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Tutte le strade portano a Roma, ma è meglio la città o il paese?

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C’è davvero una differenza costitutiva tra le persone di un paese di provincia e quelle nate e cresciute in una città? Avere possibilità maggiori implica davvero un’apertura mentale diversa? Queste e altre domande sorgono spontanee quando si entra in contatto con altre realtà e si sperimentano diversi modi di vivere.


Vita di paese

Provengo da un paesino di provincia dell’entroterra pugliese che conta circa 6.000 abitanti; un centro piccolo ma accogliente, che vive di agricoltura e piccole attività. Insomma, un posto mite e tranquillo, di vita semplice e lenta. Da bambina, camminando per strada, tutto, dalle strade alle persone, appariva grandissimo e distante, ma allo stesso tempo estremamente famigliare.

Crescendo, oltre a una maggiore consapevolezza di me stessa e dei luoghi che mi circondavano, ho avuto quasi l’impressione di poter tenere il mondo in mano, anche perché probabilmente la mia visione era alquanto ristretta.

Ero in una zona di comfort, mi sentivo sicura perché ero consapevole del fatto che chiunque incontrassi per strada, scuola o in altre occasioni, mi conoscesse perfettamente, ed effettivamente era ed è tuttora così. In un paese piccolo in cui la tua famiglia vive da generazioni tutti sanno chi sei e “a chi sei figlio, nipote, cugino” e così via.

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Spinazzola, centro storico (foto).

Il primo contatto col diverso

All’inizio delle scuole superiori, sono diventata pendolare, entrando per la prima volta in una comunità che non era la mia. Per 5 anni, ogni giorno aspettavo il pullman per spostarmi in un luogo che, per quanto geograficamente vicino e di poco più grande rispetto a quello da cui provenivo, mi sembrava nuovo e completamente diverso. Mi sono trovata a interagire con persone che non conoscevo e che non conoscevano me e, a poco a poco, ho imparato ad ambientarmi in un paese più grande.

Ho iniziato a osservare i particolari e a notare tutte le differenze rispetto alla mia zona di comfort. Ho sentito un altro accento, ho imparato nuovi modi di dire, ho scoperto mode differenti e stili originali. Mi sembrava di essere circondata da persone più inclusive, più libere e meno condizionate dal contesto.

Con il passare del tempo, tutta la novità iniziale è diventata normalità, ho iniziato a cambiare prospettiva e ora, guardandomi indietro, sorrido pensando a quanto fossi ingenua, ma al contempo mi rendo conto di quanto effettivamente questo cambiamento, per quanto piccolo, abbia influito sul mio modo di vedere le cose e mi abbia fatta crescere.

Apprendere dell’esistenza di qualcosa di diverso rispetto a quello a cui si è abituati consente di ampliare i propri orizzonti, mettersi in discussione e ridimensionare il “vecchio” per accogliere il “nuovo”.

Un cambiamento radicale: Bologna

Finito il liceo, da pendolare sono diventata fuorisede; ho iniziato l’università a Bologna e l’entità del cambiamento è stata nettamente maggiore.

L’aumento della distanza geografica è stato direttamente proporzionale all’aumento della differenza tra la mia realtà di provenienza e quella di arrivo.

Le sensazioni iniziali di solitudine e nostalgia per i miei affetti lontani, di spaesamento di fronte ad una città così grande e di paura per una vita più autonoma, hanno gradualmente fatto spazio alla curiosità per ciò che mi circondava.

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Bologna (foto: Marco Testi/Unsplash).

Bologna è sempre stata, storicamente, un luogo di scambi culturali, un crocevia di persone e di saperi, da quello accademico a quello popolare, e questo è ben evidente ancora oggi. Ho avuto la sensazione di essere in un luogo in cui l’apparenza perdeva importanza per far spazio alla concretezza; tutto, dalla moda al modo di vivere e divertirsi, mi ha positivamente destabilizzata.

Ho capito di essere cresciuta in un contesto in cui l’essere conosciuta da tutti mi ha inconsciamente condizionata e costretta, mi ha portata a pensare in piccolo e a contemplare uno stile di vita incentrato sull’apparenza, sul non voler uscire dagli schemi per il “terrore” di essere giudicata e additata.

L’eterno divario tra Nord e Sud

Al di là della mentalità, da un punto di vista più pratico, mi sono resa conto di un altro fattore che avevo fino ad ora ignorato e che purtroppo condiziona in maniera inevitabile tutto il resto: la disponibilità di mezzi e opportunità.

In linea di massima, una città offre di più rispetto ad un paese in termini di servizi, luoghi di svago, formazione e chi più ne ha più ne metta. Ma avete mai pensato a cosa offra una città del Nord Italia rispetto ad una città del Sud Italia e, ancor più, rispetto ad un paesino dell’entroterra meridionale?

Potrei far spaziare la mia riflessione dall’ambito più evidente delle infrastrutture e dei trasporti a quello più profondo degli stimoli culturali. Al Sud per potersi spostare da un paese all’altro, per distanze anche piccole, i trasporti pubblici sono limitatissimi e disorganizzati mentre le infrastrutture sono vecchie e malfunzionanti.

Un ragazzo che vive in un paesino come il mio per 365 giorni l’anno e che non sia automunito corre due rischi: la noia mortale e la chiusura fisica e mentale.

Roma, una grande metropoli

Finita l’esperienza bolognese, il mio status di fuorisede si è evoluto: mi sono spostata a Roma, una città ancora più grande ma geograficamente più vicina. La mia esperienza è in corso, quindi non sono ancora in grado di dare una visione finita di ciò che sto quotidianamente vivendo.

Quello che posso dare al momento è un’umile prospettiva che probabilmente cambierò da qui a qualche mese. Una convinzione che si sta radicando in me e che continua a trovare conferme giornaliere è che Roma sia a metà tra il Nord e il Sud non solo geograficamente, ma anche culturalmente. Sento di essere in una città che offre infinite possibilità, stimoli e servizi (come tutte le città, in particolare nel Nord Italia), anche con scarse capacità organizzative (come tutto il Meridione).

Oltre a ciò, la posizione mediana è ben visibile o, meglio, percepibile, nell’atmosfera, nel calore della città e delle persone. Sembra esserci sempre un clima rilassato e gioviale, come se la frenesia di Roma non intaccasse il benessere delle persone, tutto è estremamente tranquillo. Ciò che tuttavia mi ha stranita è realizzare quanta differenza ci possa essere, all’interno di una stessa città, tra una zona e l’altra; basta spostarsi tra quartieri adiacenti per riscoprirsi in un altro luogo, con ambienti, persone e usi diversi.

Ho capito che Roma è una città così grande e così ricca che probabilmente, pur trascorrendoci tutta la vita, non può essere conosciuta interamente. Mi chiedo dunque, un romano a cosa sente di appartenere? Quanto è forte il suo senso di comunità? Quanto è legato emotivamente e fisicamente ai luoghi e alle persone della propria città rispetto a come lo si può essere di un paese?

Roma, città e paese.
Roma, la città eterna (immagine: liliy2025/Pixabay).

Essere parte di qualcosa

Per me, che provengo da un paesino che si estende per circa 200 km², conoscere ogni centimetro di strada, ogni palazzo, ogni iniziativa sociale e culturale, ogni viso e ogni membro della comunità (anche solo di vista) è una cosa ovvia e naturale.

Mi fa sentire parte di qualcosa; mi fa sentire legata affettivamente ai luoghi e alle persone; crea in me un senso di appartenenza e di identità che mi porta, nonostante gli innumerevoli disagi, a provare nostalgia e desiderio di tornare dopo lunghi periodi trascorsi lontana dal mio paese. Ma quanto è forte questo sentimento in chi nasce e cresce in un contesto molto più grande e variegato?

Vogliamo parlare dell’innegabile evidenza che regge l’universo umano, del fatto, cioè, che esso è dominato da un’irriducibile pluralità di culture. E poiché le culture costituiscono […] quello sfondo che consente all’individuo di orientarsi nel mondo […] non si può non prendere atto delle molteplici e diverse sfaccettature con cui ci si presenta il volto umano, e con ciò, del carico di problematiche […] che una simile questione della differenza, o se vogliamo dell’alterità, si trova a sollevare.

Betina Lilián Prenz, Identità e differenza, la questione dell’altro (link).

Io credo che, al contrario del paese, in una grande città, per quanto si possa vivere nel proprio quartiere, affiancati dal proprio giro di amicizie e conoscenze, gli influssi continui di culture, idee e persone provenienti dai luoghi più disparati influenzino ogni cosa costantemente e inconsciamente. Questo, a mio parere, non contribuisce a creare un senso di comunità e di appartenenza, oltre a rendere difficile la creazione di un’identità propria ed univoca.

Le mie, come già detto, sono tuttavia riflessioni a caldo e non sono esentate da possibili variazioni; d’altro canto, la scoperta del nuovo e del diverso porta sempre continui dubbi e ripensamenti.

Gaia Rotondella

(In copertina, per la differenza tra grande città e paese, immagine di Gabriella Clare Marino da Unsplash)

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