libro dell’Odissea, Ulisse, sfinito dal lungo viaggio e dalla tempesta che ha distrutto il poco che rimaneva della sua nave, giunge sulla riva di Scheria, isola dei Feaci, e lì crolla a terra, esausto. Tuttavia, Atena ha ancora dei progetti per lui: non molto lontano, la giovane Nausicaa, principessa di questo regno e figlia del sovrano Alcinoo, sta per recarsi su quella stessa spiaggia insieme alle sue ancelle.

Un orizzonte vicino prospetta un possibile matrimonio con questa ragazza, la sua ultima tentazione, come hanno scritto alcuni, il solo ostacolo che resta al ritorno a casa; e un orizzonte lontano, invece, vagheggia Penelope, nella reggia di Itaca, circondata da uno stuolo di pretendenti e forse già sposata con un altro uomo…

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Foto di copertina: il Mulino.

Davide Lamandini: Nel libro descrive Nausicaa come una “ragazza […] ai margini di una grande avventura” (p. 7), che tutto sommato dice poco e fa poco, e scompare in poco tempo per lasciare spazio e voce agli uomini della storia, perché possano fare le loro cose da uomini; lo spazio che le è dedicato non è poi molto diverso da quello di tante altre eroine del mondo epico. Perché nei poemi omerici le donne hanno una consistenza così marginale e perché sono ridotte a pallidi clichée, in genere della sedotta o della seduttrice, ruoli opposti ma in un certo senso complementari – come, ad esempio, nel caso del personaggio di Nausicaa?

Giorgio Ieranò: Magari mi sbaglierò, ma io mi sono fatto l’idea che, non solo nell’Odissea ma anche nell’Iliade – benché in misura quantitativamente minore, perché la maggior parte dei suoi personaggi è composta da uomini –, i personaggi femminili dei poemi omerici in realtà siano centrali, tutt’altro che subalterni alla dimensione maschile, e tutt’altro che ridotti a stereotipo. Poi, è chiaro, la società era quella che era, e su questo non c’è alcun dubbio.

Tuttavia, se pensiamo al personaggio di Elena, che attraversa l’Iliade per arrivare all’Odissea, credo sia stato messo in luce a partire dagli stessi commentatori antichi – e si pensi, ad esempio, a Eustazio – che è quasi una seconda narratrice. Quando compare, nel III canto dell’opera, sta tessendo una tela, e Omero si avvicina con una sorta di zoom cinematografico e ci mostra che su quella tela Elena sta tessendo le sofferenze che in quel momento gli Achei e i Troiani stanno patendo per lei, ossia la Guerra di Troia. Eustazio, scherzando, dice che secondo lui Omero era lì presente, di fronte a lei, e stava prendendo appunti sulle sue tavolette per poi comporre l’Odissea. Il cantore, tuttavia, finisce l’Iliade con i funerali di Ettore, Elena continua a tessere la storia fino alla fine della storia.

Non è un caso che le ultime parole dell’Iliade di fatto siano sue, quando si chiede “ora che ne sarà di me”; il suo è un personaggio quasi protagonista. Ora che è morto Ettore, che la difendeva quando il mondo intero era contro di lei e tutti la chiamavano “cagna” o “svergognata”, il destino di Elena è tornare a essere la donna che tutti odiano. Ha vissuto questa avventura dell’Iliade come una breve parentesi e in un qualche modo subito dopo piomberà di nuovo a essere il personaggio stereotipato della cagna.

Viceversa, quando la ritroviamo nell’Odissea, nel IV canto, si mette a banchetto a raccontare una storia epica, l’azione di spionaggio di Odisseo a Troia, e alla fine il marito Menelao le dice che ha parlato κατὰ κόσμον [katà kòsmon, ossia “con ordine” e quindi “correttamente”, ndr], che è lo stesso complimento che Odisseo rivolge al cantore Demodoco presso la corte dei Feaci. Dunque, si tratta di personaggi complessi.

È ovvio che poi nell’Odissea tutti i personaggi vivano in funzione di Odisseo, e anche quelli maschili in un certo modo gli sono subordinati – si pensi a Telemaco –. Anche Penelope, però, è un personaggio di cui vediamo pensieri e punti di vista, e magari anche le ambiguità che poi generano quella tradizione di “Penelope svergognata” perché si muove troppo liberamente tra i Proci e si fa vedere troppo spesso tra di loro, come notavano già gli antichi.

Oppure, pensate anche a un personaggio come Teti, all’interno dell’Iliade, un personaggio che in genere non piace a nessuno, tranne che a me. È lei, ad esempio, a mettere in moto alcuni degli snodi fondamentali dell’opera: convince Zeus a far andare male la guerra ai Greci, mandando un sonno ingannevole ad Agamennone; va da Efesto a chiedergli le armi per il nuovo duello.

Quindi, mi sono fatto l’idea che, rispetto a quello che pensavo magari all’inizio, in realtà questi personaggi femminili siano meno stereotipati di quello che potrebbero sembrare, oppure di come sono stati interpretati in seguito. È chiaro che poi Elena diventa la “cagna” per eccellenza e Penelope la “moglie fedele”, ma credo che molta parte di questi stereotipi sia post-omerica, un’aggiunta a un Omero che come sempre è molto più ambiguo e sfumato di come possa sembrare.

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Giorgio Ieranò e Federico Condello.

Federico Condello: Non si sta mettendo in discussione il sessismo granitico della cultura antica, compresi i poemi omerici, ovviamente; l’Odissea si chiude con la strage dei Proci e con un femminicidio di massa, non ce lo dimentichiamo [si sta facendo riferimento alla strage delle ancelle traditrici, appena successivo a quella dei pretendenti ndr]. Qui ci troviamo di fronte a società aristocratiche che indubbiamente sono presenti in tutta la storia della cultura antica: tuttavia, i clichée odiosi di razzismo, disuguaglianza e sessismo sono presentati nei testi in forma attenuata, talvolta paiono perfino prossimi al superamento.

Ci piaccia o non ci piaccia, il peggio della cultura classista, razzista e sessista occidentale viene dalla tradizione più democratica dell’antichità: il poco che ha tentato di superare tutto ciò appartiene alle aristocrazie. Omero è poema delle aristocrazie, su questo non c’è dubbio, e solo in un secondo momento è poema popolare, per le masse. Ma nasce come ritratto dell’aristocrazia e per l’aristocrazia, e alligna una visione sicuramente più lontana da quella che avrebbe caratterizzato un qualsiasi personaggio medio di Aristofane nel V secolo.


D.L.: In molti hanno letto l’approdo di Odisseo alla terra di Scheria come l’inizio di quella parentesi tutto sommato ben conchiusa all’interno del poema (VI-XIII) che raduna l’insieme di avventure propriamente “fantastiche”. In questo caso, dobbiamo immagine un processo consapevole dal punto di vista degli aedi o no?

G.I.: Dietro a questa domanda sta il grande problema della composizione dei poemi omerici, e nessuno di noi sa realmente come si siano formati i testi che ci sono arrivati. Ci sono stati sicuramente secoli di tradizione orale, ma anche secoli di tradizione manoscritta, in cui vari elementi sono stati aggiunti, altri modificati, in base alle esigenze degli aedi.

La mia opinione è che l’Odissea per come la leggiamo, comunque sia nata, abbia una struttura narrativa rigorosissima, dove tutto si incastra con tutto: c’è qualche ripetizione, ma l’insieme è strutturalmente coeso.

Anche ammettendo che la Telemachia [libri I-IV, ndr] e gli Apologoi [libri VI-XIII, ndr] in origine fossero dei poemi distinti, in ogni caso chi li ha messi insieme lo ha fatto con una sapienza notevole.

Per questo, dal mio punto di vista, l’episodio dei Feaci serva a compiere questa sorta di ricucitura, proiettata da un lato verso il futuro, il ritorno a casa, e dall’altro verso il passato, perché è il momento in cui sappiamo tutto quello che è capitato a Odisseo.

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Giorgio Ieranò e Federico Condello.

La stessa strategia narrativa a me sembra estremamente raffinata; quindi, pur ammettendo che l’Odissea avrà subito numerosi rimaneggiamenti nel corso dei millenni, mi sembra innegabile – ed è sembrato innegabile ad alcuni grandi studiosi come Vincenzo Di Benedetto – l’esistenza di una idea autoriale.


D.L.: Secondo lei, è possibile leggere l’episodio di Nausicaa dal punto di vista antropologico, all’interno del più vasto viaggio iniziatico dell’eroe che deve tornare a casa con gli strumenti per governare – bene, si spera – il suo popolo?

G.I.: Io credo di sì, e non è una tesi solo mia. Nel suo complesso, come abbiamo detto, il mondo dei Feaci è un posto anche inquietante, che può essere pericoloso e dove non sempre Odisseo è visto con benevolenza, e sicuramente in un poema che ha come centro di gravità il ritorno a Itaca – il suo protagonista non è l’eroe che cerca l’avventura, ma quello che cerca di evitarla – anche l’ipotesi di arenarsi, pure in un regno così splendido, pure con una fanciulla così desiderabile, credo che rappresenti davvero quell’ultima tentazione, quell’ultimo ostacolo da superare.

Questo regno dei Feaci così splendido a vedersi, come per certi versi può essere l’isola di Calipso, cela il rischio di essere un paradiso che ti imprigiona. E da questo pericolo Odisseo deve a tutti i costi sfuggire per poter tornare a casa.

Intervista a cura di Davide Lamandini, con la collaborazione di Elettra Dòmini e Francesco Faccioli; con Alexandra Bastari e Gaia Marcone.

(in copertina Giorgio Ieranò e Federico Condello; tutte le foto presenti nell’articolo sono di Giovani Reporter).


L’intervista a Giorgio Ieranò su Omero. Nausicaa e l’idillio mancato è stata realizzata in collaborazione con l’Oratorio di San Filippo Neri e la casa editrice Il Mulino:

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Sull'autore

Classe 2000. Mi piacciono le storie, qualsiasi sia il mezzo che le fa circolare o la persona che le racconta. Credo nella letteratura, nel tempo che passa e nelle torte al cioccolato per le giornate più tristi. Aspetto con impazienza domani e, nel frattempo, leggo, scrivo e traduco qualche lingua morta persa in un passato lontanissimo.
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