Il 22 settembre 2023 muore Giorgio Napolitano. In questo articolo cerchiamo di ripercorrere le tappe principali della sua carriera politica, prima come funzionario del Partito Comunista Italiano, poi come Presidente della Repubblica. Uomo rigoroso, umile, pragmatico, sempre alla ricerca di un’alternativa democratica.
Ritratto del politico da giovane
“Io mi iscrissi al Partito Comunista Italiano nel dicembre del 1945. In realtà, avevo conosciuto i primi giovani vicini al partito comunista o alle idee comuniste mentre frequentavo la terza liceale a Padova, per circostanze particolari legate alla guerra”. Queste le parole di Napolitano, l’allora Presidente della Repubblica, intervistato da Scalfari nel 2013.
Il giovane Giorgio Napolitano prende la maturità classica al Liceo Tito Livio di Padova a fine giugno del 1942. La sua famiglia, a causa della guerra, si era allontanata da Napoli, trasferendosi a Padova. A Napoli in autunno, Napolitano si avvicina ad un gruppo di giovani intellettuali molto “stimolati e stimolanti” culturalmente. “Ci incontravamo a casa dell’uno o dell’altro e facevamo discussioni a ruota libera”. In tali occasioni questo gruppo di giovani inizia a leggere il Manifesto dei comunisti. Così Giorgio Napolitano si avvicina alle idee comuniste.
Nel ‘44, anno molto difficile per Napoli e dintorni, trova lavoro come impiegato presso la Croce Rossa americana stabilitasi a Capri. Ha l’occasione di incontrare il controverso giornalista e scrittore Curzio Malaparte, che Napolitano segue per le sue corrispondenze di guerra dalla Russia, schierandosi dalla parte dei russi. Dall’autunno del ‘44, tornato a Napoli, Napolitano – esterno al partito e con ancora alcuni dubbi ideologici – comincia a collaborare con il quotidiano socialcomunista La Voce, prendendo parte a iniziative culturali.
Alla fine del 1945 partecipa come addetto al servizio d’ordine al congresso provinciale del Partito Comunista, dove è chiamato a presiedere per conto della direzione nazionale Giorgio Amendola, colui che sarebbe poi diventato per lui un “padre” politico. Anche per la vicinanza umana e di idee tra i due, all’interno del partito Amendola e Napolitano vengono soprannominati rispettivamente Giorgione e Giorgino.
Un “impulso morale”
A questo punto, nel ‘45, Napolitano si iscrive al Partito Comunista Italiano e, al termine del congresso provinciale, viene eletto nella delegazione che doveva rappresentare Napoli al congresso nazionale del PCI.
Come spiega nell’intervista a Scalfari, Napolitano entra nel partito sulla base di un “impulso morale”, e “assolutamente non sulla base di una maturazione ideologica”. Napoli era tragicamente stravolta dalla povertà, dalla guerra, dal degrado. Il Partito Comunista Italiano era stato il partito che più si era schierato contro il fascismo, e che più lo aveva combattuto. Era stato il partito che “più si mescolava col popolo, con quelle condizioni, a Napoli”. “Questi furono i due elementi che in sostanza mi portarono a entrare nel partito comunista”, sostiene il presidente nell’intervista.
Sempre nella stessa circostanza, l’allora capo di Stato ammette, inoltre, di non aver avuto inizialmente piena contezza di certe contraddizioni che emergono successivamente intorno al partito. Probabilmente si riferisce al non aver preso immediatamente le distanze da alcune scelte imposte dal governo sovietico. È solo dopo la polemica tra Palmiro Togliatti e Norberto Bobbio su Politica e cultura di Bobbio che “allora cominciai a capire certi elementi del pensiero politico e istituzionale liberale, liberaldemocratico che non collimavano – diciamo – con la visione del partito comunista”.
Nel ‘47 si laurea in giurisprudenza con una tesi di economia politica dal titolo: Il mancato sviluppo industriale del Mezzogiorno dopo l’Unità e la legge speciale per Napoli del 1904; dal ‘46 al ‘48 fa parte della segreteria del Centro economico italiano per il Mezzogiorno.
“Ore e ore a farci le ossa”
Nel 1953 viene eletto deputato entrando nella commissione Finanze e Tesoro della Camera. E’ riconfermato alla Camera fino alle elezioni del 1996, tranne in quelle del ‘63 perché segretario della federazione di Napoli (dal ‘62 al ‘66). “E allora, tanto per ricordarlo ai giovani, allora la Camera dei deputati lavorava dal lunedì al venerdì. Non lavorava un giorno e mezzo, due giorni e mezzo alla settimana […] passavamo ore e ore a farci le ossa nelle commissioni”, fa presente Napolitano durante l’importante intervista rilasciata a Scalfari.
Dal 1956 è responsabile del Comitato centrale del PCI, dal ‘60 al ‘62 responsabile della sezione del lavoro di massa. Nel 1956 avvengono i fatti d’Ungheria e la repressione dei moti da parte del governo dell’URSS. Il PCI, diviso, condanna infine i moti ungheresi come controrivoluzionari, giustificando la repressione sovietica ai danni dell’’Ungheria. Napolitano, da funzionario di partito, sostiene la linea presa dai vertici, criticando chi come Antonio Giolitti – con cui aveva iniziato la sua esperienza parlamentare – biasima le posizioni filosovietiche del partito davanti all’accaduto.
“Il compagno Giolitti ha il diritto di esprimere le proprie opinioni, ma io ho quello di aspramente combattere le sue posizioni. L’’intervento sovietico ha non solo contribuito a impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione ma alla pace nel mondo”.
“[Giolitti, n.d.r.] ci ha detto che […] l’intervento sovietico si giustifica solo dal punto di vista delle esigenze militari e strategiche dell’Unione Sovietica; senza vedere come […] l’intervento sovietico in Ungheria, evitando che nel cuore d’’Europa si creasse un focolaio di provocazioni e permettendo all’Urss di intervenire con decisione e con forza per fermare la aggressione imperialista nel Medio Oriente abbia contribuito, oltre che ad impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, abbia contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell’’Urss ma a salvare la pace nel mondo”.– VIII Congresso del PCI, Roma dall’8 al 14 dicembre 1956.
Nel corso degli anni Napolitano si ricrede. “La mia riflessione autocritica sulle posizioni prese dal Pci, e da me condivise, nel 1956, e il suo pubblico riconoscimento da parte mia ad Antonio Giolitti “di aver avuto ragione” valgono anche come pieno e doloroso riconoscimento della validità dei giudizi e delle scelte di Pietro Nenni e di gran parte del Psi, in quel cruciale momento”.
Un uomo di cultura: il “migliorismo” di Napolitano
Nel dicembre del 1962, dopo il X congresso, entra nella direzione nazionale del partito. Dal 1966 al 1969 è coordinatore dell’ufficio di segreteria e dell’ufficio politico. Dal 1969 al 1975 è il responsabile della politica culturale. Perché Napolitano, oltre ad essere politico e funzionario di partito, è un uomo di cultura. Si misura non solo con le problematiche del Mezzogiorno, economiche e sociali, non solo con le tribolazioni che hanno coinvolto il socialismo e il comunismo italiani ed europei. Emerge da alcuni dibattiti pubblici tutto il suo interesse per autori come Thomas Mann.
Le riflessioni di Napolitano – ampiamente riportate nella sua produzione scritta – sono spesso proiettate verso il futuro, all’insegna di un’alternativa. In questa ricerca troviamo una caratteristica importante dell’uomo politico come del capo di Stato: il “migliorismo” di Napolitano, un pragmatismo orientato verso il tentativo di progresso.
Allontanatosi sempre più dall’Unione Sovietica, cerca di portare avanti l’europeismo, a cui dedica parte dei suoi scritti. L’Europa vista come estremo tentativo di pace. “L’Europa ha dimostrato di potere essere un interlocutore politico valido per molti paesi, e di avere un peso anche nei processi di pacificazione dell’America centrale e dell’Afghanistan. Positiva è stata anche l’azione per gettare le basi di una soluzione del conflitto arabo-israeliano, della questione palestinese” – parole di Napolitano riportate su l’Unità del 9 aprile del 1988.
Napolitano è presente al tavolo delle due delegazioni, quella del Partito Comunista Italiano, di cui fa parte, e quella della Democrazia Cristiana di Aldo Moro, per quello che viene definito il “compromesso storico”. Lo troviamo di fianco a Berlinguer in una storica fotografia del 28 giugno 1977.
Berlinguer e Napolitano sono molto vicini in quegli anni. In seguito, però, “cominciò a delinearsi una certa differenze di vedute”. Napolitano è il presidente del gruppo dei deputati del PCI alla Camera dal 1981 al 1986. Tra lui e Berlinguer si creano varie divergenze.
Il lungo cammino di un presidente
Successivamente alla dissoluzione del PCI, avvenuta nel 1991, nel 1992 Giorgio Napolitano – ora all’interno del PDS – viene eletto presidente della Camera. Dal ’96 al ’98 ricopre la carica di Ministro dell’Interno del governo Prodi. E poi l’esperienza in Europa, tra il 1999 e il 2004 come presidente della Commissione affari costituzionali al Parlamento europeo. Nel 2005 l’elezione a senatore a vita. E infine il 10 maggio 2006, con 543 voti su 990, Giorgio Napolitano viene eletto Presidente della Repubblica. Come capo dello stato affronta un periodo di grande crisi. Crisi politica, crisi di governo, crisi economica. Il 12 novembre 2011 accoglie le dimissioni di Berlusconi per poi affidare a Mario Monti l’incarico di formare un nuovo esecutivo.
Il 22 aprile 2013 inizia il suo secondo mandato. Il discorso di “insediamento” è severo, rigoroso. Napolitano chiede soprattutto responsabilità. Ripubblichiamo quelli che consideriamo i punti salienti.
“Come voi tutti sapete, non prevedevo di tornare in quest’aula per pronunciare un nuovo giuramento e messaggio da Presidente della Repubblica. Avevo già nello scorso dicembre pubblicamente dichiarato di condividere l’autorevole convinzione che la non rielezione, al termine del settennato, è l’’alternativa che meglio si conforma al nostro modello costituzionale di Presidente della Repubblica. Avevo egualmente messo l’accento sull’esigenza di dare un segno di normalità e continuità istituzionale con una naturale successione nell’’incarico di Capo dello Stato”.
“C’è da lavorare concretamente, con pazienza e spirito costruttivo, spendendo e acquisendo competenze, innanzitutto nelle Commissioni di Camera e Senato. Permettete che ve lo dica uno che entrò qui da deputato all’’età di 28 anni e portò giorno per giorno la sua pietra allo sviluppo della vita politica democratica. Lavorare in Parlamento sui problemi scottanti del paese non è possibile se non nel confronto con un governo come interlocutore essenziale sia della maggioranza sia dell’opposizione”.
“Mi accingo al mio secondo mandato, senza illusioni e tanto meno pretese di amplificazione “salvifica” delle mie funzioni; eserciterò piuttosto con accresciuto senso del limite, oltre che con immutata imparzialità, quelle che la Costituzione mi attribuisce. E lo farò fino a quando la situazione del paese e delle istituzioni me lo suggerirà e comunque le forze me lo consentiranno. Inizia oggi per me questo non previsto ulteriore impegno pubblico in una fase di vita già molto avanzata; inizia per voi un lungo cammino da percorrere, con passione, con rigore, con umiltà. Non vi mancherà il mio incitamento e il mio augurio. Viva il Parlamento, viva la Repubblica, viva l’Italia!”.
Il 28 aprile 2013 nasce il governo Letta, ritenuto da molti “il governo delle larghe intese”. Si tratta di un tentativo che però tramonta nel giro di pochi mesi. Il capo dello Stato affida così l’incarico a Matteo Renzi, con giuramento in data 22 febbraio 2014.
Il 14 gennaio 2015 Napolitano rassegna le proprie dimissioni. Dimostrando ancora una volta serietà, rigore, umiltà e attenzione per gli aspetti della vita democratica.
Riccardo Gardi
(In copertina Giorgio Napolitano, immagine da Ansa)