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Quali sono le cause storico-politiche dietro all’attacco di Hamas?

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Sabato 7 ottobre ha segnato l’inizio di una nuova fase del conflitto israelo-palestinese: le forze di Hamas, movimento militare islamico e partito politico che controlla la striscia di Gaza dal 2006, hanno sferrato un attacco, inedito per mezzi e proporzioni, contro lo Stato di Israele; tuttavia, le cause della guerra affondano le loro radici in un lontano passato…


Nel corso di questo nuovo attacco, al lancio dei razzi, alcuni dei quali non sono stati intercettati dall’efficientissimo Iron-Dome, lo scudo antimissilistico israeliano, si è unita un’operazione di terra del tutto inattesa dall’intelligence israeliana: in seguito a una serie di cause profonde, i miliziani di Hamas hanno varcato le controllatissime frontiere di Gaza e sono entrati nelle città di Israele, catturando ostaggi e facendo strage di civili.

Orrori che hanno subito permesso di immaginare le dimensioni dell’immediata controffensiva israeliana, sulla scia di anni di sproporzionate rappresaglie sui palestinesi: l’oltraggio arrecato da Hamas non può essere accettato dal presidente israeliano Netanyahu, il quale ha subito rassicurato la sua popolazione che “il nemico pagherà un prezzo senza precedenti” e non si è posto alcuno scrupolo nel radere al suolo abitazioni, scuole, moschee e ospedali.

Il conflitto fra Israele e Palestina

La guerra tra Israele e Palestina è teatro di morte da decenni, ma l’ultima settimana non ha segnato solo un’escalation del conflitto: per la prima volta, un attacco di Hamas ha messo in discussione la forza di Israele e il suo sistema di difesa. Inoltre, la risposta di Netanyahu sta provocando una catastrofe umanitaria a Gaza giustificata dal nostro Occidente; le popolazioni civili sono spaccate e gli equilibri del Medio Oriente destabilizzati dalla crisi politica, mentre la tensione nel mondo arabo minaccia di esplodere nelle società multiculturali.

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Foto: ansa.

La complessità della situazione è tangibile e rende inaccettabile e quasi banale lo schieramento, totale e acritico, dei paesi occidentali sul fronte israeliano: colpiscono il convinto sostegno al famigerato diritto a difendersi di Israele, l’incapacità di considerare l’evoluzione storica del conflitto e situare quanto avvenuto negli ultimi giorni nel clima di odio e violenza in cui vivono gli abitanti di Gaza e l’automatica sovrapposizione fra terroristi e palestinesi.

Uno scenario intricato, del quale devono indignare le inaccettabili conseguenze umanitarie e preoccupare le derive ideologiche e politiche.

La risposta di Israele

La violentissima risposta militare sulla popolazione civile da parte di Netanyahu risponde a una logica di de-umanizzazione dell’avversario che fornisce la legittimazione al totale annientamento del “nemico”. Appunto, il paradigma ideologico di riferimento è quello ultraortodosso, sionista, ipernazionalista della destra israeliana al governo, che sostiene e mobilita da anni un fortissimo razzismo antiarabo.

Netanyahu, infatti, si è sempre opposto alla creazione di due Stati in Palestina, come raccomandato dalla risoluzione 181 dell’Onu nel 1947. D’altra parte, neoeletto nel 1996, giocò un ruolo importante nel bloccare i negoziati aperti dopo gli Accordi di Oslo del 1993.

Bibi, infatti, non ha mai nascosto il suo odio nei confronti dei palestinesi, al punto di sostenere, al Congresso mondiale sionista del 2015, lassurdità secondo la quale Hitler avrebbe voluto solo espellere gli ebrei dalla Germania e avrebbe invece deciso di sterminarli su pressione del muftì di Gerusalemme, Haj Amil al Husseini.

Il presidente dello Stato d’Israele ha negato la responsabilità nazista della Shoah per attribuirla ai palestinesi e fomentare l’odio della popolazione israeliana verso i confinanti: una manipolazione della storia da brividi che poco si addice a una democrazia.

Le linee ideologiche dei politici israeliani

Se il Likud, partito liberale nazionalista di cui Netanyahu è il leader, pone le sue radici nel movimento sionista riformista, l’esecutivo attuale, insediatosi a novembre 2022, si è spostato ancora più a destra in ragione del coinvolgimento di Ben-Gvir, ora ministro della sicurezza nazionale e capo del partito estremista Potere Ebraico.

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Itamar Ben-Gvir (foto: Amir Cohen/Reuters).

Nel suo programma, il politico mira a espellere da Israele i palestinesi “non leali” e rifiuta l’idea di uno Stato palestinese, sostenendo che “in virtù della promessa di Dio al popolo ebraico, la terra di Israele gli appartiene”.

Accanto al leader del partito ultranazionalista che si riconosce in modo esemplare nel “sionismo fascista”, l’esecutivo vede fra i suoi componenti anche Bezalel Smotrich, ministro delle finanze e a capo dell’agenzia del ministero della Difesa responsabile per gli affari civili in Cisgiordania, noto per sostenere gli insediamenti israeliani nella West Bank e la sua annessione a Israele.

Il 19 marzo 2023, proprio mentre funzionari israeliani e palestinesi erano riuniti ad Amman per accordarsi sui piani di sicurezza da attuare nel mese del Ramadan, Smotrich dichiarava a Parigi: “Il popolo palestinese è un’invenzione che ha meno di cento anni di vita. Hanno una storia o una cultura? No, non le hanno. I palestinesi non esistono, esistono gli arabi”.

Le politiche di Netanyahu

In questo senso, il quotidiano israeliano Haaretz, di note posizioni progressiste, in un editoriale dell’8 ottobre ha scritto che “il disastro abbattutosi su Israele è chiaramente responsabilità di Benjamin Netanyahu” e del suo “governo di annessione ed esproprio”, la cui politica estera ha sempre “ignorato apertamente l’esistenza e i diritti dei palestinesi”.

Il premier israeliano, ormai al suo sesto mandato, alimenta da anni l’odio nei confronti del popolo palestinese, e ora l’esecutivo da lui costituito – per altro con una maggioranza molto debole, a riprova di quanto la stessa popolazione israeliana sia in gran parte molto critica verso il suo primo ministro – ha fatto del razzismo antiarabo la sua bandiera.

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Benjamin Netanyahu (foto: ansa).

Questo ha avuto anche delle implicazioni materiali gravissime se si considera il supporto di Netanyahu ad Hamas negli ultimi anni: Nitzan Howoritz, ex ministro israeliano della Salute, ha evidenziato che la dottrina di Netanyahu, presentata al Likud nel 2019, è stata esplicitamente quella di “rafforzare Hamas pagando all’organizzazione ogni mese milioni di dollari per creare un cuneo tra i palestinesi di Gaza e quelli della Cisgiordania”, in modo tale da “indebolire l’Autorità palestinese di Ramallah, il principale interlocutore negli accordi di Oslo”.

Le violenze nei confronti della Palestina

Internazionale, in occasione delle parole di Smotrich nello scorso marzo, sottolineava che “la coalizione israeliana non teme una crisi, anzi la auspica nella speranza di completare una nuova tappa nella sua missione di conquista aggressiva dei territori palestinesi”.

Gli eventi degli ultimi giorni avvalorano drammaticamente questa impressione: Netanyahu parla di vendetta, di violenza e di morte come cause della risposta all’attacco – “colpiremo come non abbiamo mai colpito prima”, “ci vendicheremo”, “ogni uomo di Hamas è un uomo morto”, “abbiamo solo iniziato”. Il leader politico che parla alla propria nazione ha un enorme potere performativo: Bibi lo sa perfettamente, e lo fa per incitare all’odio i civili israeliani, che nel frattempo sono stati armati in massa per “proteggere le città” dai miliziani di Hamas.

Il ruolo politico di Netanyahu nel destabilizzare l’Autorità nazionale palestinese, la quale dal 2012 gode di legittimità internazionale in seguito alla risoluzione 67/19 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che la riconosce come osservatore permanente, tramite supporti ad Hamas, classificata invece come organizzazione terroristica dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, non può essere trascurato.

La sistematica de-umanizzazione dell’avversario – prima mediante la negazione dell’identità e della legittimità ad esistere, e in questi giorni attraverso la stigmatizzazione di tutti i palestinesi come terroristi – al fine di giustificare l’annientamento totale e indiscriminato del nemico per la sopravvivenza della nazione israeliana è un’operazione di nazionalismo efferato che deve ricordare a noi europei la distruttività di quella prima catastrofe che è stata la Prima Guerra Mondiale e l’atrocità del razzismo antisemitico nazifascista.

Eleonora Pocognoli

(In copertina, AP Photo/Fatima Shbair)


Per approfondire le cause dell’attacco di Hamas, leggi anche Cosa dovresti sapere sulle origini del conflitto tra Israele e Palestina di Clarice Agostini; Il diritto internazionale applicato al conflitto tra Israele e Hamas di Clarice Agostini; Quel che resta della Striscia di Gaza, tra Israele e Hamas di Mirna Toccaceli.

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