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Un’odissea tra i microcosmi di Wes Anderson, da “The French Dispatch” ad “Asteroid City”

Wes Anderson

Noto per il suo stile peculiare, caratterizzato da colori pastello, inquadrature perfettamente simmetriche e dialoghi dal gusto fiabesco, Wes Anderson è uno dei registi di fama internazionale più riconoscibili e memorabili del cinema contemporaneo.


Chi non vorrebbe perdersi in uno dei microcosmi da abilmente creati, filmati e narrati da Wes Anderson?

Eppure, nonostante la sua filmografia sembri solo un continuo esercizio di stile, le storie che si celano dietro alla telecamera andersoniana, incalzante ed imprevedibile, sono prettamente inerenti ai sentimenti umani: lutti, famiglie disastrate e innocenza perduta si susseguono sullo schermo, mascherati da una fantasiosa coltre di stravaganza.

Da sempre, i film di Wes Anderson sono contraddistinti anche da un’équipe di attori ricorrenti, tra cui si annoverano, ad esempio, Jason Schwartzman, Bill Murray, Owen Wilson e Adam Brody.

In ogni suo microcosmo, il regista narra storie di gruppi di personaggi sempre più numerosi e complicati, passando dal mostrare famiglie e compagni di classe – come in The Royal Tenenbaums (2001) e Rushmore (1998) – a redazioni giornalistiche e crew televisive dalle storie dinamiche ed intricate, come quelle narrate nei suoi ultimi due film: The French Dispatch (2021) e Asteroid City (2023).

ATTO I: Tra antologie e matrioske di Wes Anderson

Dal ritmo narrativo sempre più frenetico, le ultime produzioni cinematografiche di Wes Anderson sono pregne di storie e personaggi apparentemente irrelati, che si intrecciano tra loro senza sosta fino a comporre un elaborato puzzle su pellicola, lasciando allo spettatore il compito di assemblarlo nel corso della visione.

Wes Anderson
Alcuni tra i film più famosi di Wes Anderson, tra cui The Royal Tenenbaums (prima fila, il terzo da sinistra) e Rushmore (seconda fila, ultimo da sinistra); foto: StudioBinder.

Wes Anderson definisce The French Dispatch come un’antologia, ispirata al celeberrimo periodico The New Yorker. Dal greco ἀνϑολογία (anthología), letteralmente “raccolta di fiori”, un film antologico non è altro che un lungometraggio formato da cortometraggi distinti tra loro, completi anche se presi singolarmente ma uniti da un fil rouge, che in questo caso è il giornale fittizio Liberty, Kansas Evening Sun.

Il film segue la storia di una redazione giornalistica che si ritrova, dopo la morte del proprio caporedattore, a rilasciare il proprio final issue, interrogandosi su quali racconti dovranno farne parte.

Inizia così la narrazione delle tre storie che verranno poi incluse nel periodico: un pittore incarcerato e mentalmente instabile che crea capolavori sul muro della propria prigione, una protesta studentesca ispirata ai moti del ‘68 e il rapimento del figlio di un commissario di polizia.

Trailer di The French Dispatch.

Nonostante The French Dispatch fosse stato definito, al momento della sua uscita, il culmine dello sperimentalismo andersoniano, questo titolo è stato immediatamente conferito al suo successore, Asteroid City, nel momento stesso in cui gli Stati Uniti ne hanno ospitato la première a giugno 2023.

Infatti, se The French Dispatch è una raccolta di storie, Asteroid City può essere definito come una matrioska che nasce avvalendosi dello strumento narrativo del play within the play – letteralmente, una recita dentro alla recita – utilizzato anche da Shakespeare in Amleto.

Si tratta di un film sulla realizzazione di una serie TV nella quale gli attori fingono di recitare in un’opera teatrale, ambientata negli anni ‘50 nella cittadina fittizia di Asteroid City. Insomma, gli attori (reali) impersonano attori (fittizi) che si destreggiano su un finto set televisivo, davanti a un pubblico inesistente e dietro alle quinte di uno spettacolo fittizio, che parla di lutti e d’amore tanto quanto di immensità dell’universo e di alieni.

Confusionario? Assolutamente sì, ma almeno non si può definire banale.

ATTO II: Dai colori al bianco e nero

Sebbene tra i pilastri dello stile andersoniano vi sia il colore, gli ultimi lungometraggi del regista sono caratterizzati da svariate scene in bianco e nero.

Non si tratta di una vera e propria novità – i fan più accaniti sanno che il primo approccio di Wes Anderson al cinema, Bottle Rocket (1994), è stato interamente girato in bianco e nero – a dopo due decenni di film eccentricamente colorati, il pubblico è stato riluttante nell’abbracciarne lo sperimentalismo lampante, evidente non solo nel nuovo approccio stilistico ma anche nel diverso ritmo narrativo.

Bottle Rocket Wes Anderson
Bottle Rocket (1994); foto: IndieWire.

Stilisticamente parlando, entrambi i film sono simili nell’utilizzo che Wes Anderson fa delle scene a colori e in bianco e nero, poste in contrasto anche grazie all’utilizzo di differenti aspect ratio, ossia formati schermo, a seconda della storia raccontata.

Il regista si avvale delle scene in bianco e nero non solo in nome di uno sperimentalismo estetico, ma anche per costituire un punto di contrasto rispetto ai colori vivaci tipicamente andersoniani. Comunque, le tecniche utilizzate da Wes Anderson variano da una pellicola all’altra, offrendo ai propri spettatori l’occasione di cogliere similitudini e differenze.

Da un lato, abbiamo The French Dispatch: riprese a colori e in bianco e nero si interscambiano senza un’apparente legenda predeterminata, con il solo scopo di enfatizzare dettagli altrimenti sfuggenti o momenti di particolare pathos.

Così, le scene a colori diventano le vere protagoniste del film, quasi come se il regista scuotesse ognuno di noi per richiamare la nostra attenzione, al fine di risolvere il rompicapo da lui abilmente creato.

Dall’altro lato, Asteroid City implementa una più immediata – e neutrale – distinzione: mentre le scene a colori rappresentano le scene della serie TV creata all’interno del film, le scene in bianco e nero dipingono ciò che accade una volta che non vi sono più telecamere (fittizie) a riprendere i personaggi.

La predilezione per le scene a colori scompare e il bianco e nero non è più solo elemento di confronto, ma una tecnica artistica ugualmente meritevole di attenzione e prestigio.

ATTO III: La scomparsa dei sentimenti?

Il risultato finale è dinamico, complesso, a tratti ermetico, definito da alcuni critici cinematografici come l’apice della perfezione estetica e la fine dei contenuti. Secondo queste voci, i nuovi film andersoniani sarebbero solo puro esercizio stilistico, ormai svuotato di ogni significato. Ci si chiede dove sia finito il sentimento travolgente che caratterizzava le prime pellicole di Wes Anderson. Che scopo ha l’arte, se non dice nulla? Se non ci lascia nemmeno l’impressione di un’emozione, negativa o positiva che sia?

Certo, lo scopo originale del regista non era una mera dimostrazione di stile. Infatti, l’idea originale per entrambi i film era mettere in scena due vere e proprie lettere d’amore: una nei confronti del giornalismo e della carta stampata, veri protagonisti di The French Dispatch, e una nei confronti del teatro e dell’infinità dell’universo, temi preponderanti in Asteroid City.

Asteroid City
Anderson sul set di Asteroid City (foto: Roger Do Minh/Pop. 87 Productions LLC).

Che il sentimento sia celato da un’estetica quasi artificiale è innegabile, ma è tipicamente andersoniano nascondere in bella vista i sentimenti più umani provati dai propri personaggi. L’amore, la perdita, l’abbandono e la meraviglia sono onnipresenti in ogni suo film, ma si mascherano di cinica perfezione, portando lo spettatore a chiedersi se siano realmente lì o se li stia immaginando.

Molti pensano che il secondo aggettivo più adatto a descrivere lo stile di Wes Anderson, dopo “stravagante”, sia “nostalgico”.

The French Dispatch e Asteroid City narrano storie provenienti dal ventesimo secolo, ma dubito che il preponderante senso di nostalgia possa essere causato solo da un setting temporale.

Probabilmente sono i personaggi, adulti infantilizzati e ragazzi che vantano intelligenza e consapevolezza precoci, scambiandosi i ruoli rispetto alla vita reale. O forse è il costante richiamo all’infanzia e ai mondi appartenenti ai bambini, come favole, indovinelli e filastrocche.

Qualunque cosa sia, qualunque fusione di elementi porti a creare l’atmosfera malinconica che rende i film di Wes Anderson tali, un eccesso di perfezione estetica non può essere sufficiente a determinare la scomparsa del sentimento.

In Asteroid City, uno dei protagonisti della serie TV si ustiona volontariamente la mano su una piastra e l’attore (fittizio) si chiede costantemente: “Perché”? A volte i sentimenti umani sono troppo grandi per essere compresi – e Wes Anderson si fa sempre più abile nel dimostrarlo.

Krystal Anne Estrella

(In copertina, Scarlett Johansson in Asteroid City. Foto da Cogito et Volo).

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