“Eyes Wide Shut”, film di Stanley Kubrick dal titolo ossimorico uscito nel 1999, è certamente ricordato dai suoi spettatori per aver causato loro un profondo turbamento. Tuttavia, in pochi sanno che la pellicola si ispira al libro “Doppio sogno” (Adelphi, 1977) del medico e poeta Arthur Schnitzler, contemporaneo di Freud. Se vi chiedete da dove arriva il perturbante, quindi, è presto svelato.
Ho pescato Doppio sogno, di Arthur Schnitzler, dai libri “dimenticati” del mio scaffale, nascosto per la sua sottigliezza fra molti altri.
Senza volerlo, l’ho ripreso a un anno esatto dal momento in cui lo comprai: il biglietto di un museo, infilato al suo interno, mi ricorda che lo scorso ottobre stavo aspettando di entrare a Palazzo Medici Riccardi a Firenze e, per ingannare l’attesa, ho ficcato il naso in un mercatino delle pulci.
Proprio come una pulce, questo piccolo volume mi è saltato tra le mani e si è poi introdotto nel mio orecchio. Esile e breve, tuttavia, Doppio sogno si insidia nel lettore costringendolo a fare i conti con verità che molto spesso tendiamo ad ignorare.
Schnitzler e l’inconscio
Fridolin e Albertine a prima vista sembrano una coppia borghese senza problemi, uniti da una passione che non è ancora sfiorita.
Hanno da poco partecipato a una festa in maschera in cui entrambi sono stati tentati da figure misteriose che hanno dapprima acceso e poi lasciato appassire un antico e inaspettato desiderio di andare incontro all’ignoto. Fatto ritorno nella camera matrimoniale, marito e moglie iniziano a raccontarsi i reciproci desideri sessuali scaturiti dalla strana nottata.
Arthur Schnitzler indaga, come gli scrittori mitteleuropei della sua generazione, il senso di disagio in particolare dell’uomo reduce dalla crisi viennese di fin de siècle.
Di fatto, le sue atmosfere “da sottosuolo” e lo stile di scrittura ricordano vagamente Kafka, con le sue descrizioni asciutte, capaci di delineare alla perfezione un personaggio attraverso pochi tratti fisionomici e caratteriali.
Cosa si cela dietro l’ignoto
Il discorso seguente alla festa, che scaturisce in marito e moglie uno slancio di fiducia forse avventato, dà il via a una serie di confessioni su momenti del passato in cui sia l’uno che l’altra hanno sorpassato il limite imposto dalla fedeltà coniugale.
Fridolin, incalzato dalla moglie, racconta le sue tentazioni più imbarazzanti. Albertine, a sua volta, sembra gonfiare le narrazioni quasi con il desiderio di punire il marito, colpevole di aver risvegliato in lei rancori sepolti. Non è necessario Freud per leggere il volto di lei, che passa da un mesto e malinconico sorriso a uno sguardo freddo e impenetrabile.
E così Albertine ammette il suo scambio di sguardi con un bell’uomo sulla costa danese, avvenuto in vacanza l’anno prima, e la mancanza di esitazione che avrebbe avuto se lui le avesse chiesto di scappare assieme. Anche Fridolin, nella stessa occasione, era rimasto ammaliato da una “ninfetta” – per dirla con Nabokov. Il discorso, iniziato come confessione sincera e aperta, ha invece scatenato una serie di reazioni contrastanti.
A questo punto, Fridolin, che svolge la professione di medico a domicilio, viene chiamato per andare in visita a un paziente in fin di vita. E così, da questa uscita di casa ed entrata nella cupa sera viennese, inizia un’onda di rancore, vendetta, illogicità e, appunto, “sogno”.
Il ballo in maschera
Se, inizialmente, Albertine sembrava la più colpita nell’animo a seguito delle troppo oneste confessioni, è Fridolin che seguiamo nel suo percorso che intreccia realtà e sogno. È Fridolin che è tormentato dal racconto della moglie, forse falso, forse esasperato, forse solo frutto di un principio di desiderio.
La viltà lo spinge – è forse uno sforzo? – a fantasticare su tutte le donne che si mostrano vulnerabili con lui. Per cominciare Marianne, a cui è appena morto il padre, innamorata da tempo di Fridolin e a cui, quella sera, il medico pare quasi più arrendevole o più impietosito dalla sua febbre d’amore. E poi la prostituta diciassettenne – forse gli ricorda la ninfetta danese? –, troppo disinibita e troppo bambinesca per farlo andare fino in fondo.
In effetti, respinge entrambe le donne, quasi la sua ratio riuscisse ancora a sovrastare il suo ego ferito. Eppure, un ego trepidante in procinto di scattare.
Sarà Nachtigall – il nome sintomatico dell’avventura notturna e segreta che sta per affrontare – a scaturire lo sfogo delle passioni sopite di Fridolin. Completamente bendato, giungerà infine a una magnifica villa in cui altri inquietanti e anonimi partecipanti mascherati sono in procinto di dare il via a una sorta di iniziazione carnevalesca, dove donne vestite solamente di una maschera, aprono le danze.
Albertine, donna crudele
Non è più distinguibile, dal momento in cui Fridolin esce di casa, la realtà dal sogno. A creare un’atmosfera ambigua i personaggi mascherate, alla stregua dei volti indistinguibili delle figure nei nostri sogni. I segnali dell’inconscio possono essere riscontrati in vari momenti simbolici, come nella parola d’ordine per l’ingresso alla festa – Danimarca: luogo dei tradimenti morali dei coniugi.
O ancora, nel percorso fino alla villa, di cui Fridolin vede solo il punto di partenza e il punto d’arrivo a causa delle bende – d’altronde, come spesso nei sogni accade di non riuscire a spiegare in che modo si sia giunti in un punto diverso rispetto a dove ci si trovava prima.
Al ritorno dalla sua avventura notturna, Fridolin raggiunge a letto la moglie, che racconta il sogno da cui si è appena svegliata ridendo. Ancora una volta nel suo sonno Albertine è infedele a Fridolin, e quest’ultimo sente che in qualche modo la moglie abbia la meglio su di lui – la sua notte fuori è iniziata col desiderio di ripicca ma, a quanto pare, non è capace di andare fino in fondo, mentre lei se ne dimostra perfettamente in grado. Ora la sua viltà lo spinge a vederla come traditrice e crudele.
Unheimlich
Sigmund Freud sviluppa nel 1919 il concetto di Unheimlich, in contrapposizione a quello di Heimlich (“tranquillo”, “fidato”, “intimo”). Il primo termine si riferisce a qualcosa di misterioso e segreto che emerge, ciò che affiora dall’inconscio.
Si rimanda così al concetto di “perturbante” che pervade tutta l’opera di Schnitzler, ed è questa la linea che tutta la vicenda segue: il desiderio – certo pericoloso, eppure inevitabile – che è presente nell’uomo e che, per le convenzione sociale e il benessere delle relazioni monogame e coniugali, viene spinto a fatica sotto il silenzio.
Una coppia, un insieme creato da due individui, uniti certo nella volontà ma pur sempre due nuclei a parte. Proprio in quanto individui, le loro menti sono impenetrabili, i segreti vengono scelti con cura.
È una lusinga? Bisogna essere grati di quelle verità non dette? di quelle piccole “protezioni” celate in quanto, altrimenti, bisognerebbe dirsi ogni pensiero, anche il più minuto? Un tradimento viene taciuto perché è considerato vanesio o per vigliaccheria? La pulsione al tradimento ha più valore del tradimento stesso? Quante sono le cose dell’uno che l’altro non sa?
Nessun sogno è interamente sogno
Il “doppio sogno” del romanzo di Schnitzler è il sogno di Albertine, a casa nel letto, e allo stesso tempo la vicenda onirica notturna di Fridolin. Forse il sogno è un delirio, forse il delirio di Fridolin causato da un paziente bambino malato di difterite che gli aveva tossito in faccia. O forse è un sogno a occhi aperti, uno di quei momenti in cui, in seguito a una particolare frase, lo sguardo si fissa e si diventa improvvisamente assenti.
È “sogno” il desiderio espresso dai coniugi durante la vacanza danese? È sogno la realtà di una vita coniugale completamente sintonizzata? Cosa è sogno?
“[…] la realtà di una notte, e anzi neppure quella di un’intera vita umana, non significano, al tempo stesso, anche la loro più profonda verità”. “E nessun sogno” disse egli con un leggero sospiro “è interamente sogno”.
La realtà che vive Fridolin potrebbe non coincidere con la verità: il suo desiderio di possedere un’altra donna è, forse, solo desiderio di vendetta, non è che gelosia, orgoglio ferito. D’altro canto, il sogno di Albertine, potrebbe ugualmente non essere semplicemente una fantasia, ma celare una volontà inconscia. È per questo che Fridolin si sente ferito? Perché sente questa verità sottesa?
La vicenda porta a riflessioni scomode, a un senso di disagio. Dove finisce, insomma, la libertà dell’uno e dove inizia quella dell’altro, all’interno di una coppia? I “sogni son desideri”, come canta la Fata Turchina o sono rielaborazioni inconsce su cui non abbiamo controllo e a cui non va dato troppo peso?
Insomma, potremmo chiedere a Freud un’interpretazione dei sogni dei due protagonisti, ma forse la nostra operazione sarebbe più simile a quella di Nabucodonosor – “Ditemi dunque il sogno e la sua spiegazione”. Anche perché nella vicenda, in realtà, non sappiamo cosa sia realtà.
Blu Di Marco
(In copertina, per Doppio sogno di Arthur Schnitzler, Edvard Munch, The Dead Mother and Her Child, 1901, acquaforte)
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