Cronaca

Il femminicidio sul lago di Barcis – Un punto di non ritorno

Femminicidio Italia 2023

Giulia Cecchettin è stata ritrovata senza vita il 18 novembre, presso il lago di Barcis, dopo essere scomparsa con il suo ex fidanzato, Filippo Turetta. La notizia della sua morte ha sconvolto l’opinione pubblica e ha riaperto la riflessione sul fenomeno del femminicidio.


“Era un bravo ragazzo” 

Stando alle testimonianze della sorella e di un’amica di Giulia, la relazione tra i due ragazzi era terminata da mesi. Nonostante questo, Filippo continuava a essere estremamente geloso: voleva sempre sapere dove si trovasse Giulia ed essere ovunque lei fosse.

Inoltre, la laurea imminente della ragazza, prevista per il 16 novembre, avrebbe rappresentato un’enorme preoccupazione per Filippo: sarebbe stata infatti la “fine di un’era”; un traguardo essenziale per lei, ma inaccettabile per lui.

Secondo il padre di Filippo, la laurea non costituiva un problema per suo figlio, definito come un ragazzo tranquillo e incapace di fare del male a qualcuno. Forse era un po’ possessivo, ma non in modo patologico: al massimo le controllava il telefono. In fondo, “le faceva persino i biscotti” stando alle parole dell’avvocato dell’imputato.

La gelosia e il possesso, segnali considerati innocui dal padre del ragazzo, hanno fatto subito pensare all’omicidio. Benché tutti sperassimo in un finale alternativo, sapevamo sin da subito che questa storia non sarebbe stata poi così diversa rispetto alle altre a cui ci siamo tristemente abituati.

La rappresentazione distorta del femminicidio 

In Italia, ogni 3 giorni una donna viene uccisa: lo sottolinea il report del Viminale di fine 2022. 

È un dato estremamente allarmante, che non sempre ha la giusta risonanza a livello di opinione pubblica. I media tendono a non rappresentare il fenomeno del femminicidio nella sua globalità: parlano di casi di cronaca isolati, come se non ci fosse un filo comune a tutte queste storie. 

Inoltre, la rappresentazione mediatica appare enormemente distorta, con titoli di giornale che sembrano giustificare l’assassino: ad esempio, l’omicidio era causato da un raptus, da un momento di follia o di gelosia. “Era un brav’uomo”, “amava sua moglie”, “lei lo aveva tradito”, “gli chiedeva continuamente soldi” (come si può leggere in questi esempi, tratti da Il Giornale, Il Messaggero e Info Cilento).

L’uomo, agli occhi dei media, non è veramente colpevole perché la causa del suo gesto è esterna a lui: può essere il comportamento della moglie, della figlia, della sorella e così via. Questa narrazione non vale solo per il tema del femminicidio, ma riguarda tutte le violenze: anche quando si parla di stupro, il focus è sulla donna, che probabilmente è stata ingenua, ha bevuto troppo o si è vestita in modo inopportuno (TgSky24 e Corriere della Sera).

E se il colpevole non è italiano?

Quando è un immigrato a commettere un atto del genere, la situazione cambia: i media non si riferiscono al colpevole chiamandolo per nome, ma parlano di “un africano” (La Verità), “un nigeriano” e via dicendo. In questo caso non si parla di bravi uomini che perdono per un attimo il lume della ragione (come in questo caso, dal Giornale). Si parla piuttosto del regime dell’orrore (Il Tempo) e della paura che le donne italiane sono costrette a vivere a causa loro.

I giornali, insomma, ne fanno una questione di razza, contribuendo ancora una volta a disumanizzare la figura dello straniero. Si tratta di uno degli infiniti casi in cui gli immigrati vivono una disparità di trattamento e in cui sono criminalizzati prevalentemente sulla base delle loro caratteristiche fenotipiche.

Però, stando ai dati dell’ANSA, solo nei primi 6 mesi del 2023 l’80% dei femminicidi si è consumato in ambito affettivo-familiare. Nel 47% dei casi, inoltre, il colpevole era un partner o ex partner. Questo significa che i mezzi di comunicazione tendono a sfruttare la xenofobia già presente in Italia, basandosi non tanto sulle statistiche quanto su narrazioni che allargano ancora di più il divario tra “noi” e gli immigrati. 

Contrastare la violenza sul genere

La rappresentazione mediatica porta avanti una cultura patriarcale e xenofoba che non si interroga sui motivi di un fenomeno strutturale come questo, né cerca soluzioni che lo possano prevenire. Le istituzioni e l’intera società distolgono lo sguardo e fanno finta di non vedere la gravità della situazione: forse è più facile spiegare questi fenomeni come il frutto di attimi di follia di persone che, in realtà, hanno un cuore buono e non hanno mai pensato di fare male a qualcuno.

Vedere il femminicidio come il frutto del nostro retaggio culturale significherebbe quindi riconoscere un fallimento culturale, educativo, politico e sociale della nostra società. 

La violenza di genere è un’emergenza che va contrastata e annientata e prendere coscienza della mentalità misogina e maschilista è solo il primo passo di un processo lungo e sicuramente difficile, ma necessario per costruire una società più giusta.

Giulia Di Cicco Pucci

(In copertina, Corriere della Sera)

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