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Cosa dovresti sapere sulle origini del conflitto tra Israele e Palestina

Israele Palestina copertina

Il 7 ottobre 2023 il gruppo palestinese islamico Hamas ha lanciato un attacco militare a sorpresa contro Israele. Si tratta di un evento senza precedenti, almeno nella storia recente del conflitto tra Israele e Palestina; un conflitto le cui origini risalgono a più di cento anni fa…


Alle prime luci dell’alba del 7 ottobre 2023, i razzi di Hamas hanno raggiunto il centro-sud di Israele, concentrandosi sulla striscia di Gaza, e arrivando anche a Gerusalemme e Tel Aviv. Non si tratta solo di un attacco aereo: i militanti palestinesi si sono infiltrati in territorio israeliano anche via terra, aprendo dei varchi nelle barriere che delimitano il confine.

Il primo ministro israeliano Bibi Netanyahu ha dichiarato lo stato di guerra e ha convocato i riservisti, ricevendo l’appoggio di gran parte della comunità internazionale, compresi Unione Europea e Stati Uniti.

Per comprendere le cause profonde e la portata di questo rinnovo del conflitto è necessario tornare indietro nel tempo a più di un secolo fa, e inserire gli episodi di questi giorni in un contesto più ampio.

Le origini del conflitto

Questa storia ha origini lontane, che risalgono alla fine del XIX secolo, quando la Palestina era ancora sotto il dominio dell’Impero Ottomano.

Nel 1896 l’ebreo-ungherese Theodor Herzl pubblicò Lo Stato ebraico, un saggio che sosteneva il diritto degli ebrei di fondare uno Stato ebraico, possibilmente in Palestina.

Questa nuova patria avrebbe dovuto costituire un rifugio per gli ebrei che si sentivano emarginati o in pericolo nei loro Paesi di origine, offrendo loro un luogo dove poter vivere in pace e sicurezza.

Herzl pose così le basi del Sionismo, un movimento che rivendica il diritto di autodeterminazione del popolo ebraico.

Israele-Palestina-Lo-Stato-ebraico
Copertina originale di Der Juderstaat, di Theodor Herzl (Leipzig 1896).

Si trattava di una soluzione moderna alla questione ebraica, grazie alla creazione di uno Stato ebraico attraverso una pianificata migrazione di massa verso la regione palestinese. In realtà anche l’Argentina venne presa in considerazione come possibile area di insediamento per i coloni ebraici, ma alla fine la scelta ricadde sulla Palestina, soprattutto per la connessione culturale e religiosa con Gerusalemme.

La migrazione degli ebrei verso la Palestina, iniziata già a fine ‘800, aumentò alla fine della Prima Guerra Mondiale, quando gli inglesi sottrassero questo territorio all’Impero Ottomano. Con la Dichiarazione di Balfour del 1917, la corona britannica espresse infatti il proprio supporto per la creazione di un “dimora nazionale per il popolo ebraico” in Palestina. La Dichiarazione entrò poi a far parte del trattato di Sèvres, che stabiliva la pace con la Turchia e assegnava la Palestina al Regno Unito.

Dichiarazione di Balfour tra Israele e Palestina.
Testo della dichiarazione di Balfour e traduzione in italiano (Wikimedia Commons).

Successivamente, quest’ultimo ottenne un mandato della Società delle Nazioni su questo territorio. Tuttavia la popolazione locale, a maggioranza araba, non accolse con favore il mandato britannico, proprio a causa della tendenza inglese a favorire la migrazione degli ebrei nell’area.

Nonostante le proteste portate avanti dagli arabi contro inglesi e ebrei, questi ultimi continuarono a migrare in modo consistente: se nel 1922 la popolazione ebraica costituiva l’11% di quella totale, nel 1947 arrivò a superare il 30%.

La nascita di Israele

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, la Gran Bretagna rimise il proprio mandato sulla Palestina. Con la Risoluzione 181 del 1947, le Nazioni Unite decisero di spartire il territorio in due Stati, uno ebraico e uno arabo, con Gerusalemme sotto giurisdizione internazionale. La comunità araba palestinese respinse la decisione.

Nonostante ciò, il 15 maggio 1948 venne ufficialmente istituito lo Stato di Israele. Tuttavia, molti popoli arabi confinanti si opposero all’idea di uno Stato indipendente ebraico, in un territorio ancora a maggioranza araba. Fu così che una coalizione formata da Egitto, Transgiordania, Libano, Siria e Iraq diede inizio alla Prima guerra arabo-israeliana.

Il conflitto, che si concluse nel 1949 con la sconfitta araba, offrì ad Israele l’occasione di estendersi fino a coprire il 78% del territorio palestinese. L’espansione costrinse 700mila palestinesi a lasciare la propria casa e fuggire, in un esodo ricordato con il nome di Nakba, che in arabo significa “catastrofe”.

Il nuovo confine tra Israele e quello che doveva essere il futuro Stato palestinese viene tracciato a matita su una mappa: la cosiddetta Linea Verde (come il colore della matita utilizzata) non era pensata per essere permanente, ma costituiva solo il risultato degli accordi di pace alla fine del conflitto.

Le tensioni, mai del tutto placate, tra arabi e ebrei scoppiarono nuovamente nel 1967, quando Egitto, Giordania e Siria si scontrarono con Israele nella cosiddetta Guerra dei Sei Giorni. In precedenza, nel 1956, Israele aveva attaccato l’Egitto, con il supporto di Francia e Gran Bretagna, in seguito alla nazionalizzazione del canale di Suez decisa dal presidente egiziano Nasser.

La coalizione araba venne sconfitta, e ciò permise allo Stato ebraico di occupare nuovi territori: la striscia di Gaza, il Sinai, le Alture del Golan e la Cisgiordania, oltre che Gerusalemme Est.

Esattamente 50 anni fa

Il successivo picco di questa tensione costante si verificò ad ottobre 1973, con la Guerra dello Yom Kippur, quando una coalizione di Paesi arabi guidata da Siria ed Egitto attaccò a sorpresa Israele per rivendicare i territori da esso occupati nel ’67.

Nonostante Israele abbia respinto l’attacco e il conflitto si sia risolto senza particolari evoluzioni della situazione, si tratta di un evento importante da ricordare: l’attacco del 7 ottobre 2023 è scoppiato solo un giorno dopo rispetto al conflitto dello Yom Kippur di esattamente 50 anni fa.

Nel 1978 la situazione sembra stabilizzarsi grazie agli Accordi di Camp David, sottoscritti dal presidente egiziano al-Sadat e dal primo ministro israeliano Begin. Prevedevano che Israele si ritirasse dal Sinai, in cambio del riconoscimento da parte del Cairo. L’Egitto diviene così il primo paese arabo a formalizzare i rapporti con Israele.

Tuttavia, le proteste interne, soprattutto da parte dei palestinesi di Gaza e della Cisgiordania, continuarono, fino a allo scoppio della Prima Intifada, che durò dal 1987 al 1993 e portò alla morte di 1900 palestinesi e 200 israeliani. È in questo contesto che nacque Hamas, un’organizzazione politica e paramilitare palestinese di stampo islamista, definita terrorista da gran parte della comunità internazionale.

La Prima Intifada terminò con la sottoscrizione degli Accordi di Oslo, che prevedevano la suddivisione dei territori palestinesi, alcuni dei quali sarebbero stati sotto il parziale controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese. Tuttavia, la prima ascesa al governo di Netanyahu (1996) ed altri fattori ostacolarono i negoziati, portando nel 2000 allo scoppio di una Seconda Intifada. Le violenze si protrassero per cinque anni e causarono 5000 vittime palestinesi e 1000 israeliane.

13 settembre 1993: da sinistra, il primo ministro di Israele Yitzhak Rabin, il presidente degli USA Bill Clinton e il presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) Yasser Arafat (foto: Wikimedia Commons).

Gli avvenimenti recenti

È in questo periodo che Israele iniziò la costruzione di un muro di separazione tra i propri territori e quelli palestinesi della Cisgiordania. Tuttavia, il muro si spinge oltre la Linea Verde stabilita nel 1949, e ormai parzialmente accettata come confine.

Da allora, Israele continua ad espandersi ben oltre questa linea di demarcazione attraverso la costruzione di colonie, ovvero insediamenti illegali in territorio palestinese. Ad oggi le colonie israeliane in Cisgiordania sono più di 100, per un totale di 450 mila coloni, a cui si sommano i 220 mila residenti a Gerusalemme Est.

Dopo la fine della Seconda Intifada, Israele si era ritirato da Gaza, di cui Hamas aveva presto presto il controllo. L’esercito israeliano decise allora di bloccare tutti gli accessi alla Striscia, rinchiudendo più di 2 milioni di civili palestinesi al suo interno. Per gli ultimi 15 anni, alla popolazione di Gaza è stato negato l’accesso a beni e servizi primari, comprese istruzione e cure mediche, nonché viveri e elettricità razionate.

Per quanto riguarda gli sviluppo più recenti, dal 2008 ad ora si sono verificate regolari escalation delle violenze, con raid missilistici attuati da entrambe le parti e attacchi della polizia israeliana nei confronti di civili palestinesi. Le vittime di questo periodo sono stimate a più di 3800 da parte palestinese e circa cento da parte israeliana.

L’OCHA considera il 2022 come l’anno più letale per la Palestina dopo la fine della Seconda Intifada, e a fine anno in Israele si è insediato il nuovo governo Netanyahu, il più a destra della sua storia. È questo il contesto in cui si colloca l’ultimo attacco di Hamas, un evento la cui portata può essere paragonata a quella del 1948 e che non ha eguali nella storia recente del conflitto.

Prevedere come evolverà la situazione attuale è pressoché impossibile, ma probabilmente la questione israelo-palestinese non si risolverà presto, così come non si è risolta nell’ultimo secolo di violenze.

Clarice Agostini

(In copertina, per il conflitto tra Israele e Palestina, immagine di EPA/Mohammed Saber, da MicroMega)


Per approfondire il tema Israele e Palestina, leggi anche L’arte, sotto le bombe – Intervista a Malak Mattar (con le sue opere), di Stella Mantani.

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