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Elezioni europee 2024 – L’UE svolta a destra?

Elezioni Europee 2024

Le elezioni europee di giugno 2024 rischiano di segnare una svolta epocale nella governance dell’Unione: per la prima volta, la Commissione Europea potrebbe avere una maggioranza di destra comprendente il PPE e famiglie politiche euroscettiche come ID ed ECR. Un simile scenario sarebbe un duro colpo al processo di integrazione europea.


Il 2024 si preannuncia un anno cruciale per gli equilibri geopolitici nel mondo occidentale. Le elezioni presidenziali statunitensi, in programma per novembre, catalizzeranno al solito l’attenzione del mondo intero; tanto più nel contesto attuale, con la guerra in Ucraina e la crescente rivalità USA-Cina che sembrano aver riportato le lancette della storia indietro di trent’anni, ad una contrapposizione tra blocchi dagli esiti imprevedibili. 

Meritano però una simile attenzione anche le elezioni europee in programma per il 6-9 giugno 2024. Il prossimo rinnovo del Parlamento Europeo, difatti, rischia di segnare una svolta epocale negli equilibri dell’UE: la pluridecennale maggioranza composta da Partito Popolare Europeo (PPE), Socialisti & Democratici (S&D) e Renew Europe rischia di essere spazzata via da una nuova coalizione, molto più sbilanciata a destra, composta da PPE, Identità e Democrazia (ID) e Conservatori e Riformisti Europei (ECR).

Uno scenario preoccupante per vari motivi, uno su tutti l’influenza che acquisirebbero forze politiche apertamente euroscettiche, portando a una battuta d’arresto nel processo d’integrazione europea. Ma a risentirne sarebbero anche altre vicende fuori dai confini dei 27 paesi membri, in primis quella della guerra in Ucraina.

Un patto storico

Fin dalla nascita della Comunità Europea, nel 1957, la Commissione Europea ha avuto l’appoggio parlamentare (anche prima che quest’ultimo diventasse elettivo, nel 1979) di tre grandi famiglie politiche: quella popolare-democristiana, incarnata dal Partito Popolare Europeo; quella socialista o socialdemocratica, rappresentata dal Partito Socialista Europeo (PSE, oggi parte dell’alleanza S&D), e quella liberaldemocratica, che ha assunto vari nomi nel corso degli anni prima di diventare Renew Europe nel 2019.

Tale coalizione, oggi definita “maggioranza Ursula” dal nome dell’attuale presidente della Commissione, Ursula von Der Leyen (PPE), ha retto – insieme ai governi dei singoli Stati membri via via succedutisi – i destini della CEE, passando per la trasformazione in Unione Europea nel 1992, la nascita dell’Euro e il trattato di Lisbona.

Una commissione ambiziosa

La commissione von Der Leyen, figlia di un faticoso compromesso raggiunto nell’estate 2019, si è contraddistinta per un programma ambizioso, anzitutto sulla crisi climatica. Con il Green Deal europeo, la Commissione (e in particolare l’ex commissario al clima, il socialista Frans Timmermans) si è prefissa l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica (ossia zero emissioni nette di gas serra) entro il 2050.

A tal fine il piano promuove l’uso delle fonti rinnovabili, favorendo però anche altre fonti meno o per nulla inquinanti come il nucleare e, a certe condizioni, il gas naturale; interviene poi su numerosi altri ambiti, come l’efficientamento energetico delle case, la mobilità, la biodiversità e l’industria sostenibile.

L’azione di Von Der Leyen non si è però fermata qui: nel 2020, dinnanzi ai danni causati dalla pandemia, ha lanciato il piano Next Generation EU, un programma di finanziamento in prestito o a fondo perduto rivolto agli Stati europei per rilanciare le loro economie, in cambio di riforme strutturali concordate nello specifico con la Commissione.

Infine, sotto la sua guida l’UE si è distinta per il fermo e convinto sostegno dato all’Ucraina contro l’invasione russa, sia attraverso sanzioni economiche che mediante forniture di materie prime, denaro e armamenti.

Foto: Foto di Mauro Sbicego/Unsplash.

Fuoco amico

L’azione di governo della Commissione ha generato vasta opposizione da parte di più ambienti politici. Paradossalmente molto critico è risultato a tratti il PPE, da cui proviene la stessa Von Der Leyen: il partito, storicamente vicino al settore produttivo e industriale, ha visto molto di cattivo occhio diverse misure del Green Deal, spesso votandovi contro nell’aula di Strasburgo.

A voler pensar male, tra le motivazioni di questa sorta di “fuoco amico” del PPE potrebbe celarsene anche una più personale. Il presidente del partito, Manfred Weber, era lo Spitzenkandidat (cioè il candidato de facto alla presidenza della Commissione) del partito alle scorse elezioni europee, ma a seguito delle elezioni dovette incassare la bocciatura di Emmanuel Macron, che gli precluse il seggio di Presidente sebbene il PPE fosse stato il partito più votato. Sarebbe quindi plausibile pensare ad una qualche “invidia” di Weber verso Von Der Leyen.

Un rovesciamento in UE?

Proprio Weber sembra aver messo in atto una strategia per avvicinare il PPE ai partiti più estremisti: Identità e Democrazia (ID), del quale fa parte la Lega, e i Conservatori e Riformisti Europei (ECR), presieduti da Giorgia Meloni. Il piano di Weber sarebbe quello di creare un’alleanza tra i suddetti tre partiti, estromettendo S&D e Renew dalla sala dei bottoni a partire dal prossimo anno.

Questo progetto, oltre che all’ostilità verso Von Der Leyen, sarebbe dovuto anche alla volontà di Weber di mantenere il PPE centrale nelle dinamiche europee, essendo il partito indirizzato, secondo i sondaggi, a perdere seggi a favore di fazioni meno centriste e più ideologicamente schierate.

È evidente come tale disegno sarebbe potenzialmente una catastrofe per il processo di integrazione europeo: fino a poco tempo fa sembrava impensabile che l’UE venisse governata da quelli che, più o meno velatamente, ne mettono in discussione la stessa esistenza o quanto meno il ruolo di primaria importanza acquisito negli ultimi trent’anni.

Senza contare che, soprattutto in ID, si annidano vari gruppi di estrema destra, xenofobi o filo-Putin: dalla stessa Lega al Rassemblement National di Marine Le Pen, fino alla tedesca AfD.

Non solo questione di numeri

Al momento, i sondaggi danno la somma delle tre forze politiche (PPE-ID-ECR) poco sotto la maggioranza assoluta nell’Eurocamera. Ammesso che la probabile coalizione abbia i numeri, restano però numerose variabili in gioco. In primis possiamo annoverare l’esplicita ostilità di vari partiti liberali verso un’alleanza con quelli di estrema destra: in tal senso è da registrarsi l’ostilità di Forza Italia e della tedesca CDU (dalla quale peraltro provengono Weber e Von Der Leyen).

Lo stesso presidente del PPE ha dovuto lo scorso luglio prendere le distanze da AfD, definendola un “nemico” e apparentemente accantonando, almeno per ora, l’idea di includere l’estrema destra tedesca nella nuova compagine.

Bisogna inoltre tener conto della complicata architettura istituzionale europea: il presidente della Commissione è sì approvato dal Parlamento a maggioranza semplice, ma deve essere candidato dal Consiglio Europeo (ossia dai capi di stato e di governo dei Paesi membri), che sceglie il proprio nome a maggioranza qualificata (55% degli Stati membri, 65% della popolazione dell’Unione) ed è tenuto soltanto a “tenere in considerazione” i risultati delle elezioni europee 2024.

Insomma, diventa cruciale il peso dei paesi più popolosi e delle varie famiglie politiche: socialisti e liberaldemocratici insieme contano 11 membri del Consiglio su 27, tra i quali Francia, Germania e, al momento, Spagna. L’ECR, invece, è rappresentata dalle sole Italia, Repubblica Ceca e, di fatto, Ungheria; merita un discorso a parte la Polonia, attualmente governata dal conservatore Mateusz Morawiecki, ma che alle elezioni politiche del prossimo 15 ottobre potrebbe passare al popolare Donald Tusk. Molti elementi quindi devono allinearsi per consentire una vittoria schiacciante alla nuova coalizione.

Mateusz Morawiecki.
Mateusz Morawiecki (fonte: governo Polonia).

Un sogno in pericolo?

Un’alleanza fortemente di destra alla guida dell’UE rischia di rappresentare un colpo fatale per il sogno europeo, o quantomeno una battuta d’arresto di cinque anni. Un’Unione Europea guidata da una commissione conservatrice sarebbe poi molto più vulnerabile sul piano internazionale, specialmente dinnanzi a dittature come la Russia che parte della maggioranza riterrebbe “amiche”.

Per questo motivo le prossime elezioni europee sono così importanti per il futuro dell’Unione e dell’Europa stessa; ciò di cui abbiamo bisogno, in questo frangente storico, è di un’UE forte e coesa, che aspiri a diventare superpotenza mondiale e a rapportarsi alla pari con USA, Russia e Cina, ed è da illusi pensare che i singoli stati europei possano aspirare singolarmente a tanto.

A mio avviso gli Stati Uniti d’Europa sono un’esigenza imprescindibile, ed è quindi fondamentale sensibilizzare gli elettori europei sull’importanza del prossimo appuntamento elettorale e sulla grande responsabilità e opportunità che giace nelle loro mani.

Riccardo Minichella

(in copertina, per le Elezioni Europee 2024, immagine da Quotidiano.net)

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