
A quasi sessant’anni dal primo film, ripercorriamo insieme la celebre Trilogia del Dollaro di Sergio Leone, maestro indiscusso del Western all’italiana che ispirò intere generazioni di registi, da Coppola a Tarantino.
Primo piatto: spaghetti western
Il Western all’italiana, noto anche come “Spaghetti Western”, dal nome gergale americano col quale era noto, si associa quasi istintivamente alla figura di Sergio Leone. Il regista romano, autore delle celeberrime Trilogia del Dollaro e Trilogia del Tempo, fu un maestro indiscusso del genere, e anche uno dei pochi elogiati dalla critica.
La caratteristica principale di questi film, infatti, era la loro apparente semplicità, dati i budget ridotti, causa anche dell’iniziale tiepida accoglienza da parte dei critici, che li vedevano più come blande imitazioni dei classici di John Ford e John Wayne.

Dopo i primi film degli anni ‘40 e ‘50, il genere vedrà la propria apoteosi proprio grazie alla Trilogia di Leone (Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più e Il Buono, il Brutto e il Cattivo) e il successivo C’era una volta il West, e alle amabili parodie di Bud Spencer e Terence Hill (Lo chiamavano Trinità), per poi tramontare definitivamente dopo gli anni ‘70.
Da che parte per il West?
La trilogia, uscita tra il 1964 e il 1966, racconta le vicende che ruotano attorno al fantomatico Uomo senza nome (interpretato da Clint Eastwood), un pistolero a metà tra il giustiziere e il cacciatore di taglie.
L’opera di Leone è un crescendo narrativo: se nel primo film l’ambientazione è circoscritta ad un singolo villaggio in preda a lotte tra bande, con pochi attori e un esiguo numero di comparse, già dal secondo la storia si fa più intricata, a Eastwood si affianca un superbo Lee Van Cleef (che porta con sé una trama densa e drammatica) e i personaggi si muovono su un territorio più ampio.

Infine si arriva al terzo, dove sullo sfondo si trova l’ingombrante presenza della Guerra di Secessione, i protagonisti diventano tre (con l’indimenticabile Tuco di Eli Wallach) e la storia assume le atmosfere di un thriller e di una denuncia contro le barbarie di tutti i confitti.


Nonostante l’ordine di uscita dei film sia quello sopracitato, quello cronologico è esattamente l’opposto (proprio nel terzo film il protagonista assumerà il suo iconico abbigliamento); ma, come in molte altre opere, è meglio vederli secondo la scansione originale per gustarsi al meglio questa climax cinematografica senza precedenti.
L’uomo senza nome
È proprio il misterioso protagonista a tenere alta la tensione per tutti e tre i film. Non sappiamo quasi nulla di lui, persino gli altri personaggi sembrano all’oscuro del suo passato e del suo nome, tanto che si riferiscono a lui con soprannomi quali “Joe”, “Il Monco” e “Il Biondo”; mentre nel terzo film è il “Buono” del titolo, o meglio quello che più incarna questa caratteristica tra i tre protagonisti.
Il suo vocabolario è ridotto a poche battute, sempre taglienti ed efficaci, mentre le sue azioni sono spesso calcolate e premeditate.
Abile doppiogiochista e, all’occorrenza, cacciatore di taglie, sempre riconoscibile dal suo immancabile poncho, il personaggio di Eastwood si muove tra sterminati deserti infuocati e lande desolate, mentre cerca di salvare i più deboli seguendo un proprio, discutibile, senso di giustizia.

“Tu vuò fa l’americano”
Leone inizia a fare cinema accostandosi al genere peplum (film storici o fantastici ambientati nell’Antica Grecia o nella Roma Imperiale) già da giovane, facendo gavetta col padre come aiuto regista dietro la cinepresa. Sono suoi anche alcuni fondamentali contributi a veri e propri kolossal come Quo Vadis? (1951) e Ben-Hur (1959).


Dopo altri lavori non accreditati, nel 1961 vede la luce Il colosso di Rodi, l’unico peplum diretto interamente dal regista romano, che da lì a poco cambierà genere e darà vita al primo tra i suoi capolavori, Per un pugno di dollari, ispirato da La sfida del samurai (1961) di Akira Kurosawa (forse anche troppo ispirato, dato che Leone fu accusato di plagio).
Leggendo i titoli di testa, però, non ci si imbatte nei familiari nomi che tutti conosciamo: Bob Robertson è alla regia, musiche di Dan Savio, il ruolo del cattivo è di John Wells.
Questo perché il film doveva sembrare un western americano a tutti gli effetti, dato che sotto molti punti di vista, dalle ambientazioni alle situazioni rappresentate, si distaccava molto da quello che era il canone del genere.

Ed è così che Sergio Leone, Ennio Morricone e Gian Maria Volontè si firmano sulla carta con nomi stranieri. Paradossalmente, però, il regista non conosceva bene l’inglese, tanto che durante le riprese doveva comunicare le istruzioni a Eastwood mimando le scene da girare.
Compagni di classe
Una delle componenti più memorabili dei tre film è sicuramente la colonna sonora composta da Ennio Morricone, che ancora una volta è rivoluzionaria: oltre ad alcuni brani ormai diventati dei veri classici, come L’estasi dell’oro o il tema finale del triello, ciò che più la contraddistingue è l’inserimento di suoni comuni, come fischi e spari, che si adattano alla perfezione alle note effettive.
Leone e Morricone, in realtà, si erano già conosciuti sui banchi di scuola a Roma (come testimonia una foto tornata celebre qualche anno fa) per poi rincontrarsi dopo trent’anni al cinema, dove erano andati a vedere proprio La sfida del samurai. In quell’occasione, il regista accennerà al suo futuro collaboratore l’idea del primo film, Per un pugno di dollari.

Un sodalizio durato vent’anni (dal ’64 all”84), in cui entrambi hanno reciprocamente arricchito l’arte dell’altro. L’ennesimo motivo per (ri)scoprire ancora oggi, quasi sessant’anni dopo, questa indimenticabile trilogia: un affresco fatto di giustizieri, dollari e pistole, che ha ispirato intere generazioni di cineasti, da Coppola a Scorsese fino a Tarantino, e che ne formerà tante altre negli anni a venire.
Alessandro Palmanti
(In copertina, foto da wall.alphacoders.com)
Per approfondire le atmosfere della Trilogia del Dollaro, leggi anche la recensione del Potere del cane di Jane Campion.