La rassegna culturale “La voce degli antichi”, organizzata dalla Società editrice il Mulino, fa ritorno all’Oratorio di San Filippo Neri di Bologna con un trittico di incontri a cura di Federico Condello. Tra gli ospiti, Sergio Givone, Luciano Canfora e Giorgio Ieranò.
Tornare ai testi antichi significa rendersi conto che le nostre domande sul mondo, le nostre paure, i temi di salienza politica e sociale che ci fanno perdere il sonno (che significa vivere in società? che cos’è la giustizia?) sono vocati all’attraversamento dei confini del tempo.
Gli antichi, tra passato e presente
Rispetto ai testi classici il nostro pensiero si situa in un rapporto di continuità e comunanza di tipo secolare, anzi millenario. Perché questi libri non smettono mai di stupirci e di dirci qualcosa?
È questa la domanda al centro de “La voce degli antichi”, la rassegna organizzata all’Oratorio di San Filippo Neri dalla Società editrice il Mulino in collaborazione con Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e Mismaonda, nell’ambito del Patto per la Lettura del Comune di Bologna.
La rassegna prende il nome dall’omonima serie di libri curata dal Mulino, che al momento comprende undici volumi. Tutti titoli in cui autori con esperienze professionali e intellettuali diverse hanno riletto con nuova linfa i testi che hanno accompagnato lo sviluppo del pensiero occidentale, a partire da Ovidio fino a Omero.
Dopo un primo incontro su Lucano, con Antonella Prenner, “La voce degli antichi” torna all’Oratorio di San Filippo Neri di Bologna con tre nuovi appuntamenti, introdotti e moderati da Federico Condello, saggista e professore ordinario di Filologia classica all’Università di Bologna.
28 novembre, ore 17: Sergio Givone e i presocratici
Si riparte il 28 novembre con i presocratici di Sergio Givone, professore emerito di Estetica all’Università di Firenze e autore de I Presocratici, ritorno alle origini (il Mulino, 2022).
Questi pensatori – più o meno tutti nati e vissuti prima di Socrate (470/469-399 a.C.) – si situano a cavallo di un confine che sta per essere oltrepassato, quello che divide la sapienza misterica dalla filosofia, ovvero un pensiero basato sul metodo di ricerca e sulla concatenazione di ragionamenti logici e non dogmatici.
Ma, pur collocandosi alla fine di tendenze culturali che stanno tramontando, i presocratici non rinnegano l’impronta del mondo che hanno alle spalle, e sarà proprio l’interpretazione simbolica e oracolare a far da modello alla nascente ermeneutica filosofica.
5 dicembre, ore 17.30: Luciano Canfora e Tucidide
Si continua il 5 dicembre con Luciano Canfora, storico noto al grande pubblico e grecista emerito dell’Università di Bari, autore di Tucidide e il colpo di Stato (il Mulino, 2021) per la serie “La voce degli antichi”.
Tucidide, storico e militare ateniese, dedica tutta la vita alla scrittura della sua opera più nota, La guerra del Peloponneso, che ripercorre le vicende dell’omonimo conflitto scoppiato tra Atene e Sparta dal 431 al 404 a.C., di cui Tucidide è sia testimone che protagonista, vestendo nel 424 i panni di comandante militare (stratega).
Affidando alla scrittura l’onere del racconto, Tucidide inaugura un nuovo modo di fare storia che supera la tradizione delle performance orali, costruite attorno all’esibizione pubblica (agònisma) e alla forza suggestiva della narrazione scenica.
Il metodo tucidideo di raccolta e restituzione dei dati si basa su una rigorosissima strategia di controllo e di verifica delle fonti (acrìbeia), recuperate sia in prima persona, sia attraverso informatori selezionati.
La posizione autoptica dell’autore rispetto agli eventi fa dell’opera una fotografia senza filtri e obiettiva della guerra che consacra Sparta a paladina dell’autonomia delle città-stato greche e che dilania l’impero ateniese.
Proprio ad Atene vengono inflitti, durante gli anni della guerra, i traumi più violenti: il colpo di Stato oligarchico-radicale del 411 prima e il “controcolpo di Stato” di Teramene poi portano infatti all’abbattimento temporaneo della democrazia, lasciando il popolo ateniese inerte e intimorito ma instaurando finalmente, a detta dell’antidemocratico Tucidide, il “buon governo”.
19 dicembre, ore 17: Giorgio Ieranò e Omero
Ultimo incontro martedì 19 dicembre con Giorgio Ieranò, traduttore teatrale per l’INDA e professore di Letteratura greca all’Università di Trento. Per il Mulino ha pubblicato Omero, Nausicaa e l’idillio mancato (2023). E proprio di Omero si tornerà a parlare, rievocando il celebre incontro tra il leggendario Odisseo e Nausicaa, figlia di Alcinoo, re di una terra pacifica e meravigliosa, quella dei Feaci.
Dopo una serie di peripezie straordinarie che lo hanno visto coinvolto assieme a mostri, divinità e creature sovrumane, Odisseo torna a mettere piede in un regno di uomini civilizzati.
Emergendo dai cespugli sulla spiaggia di Scheria dove è naufragato, l’eroe greco implora la pietà della giovane Nausicaa, lodandone la straordinaria bellezza e invocando gli antichi valori dell’ospitalità. La principessa si dimostra una padrona di casa dal cuore gentile: Odisseo viene accompagnato alla reggia dei Feaci, vestito e sfamato. Pur grato, è però diffidente nei confronti di questo popolo civile ma scostante verso gli stranieri.
Mentre Nausicaa si perde in vagheggiamenti amorosi e sogna le nozze con il seducente naufrago, le parole e le promesse di Odisseo sono vaghe, ambigue. L’eroe vuole solo ottenere un aiuto per ritornare incolume a Itaca: per la sua “ultima tentazione” femminile prova tutt’al più ammirazione e tenerezza.
L’incontro tra i due è la storia di un idillio bramato, di una speranza destinata a rimanere un’ipotesi senza futuro, perché per i due il futuro rimarrà un capitolo mai scritto.
È sempre il presente a mediare fra noi e gli antichi
È solo attraverso una voce viva nel presente che possiamo aprire una crepa tra i silenzi del passato, spiega il professor Condello presentando la rassegna:
Nome felice, ‘La voce degli antichi’, per la collana che ha ispirato questa serie di incontri. Quelli che noi, con un’antonomasia inguaribilmente eurocentrica, chiamiamo ‘antichi’ – cioè i Greci e i Romani – per definizione non hanno voce, per definizione sono muti: tutto ciò che conosciamo delle loro civiltà è affidato o alla documentazione scritta o all’ancor più silenziosa documentazione materiale (e proprio per questo studiare gli antichi fa un gran bene alla salute, perché insegna a diventare lettori e osservatori attenti). Dunque, per ascoltare la voce degli antichi abbiamo sempre bisogno di una voce viva, di una voce attuale. È sempre il presente a mediare fra noi e loro. È giusto che sia così, ed è giusto ricordare che non c’è ascolto dell’antichità che non muova da questa mediazione.
Federico Condello
Alexandra Bastari
(In copertina Arthur Yeti da Unsplash)
Con la collaborazione dell’Oratorio di San Filippo Neri: