“To gaze” (“fissare con insistenza”); “male” (“maschi); “male gaze”: rappresentazione del femminile operata da una prospettiva unicamente maschile, etero, fatta di corpi senza cervello, cuore o anima, ma splendidi a vedersi. E, possibilmente, con la carica emotiva di una suppellettile. Sarà per questo che essere triste o arrabbiata è diventato femminista.
Pearl, di Ti West
È il 16 settembre del 2022 quando nelle sale cinematografiche statunitensi esce Pearl, di Ti West. La trama è un caleidoscopio disturbante e sanguinolento. L’omonima protagonista del film, interpretata da Mia Goth (co-autrice della sceneggiatura), sogna di diventare una stella del cinema nel corso della Prima guerra mondiale.
Ma vive isolata in una fattoria, in un contesto familiare abusante, a causa del quale inizia a sviluppare violente psicosi e allucinazioni, che la trasformano in una efferata assassina. Tuttavia, volenti o nolenti, non riusciamo a condannarla fino in fondo perché la capiamo.
Una donna arrabbiata fa paura?
Pearl ha dato un volto e una voce alle frustrazioni femminili di tutto il mondo. Con il suo iconico lamento, quel “please I’m a star!” urlato a pieni polmoni dalle belle labbra dipinte di rosso scarlatto, ha ottenuto l’effetto catartico dell’eroina di una tragedia greca.
E molte giovani donne hanno finalmente visto il dolore dell’esistenza femminile rappresentato in modo reale, estremo; non più languide e sensuali lacrime a solcare il viso, spalline che si abbassano lasciando pelle strategicamente scoperta, tagli di capelli improbabili per superare una rottura.
Laddove i media presentano sempre un unico modo di affrontare la sofferenza, che poi è stato per lungo tempo l’unico modo dignitoso di esistere in quanto femmine in un mondo di maschi, cioè una passività composta e sensuale e un’emotività che riconduce sempre alla tristezza e ad un’imminente autodistruzione, si sta adesso opponendo un nuovo movimento.
Si tratta di una vera e propria web-subculture composta da ragazze che fanno vlogging su Pinterest e Tumblr, dove pubblicano sfoghi anonimi e supportano a vicenda la rispettiva rabbia per questioni prettamente legate alla sfera femminile da secoli.
Si parla di abusi sessuali, di mancata accettazione del proprio corpo, di rinuncia alle aspirazioni individuali in favore di uno stile di vita più in linea con i “valori tradizionali”.
Le loro muse ispiratrici sono anti-eroine del cinema: la Lisa di Ragazze interrotte (1999), la Jennifer di Jennifer’s body (2009), la Amy Dunne di Gone girl (2014).
Negli atti di furia sanguinaria di queste moderne Medee le giovani donne sembrano trovare una convalida a quella loro rabbia che molto spesso non trova un riscontro nel mondo reale. Del resto, fin dall’alba dei tempi essere arrabbiati è una cosa da maschi; se sei arrabbiata, è probabile che tu abbia il ciclo. Tranquilla, fra qualche giorno sarà tutto passato.
Sad girl aesthetic VS Female Rage
Quando si parla di trend femminili non si può non fare riferimento a Audrey Wollen, scrittrice e artista americana divenuta famosa negli anni Duemila proprio per la sua teoria della “Sad girl”. Iniziato come un progetto di ricerca che esaminava il tópos culturale della ragazza suicida, si è velocemente trasformato in un ideale estetico che molte ragazze si sforzavano di incarnare. L’immagine tipica è quella di una giovane donna bianca, dalla pelle diafana e dal fisico emaciato, che fuma Marlboro Red, ascolta Lana del Rey e legge Sylvia Plath.
Imperversavano su Tumblr e Pinterest, con un recente revival su TikTok, fotografie di ragazze con make-up sbavati, capelli disordinati a regola d’arte e corpi di perfetta porcellana a mollo in una vasca da bagno, in una sorta di prostrazione esistenziale da principessa rinchiusa nella torre.
Quello che Wollen aveva identificato come un metodo alquanto eterodosso di resistenza attiva al patriarcato, operata attraverso la propria tristezza individuale, si era velocemente trasformato in un trend che romanticizzava la depressione e i disturbi alimentari.
Ma, come sappiamo, le mode cambiano. Alla glamourizzazione della tristezza femminile negli ultimi tempi si è opposto il trend della Female Rage, che sembra invece invogliare le giovani donne a sviluppare un’indole combattiva, a vedere nella vendetta l’unica possibile giustizia in un mondo ostile che non le ascolta e non le considera, a fare rumore quando il resto della società le vorrebbe silenziose.
Eppure, per quanto opposti, entrambi questi movimenti hanno lo stesso limite: rendono le donne che vi si identificano creature frammentate, le costringono ad aderire allo stereotipo più in voga, arrivando ad identificarle soltanto con l’emozione che provano, senza mai dare loro la possibilità di costruire e accettare un’autentica e integra idea di se stesse.
Anche il dolore va di moda
In un mondo come il nostro, dove le strade sono invase di scarpette rosse ogni 25 novembre, in cui gli stupri sono sempre più frequenti e ancora si discute di diritto all’aborto, le donne hanno tutto il diritto di essere arrabbiate. Dove il 10% delle ragazze soffre di un disturbo alimentare, dove l’isolamento sociale e la depressione sono sempre più frequenti e le aspettative sempre più alte, le donne hanno tutto il diritto di essere tristi.
Che sia Female Rage o Sad girl, questi trend altro non sono che dei palliativi, perché in quanto donne sappiamo che non potremo evitare il dolore. Di conseguenza, tanto vale indossarlo come un bel vestito firmato e cambiarlo a nostro piacimento.
Dietro a questi trend di TikTok c’è l’espressione di un disagio verso se stesse e la realtà in cui si vive che è sempre più inospitale e terrificante.
Maria Teresa Luordo
(In copertina, per Sad Girl Core VS Female Rage, immagine tratta dal film Pearl, di Ti West, 2022)