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“Madre Patria” di Parsi è un inchino a Meloni

Parsi copertina

Partigiani

Il patriota atlantista

Nella continua battaglia culturale che le parti politiche conducono attraverso i tentativi di appropriazione e risemantizzazione delle parole e dei concetti la patria ha un ruolo centrale. Ciò è evidente in Spagna, in Ucraina, in Israele, a Taiwan ed è riscontrabile in parte anche qui in Italia, sebbene avvenga in maniera più sottile.

La patria italiana, rinata nel 1946 come repubblica antifascista figlia della Resistenza, è oggi in crisi perché l’arco costituzionale che l’ha fondata non esiste più e quindi non può più difenderla. Al suo posto si sono imposte nuove forze di natura liberal-oligarchica. Queste sono intenzionate a rottamare la vecchia patria per costruirne una diversa, epurata degli elementi di giustizia sociale e di democrazia sostanziale tipici dell’Europa Occidentale postbellica.

In appoggio a questa missione controriformatrice, che ieri spettava al governo Renzi e oggi al governo Meloni, si inserisce il saggio Madre Patria di Vittorio Emanuele Parsi (Bompiani, 2023), professore di Relazioni internazionali alla Cattolica di Milano.

Parsi ha acquisito una discreta fama nazionale come commentatore della guerra in Ucraina, in particolare dopo un breve battibecco con Alessandro Orsini nel marzo 2022.

In quell’occasione Vittorio Emanuele – nomen omen – si è dato alla fuga ma ciò non gli ha impedito di lanciarsi come paladino della causa ucraina contro la Russia, da lui costantemente paragonata alla Germania nazista.

Copertina di Madre Patria di Parsi
Copertina del libro Madre Patria di Parsi.

Come il nostro cuor di leone aveva già sostenuto in Il posto della guerra (2022), il conflitto in Ucraina è solo un tassello di una guerra più larga che vede contrapposte le barbariche autocrazie orientali alla pacifica civiltà democratica dell’uomo bianco, ormai giunta alla fine della Storia e perciò impreparata allo scontro finale.

Pertanto, è arrivato il momento di serrare le fila dell’Occidente, smascherando i “pacifinti”, i “prezzolati” e le “anime belle” che si oppongono alla via del confronto muscolare o che semplicemente di questo fantomatico Occidente non si sentono parte.

I discorsi di Parsi, dunque, oltre che intolleranti, sono intrinsecamente antipatriottici. Non provano mai a riflettere su come espandere l’autonomia e la sovranità del nostro Paese ma sono del tutto focalizzati a giustificare la politica di potenza americana e i sacrifici che l’Italia, per sudditanza, è costretta a subire.

Prima parte: revisionismo storico

Madre Patria tenta di trovare una spiegazione per lo scarso entusiasmo mostrato dal popolo italiano nei confronti della propaganda statunitense snocciolata dall’autore nella sua precedente fatica.

La prima parte del saggio è un percorso nella storia italiana all’insegna del revisionismo.

Il professore si fa accompagnare, come Dante con Virgilio, da Ernesto Galli della Loggia, l’editorialista reazionario del Corriere che oggi difende a spada tratta i massacri compiuti da Israele in Palestina (per approfondire, leggi il nostro Percorso Tematico sul conflitto israelo-palestinese).

Vittorio Emanuele Parsi
Vittorio Emanuele Parsi (foto: RSI).

L’obiettivo – per quanto possa sembrare strano in un libro del 2023 – è espellere la sinistra dal patrimonio culturale italiano, bollando il Partito Comunista (e implicitamente anche il Partito Socialista, neutralista nel 1914-15) come “nemico interno» che avrebbe abituato gli italiani a schierarsi con il nemico esterno (degli Stati Uniti) anziché con la loro vera patria (l’Occidente, cioè l’impero americano).

Secondo Parsi e della Loggia il mito fondativo della Resistenza ha fallito perché i partiti di massa da cui è scaturito erano portatori di due visioni del mondo incompatibili: da un lato “una visione liberale e democratica”, dall’altro “la più ossequiosa obbedienza nei confronti di un blocco politico autocratico”. Democrazia Cristiana e Partito Comunista, insomma, “non condividevano quasi nulla”, “solo la pars destruens li accomunava» mentre “la pars construens li divideva”.

In quale pars si collochino episodi di poco conto quali la svolta di Salerno, la scrittura condivisa di una costituzione democratica o il caso dell’antidemocratica “legge truffa” del 1953 – approvata dalla DC e contestata da Togliatti in un lungo discorso alla Camera che è una vera e propria lezione di storia e diritto costituzionale – non ci è dato saperlo. Probabilmente fanno parte di una sofisticata strategia di camuffamento messa in pratica grazie all’aiuto di Stalin e la collaborazione di De Gasperi.

Con la profondità intellettuale di un articolo di Libero, Parsi si scaglia contro i cosiddetti comunisti col Rolex, che “vivevano da borghesi, fantasticando di una rinnovata resistenza a complotti destrorsi, magari appoggiati dalla CIA”. Le prove sul ruolo dei servizi segreti e sulla loro collaborazione con gruppi di neofascisti negli anni delle stragi, a quanto pare, non hanno ancora ricevuto la conferma dai fact-checkers indipendenti di Open e quindi sono da considerarsi fake news.

Ma, oltre che con i comunisti, l’autore se la prende anche con i cattolici, troppo ostili al processo risorgimentale e, soprattutto, colpevoli anch’essi – si cita Giorgio La Pira, noto per i suoi viaggi per la pace a Mosca e in Vietnam – di un pacifismo attraversato “da un radicale o sotterraneo antioccidentalismo”. Al 25 aprile, festa divisiva in quanto “la sinistra ha tentato di appropriarsene in maniera esclusiva” si dovrebbe preferire il 4 novembre (1918) perché – qui si ripescano le vecchie argomentazioni degli “interventisti democratici” – già la Grande Guerra sarebbe stata un conflitto tra “democrazie” (quelle che tenevano in schiavitù coloniale mezzo mondo) e “autocrazie”.

Seconda parte: perdita della dignità

La seconda parte del volume comincia con una coraggiosa autocritica: “allo svilimento del sapere hanno contribuito anche molti esperti cadendo preda del fascino della notorietà mediatica, della vanità che è sempre in agguato”. Poi, l’autore prosegue con una, oramai scontata, apertura verso Giorgia Meloni: “la presidente del Consiglio dovrebbe ricordarsi che proprio la collocazione del MSI ai margini della Prima repubblica offre a Fratelli d’Italia” l’opportunità “di poter risollevare la bandiera del ritorno della Patria e del patriottismo in modo credibile e convincente”, a condizione, però, di “non farne un argomento divisivo” come il mito della Resistenza.

Nelle ultime pagine, infine, il professore sembra cadere vittima di una strana regressione all’infanzia mentre torna sul tema del conflitto in Ucraina. Con lo spirito ribelle di un bambino di dieci anni che decide di rivelare a tutta la classe la verità su Babbo Natale, Parsi fa notare come “la denazificazione” invocata da Putin sia in realtà “una fandonia» che “nasconde il vero scopo dell’invasione, cioè abbattere il governo di Kiev perché apertamente ostile ai disegni di potenza del Cremlino”.

Inoltre l’ex Unione Sovietica – e, sia chiaro, solo quell’area del mondo – sarebbe in realtà governata da “influenti oligarchie” con una “marcata commistione tra il potere economico e quello politico”. Se esistesse il Nobel per l’ipocrisia, l’autore sarebbe già balzato tra i favoriti.

Ma il vero capolavoro del doppio standard suprematista, quello a cui potrebbe spingersi solo un propagandista di razza che non ha paura nemmeno di entrare in contraddizione con sé stesso, si trova nella raffinata analisi del dibattito interno russo sul conflitto.

Parsi osserva disgustato che nella narrativa di Mosca i “nemici esterni, gli occidentali” sono “sostenuti da quinte colonne e complotti di politici e intellettuali occidentalizzanti” ritenuti «nemici interni»; e tale intolleranza ha l’effetto di “narcotizzare lo spirito critico della popolazione” e “condurre a scontri con soggetti politici considerati “nemici della Patria” in modo del tutto pretestuoso e menzognero”. Bisogna ammetterlo, un’autoumiliazione del genere non si vedeva da parecchio.

Conclusione

Ci sarebbe ancora moltissimo da aggiungere per criticare Madre Patria in tutte le sue storture. Si potrebbe analizzare la triste evoluzione del concetto di democrazia, ormai, nella retorica degli ultra-atlantisti come Parsi, del tutto trasfigurato: all’esterno è un feticcio con cui affermare la superiorità della propria cultura sulle altre, all’interno è una clava da abbattere sui dissidenti per imporre un pensiero oligarchico e conformista.

Una concezione malsana che emerge anche dalla scelta di elevare a modelli di patriottismo, ammirati per “aver impresso concretezza al legame necessario tra cittadini e istituzioni”, proprio Mario Draghi e Sergio Mattarella, le cui manovre di palazzo hanno portato l’astensionismo ai livelli più alti di sempre.

A questo punto continuare a commentare ogni banalità revisionistica qui contenuta sarebbe superfluo. Sarà il futuro a dirci se Madre Patria di Vittorio Emanuele Parsi lascerà il segno o finirà presto nel dimenticatoio. Per ora, a giudicare dal suo ingresso nell’innovativo think tank sulla “cultura della Difesa” presieduto dal ministro Guido Crosetto, il futuro del coraggiosissimo professore appare già molto promettente.

Federico Speme

(In copertina Vittorio Emanuele Parsi, autore di Madre Patria, foto da Start Magazine)


Madre Patria” di Parsi è un inchino a Meloni è il quattordicesimo articolo di Caffè Scorretto, una rubrica di Federico Speme

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