Edith Joyce è una psicologa, dottoranda e scrittrice, amante di libri e appassionata di scrittura fin da bambina. Ha pubblicato “Il Nostro giorno verrà” (Red Star Press, 2022) e il recente “Riot” (Magazzini Salani, 2023). Sui social parla dei libri che scrive e di quelli che legge. Marta Ginghini ha avuto l’occasione di intervistarla e di farle qualche domanda per saperne un po’ di più su di lei.
Partiamo dall’inizio: come è nata la tua passione per la scrittura?
La scrittura è stata sempre qualcosa che mi ha attirato fin da quando ero bambina, dalle elementari. Lì ho incontrato degli insegnanti che hanno riconosciuto e supportato questa mia passione. Credo che sia stato importante perché, se mi fossi confrontata con persone diverse, magari le cose non sarebbero andate così.
Tuttavia, ho cominciato a scrivere seriamente all’università. Io ho fatto psicologia, però parallelamente ho studiato scrittura con Valeria Viganò e ho frequentato la scuola di scrittura di Francesco Trento. Lì mi è venuta l’idea per il primo romanzo, Il nostro giorno verrà (Red Star Press, 2022), a cui ho lavorato per tre anni: l’ho scritto e riscritto perché volevo che fosse accettabile come prima pubblicazione.
Dopo varie revisioni, l’ho pubblicato con una piccola casa editrice indipendente di Roma. Il libro è andato molto bene e, dopo un po’ di tempo, mi ha notato una grande agenzia letteraria. Allora io avevo già un’idea per un secondo romanzo, Riot (Magazzini Salani, 2023). L’abbiamo proposto a vari editori e alla fine abbiamo accettato la proposta di Salani, perché era la casa editrice più giusta per questo romanzo.
Quali sono i tuoi libri preferiti, che ti hanno lasciato un forte impatto e che ti hanno anche avvicinato di più, se possibile, al mondo della scrittura?
Te ne dico tre. Il primo è il mio romanzo preferito in assoluto, Cent’anni di solitudine (1967) di Gabriel García Márquez, perché credo che sia il libro dei libri, dove c’è un vasto universo di significati e ogni volta che lo leggo – cerco di rileggerlo a ogni Natale – catturo un aspetto nuovo che non avevo colto prima.
Un altro libro è Noi ragazzi dello zoo di Berlino (1978) di Christiane F., che ho letto quando ero adolescente. E’ un romanzo che mi ha cambiata, nonché una delle ispirazioni letterarie alla base della scrittura di Riot.
Il terzo è Diari (1982) di Sylvia Plath, un’autrice che a me piace moltissimo: mi ha cambiato tanto per l’attenzione alla psicologia del profondo. Ovviamente era un diario, quindi raccontava la sua esperienza, però ha una profondità che cerco anche io quando scrivo.
Sono contenta di sentirti parlare di Sylvia Plath perché è anche una delle mie autrici preferite. Tuttavia, in entrambi i tuoi romanzi hai citato autori come William B. Yeats ed Emily Dickinson: sono stati una tua fonte di ispirazione. E, più in generale, quali scrittori ti hanno più spinto a scrivere?
Cito sia Emily Dickinson sia Yeats perché rivestivano un’importanza cardinale nel periodo storico in cui sono ambientati entrambi i miei romanzi. Yeats, in particolare, mi è stato utile per tutto quello che riguarda la tradizione e il folklore irlandese perché, come dico sempre, la storia dell’Irlanda si interseca con l’aspetto culturale e con quello religioso.
Inoltre, Yeats sosteneva la causa dell’Irlanda del Nord. Però, a livello di scrittura, le ispirazioni rimangono quelle che ti ho detto prima, alle quali aggiungerei Roddy Doyle e i suoi romanzi sulle questioni irlandesi, come Paddy Clarke o Una stella di nome Henry.
Entrambi i romanzi sono ambientati in Irlanda e sono fortemente legati alla politica e alla storia irlandesi. Qual è il tuo rapporto con questo Paese?
Ho avuto sempre un rapporto di profondo amore per questa terra fin da quando ero piccola, senza una reale ragione. Non lo so, sono sempre stata innamorata dell’Irlanda, finché un giorno i miei non mi hanno fatto una sorpresa e portato in Irlanda; da allora, ci sono tornata ogni volta che ho potuto.
Sono vissuta per un periodo con una mia amica nell’Irlanda del Nord, che è un posto completamente diverso dall’Irlanda del Sud, dove la questione dell’indipendentismo e della lotta per l’unificazione ancora si sente. Quello che mi ha stupito sempre di questa terra è che le persone non ti lasciano mai sola, ti raccontano storie di continuo: è un posto perfetto per una scrittrice.
Inoltre, non è raro trovarsi in un pub e incontrare chi ti parla degli eventi storici della sua terra con un sentimento molto forte. Infatti, ancora oggi, spesso, ci sono ancora tensioni molto forti, quasi di guerra, che però non vengono riportate dai giornali, né conosciute nel contesto italiano.
Passiamo al tuo ultimo romanzo, Riot: quando hai iniziato a scriverlo?
La voglia di scrivere un romanzo come Riot era presente da molto tempo, più o meno da quando ho iniziato a lavorare a Il nostro giorno verrà, ambientato a Dublino durante le rivolte di Pasqua.
Mentre lo stavo scrivendo, tutte le persone che mi conoscono credevano che lo stessi ambientando a Derry per il forte legame che ho con l’Irlanda del Nord. Ho iniziato a scrivere Riot ad agosto del 2022, però era un’idea già ben salda nella mia mente da tempo.
C’è un personaggio che preferisci, uno in cui ti immedesimi particolarmente? Come è stato, poi, scrivere dei personaggi in relazione anche alla loro morte, al loro modo di vivere, alla loro crescita in un ambiente come Derry?
Scrivere di personaggi in relazione al loro ambiente è una cosa che cerco di fare sempre, anche se in Il nostro giorno verrà si vede di meno perché i personaggi sono più coerenti con sé stessi.
In Riot quello che ho voluto fare è stato scrivere di personaggi che fossero effettivamente complessi e contraddittori, come spesso lo sono i giovani. I personaggi di Riot sono adolescenti e sono anche spinti da pulsioni opposte e da una serie di contraddizioni che li rendono più reali. Cerco comunque di non identificarmi mai con i personaggi che scrivo, sebbene siano presenti particolari più o meno autobiografici: ad esempio la storia dei delfini nel fiume, che a un certo punto viene menzionata in Riot, è accaduta realmente.
Eravamo a Derry e abbiamo visto questi delfini nel fiume, ed è stata una scena che ci ha particolarmente colpito. Però in genere cerco di non inserire elementi autobiografici nei miei libri. Tuttavia, il personaggio con cui mi sento più affine e che mi è rimasto più dentro, anche dopo la scrittura, è Cillian, per la sua sensibilità, per le tematiche che affronta e perché è stato il personaggio più delicato tra tutti. Inserendolo in un contesto di guerra e di violenza come quello di Riot, è il personaggio che forse ha sofferto di più all’interno del libro.
Il tema della morte è ricorrente nel libro. Come l’hanno vissuta i personaggi, e in particolare Aidan?
È vero, si tratta di un tema molto importante. Demi è un personaggio reale ed è la vittima più piccola dei troubles: la sua morte fu classificata inizialmente come un incidente stradale. Elyn riprende invece Annette McGavigan, a cui è dedicato un murales.
Però, rimanendo sul romanzo, la morte colpisce tutti ma ogni persona reagisce in modo diverso: c’è chi usa la lotta e quindi un movimento reattivo di resistenza e di ribellione, e c’è chi come Cillian non riesce a trasformare quel dolore in altro e se lo porta sempre dentro; quel dolore si accumula fino a quando poi diventa intollerabile. Quindi, sì, è per quello che dico che Cillian forse è stato il personaggio che ha sofferto di più.
Nel capitolo 29 Saoirse afferma: “L‘arruolamento nell’IRA segnava il mio ingresso nella storia. Da quando ero nata, l’avevo solamente subita”. C’è stato qualcosa che l’ha spinta ad entrare o l’avrebbe fatto anche se Aidan non avesse fatto parte della sua vita o fosse stata più esterna ai moti rivoluzionari?
Parto dall’idea che, quando si descrivono dei personaggi, quei personaggi diventino reali; quindi, è molto difficile chiedersi se effettivamente lei sarebbe comunque entrata nell’IRA, se quelle cose non fossero successe. Però, il punto è proprio questo: Saoirse, quando si arruola, segna il suo ingresso in una storia che fino a quel momento aveva soltanto subito.
Volevo raccontare anche questo: la storia non è fatta necessariamente di momenti eroici, alti o di idealismo, è fatta anche di coincidenze. Saoirse entra nell’IRA perché il ragazzo che le piaceva si voleva arruolare, nient’altro.
La storia effettivamente nasce anche da momenti come questi, da scelte individuali che poi si ripercuotono sul corso degli eventi. Quindi, non ti so dire se lo avrebbe fatto ugualmente. Forse no, e secondo me è proprio questo il bello, cercare di capire e ripercorrere quelle coincidenze che portano la storia effettivamente a farla.
La prossima domanda è tratta sempre da una frase che mi ha colpito particolarmente. “Ci pensi mai che non siamo mai stati bambini?”, che Aidan rivolge a Saoirse pensando proprio alla loro infanzia. Secondo te, che impatto ha avuto la loro infanzia in un contesto come quello di Riot sui protagonisti?
Penso che questa cosa si noti molto ancora oggi in Irlanda, specialmente in una città come Derry. Vedere dei bambini di otto o nove anni tirare bottiglie di vetro incendiarie contro la polizia, o costruire grandi “bonfire” dove si vanno a bruciare le bandiere degli inglesi, mi ha spinto a voler raccontare quel Paese.
Quei bambini facevano una vita da adulti, erano in giro da soli, e quando li ci parlavi insultavano la regina. Da una parte si tende a romanticizzare questo senso di amore per la propria terra e la voglia di portare avanti una lotta che effettivamente non si è ancora conclusa.
Dall’altra, però, l’aspetto tragico è che questi bambini, invece di studiare e di accedere alle risorse culturali che potrebbero avere, sono ancora incastrati in un contesto di guerra e di violenza portato avanti dagli adulti. Come sempre, sono i bambini a pagarne le conseguenze.
Un altro tema significativo è l’amore, menzionato anche nel sottotitolo del romanzo. Volevo chiederti qualcosa riguardo alle coppie presenti nel romanzo, come Saoirse e Aidan, oppure Orla e Cillian: come è stato scrivere di loro? Avevi già in mente di partire con queste due coppie o hai cambiato i partner in corso di scrittura?
Saoirse e Aidan sono sempre stati meant to be (“destinati a stare insieme”, Ndr). Inizialmente si doveva sviluppare anche un sentimento d’amore da parte di Cillian nei confronti di Saoirse, ma ho evitato di creare il classico triangolo amoroso che non avrebbe portato da nessuna parte.
L’amicizia tra Saoirse e Cillian era troppo pura, troppo delicata, perché si potesse guastare con un sentimento di amore che invece apparteneva a tutt’altro. Le due coppie del romanzo sono sicuramente diverse, perché Saoirse e Aidan sono dei rivoluzionari, mentre Orla e Cillian sono due personaggi che hanno un’attenzione alla sensibilità e al mondo delle emozioni più spiccata rispetto agli altri due. Però, come gruppo, si bilanciano tanto nella lotta quanto nell’amore.
Ultima domanda: hai dei progetti futuri riguardo a libri che vorresti scrivere?
Io nella vita voglio fare questo; quindi, ci saranno sicuramente altri libri. Al momento non sto lavorando a niente di concreto, ma mi è sicuramente tornata la voglia di scrivere. Mi sono iscritta a un corso per imparare a realizzare serie TV.
Non significa che questo debba necessariamente portare a qualcosa, però sono in quella fase di ricerca di nuovi stimoli. Quello che mi interessa quando scrivo non sono i numeri o le classifiche. Voglio raccontare delle storie che possano essere accolte e amate dai ragazzi: credo che non esista una sensazione più bella.
Intervista a cura di Marta Ginghini.
Editing di Beatrice Russo, con la collaborazione di Chiara Celeste Nardoianni.
(In copertina all’intervista a Edith Joyce, un dettaglio della copertina di Riot, Salani 2023)
Per approfondire, leggi anche la recensione di Riot, di Marta Ginghini