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“Mediterraneo”, di Salvatores, tra storia, mito e orientalismo


“Mediterraneo”, di Gabriele Salvatores, propone uno sguardo ingenuo sul rapporto tra Grecia e Italia nel corso della Seconda guerra mondiale. La narrazione non è priva di stereotipi e non problematizza il rapporto reale tra i fascisti occupanti e le popolazioni dei territori occupati.


Un’identità fluida

Mediterraneo è un film del 1991, diretto da Gabriele Salvatores, che offre molteplici interpretazioni, anche contrastanti. Innanzitutto, l’ambientazione guarda al modello di Grecia come meta turistica dai paesaggi meravigliosi e dalle acque cristalline che, offrendo quiete all’animo, permette di riflettere a fondo sull’identità del singolo.

La questione dell’identità è centrale in Mediterraneo, perché il film offre al pubblico una comunità mediterranea in cui la commistione tra greci e italiani è riuscita così tanto da rendere emblematica la scena che vede lo sbarco dei soldati inglesi sull’isola. Questi si contrappongono nettamente alla comunità italo-greca, che mette in dubbio il concetto stesso di identità nazionale.

Tuttavia, il punto problematico di questa riflessione emerge non appena prendiamo in considerazione l’arrivo di un uomo dalla Turchia. Questo, accorgendosi dell’iniziale sospetto dei soldati, pronuncia la frase “una faccia, una razza”, facendo riferimento a quel principio per cui esisterebbe una sola comunità mediterranea.

Tuttavia, la mattina seguente l’uomo fugge dopo aver rubato le armi al drappello di soldati sull’isola. In risposta alle lamentele del sergente Lorusso (Diego Abatantuono) il prete della comunità greca afferma: “Mai fidarsi dei turchi.

Questa espressione sembra quasi paradossale: le comunità del Mediterraneo godono di una cultura simile ma allo stesso tempo devono essere diffidenti nei loro rapporti?

Il motivo dell’ostilità tra i greci e i turchi si può ricondurre forse a una questione storica: la dominazione turco-ottomana della Grecia. Tuttavia, anche i soldati italiani stanziati sull’isola, che sono degli occupanti in piena regola, dovrebbero essere tenuti a distanza, eppure non è così.

Si crea quindi una sorta di paradosso e la tanto decantata commistione mediterranea risulta una semplice costruzione poco realistica; inoltre, si rischia di proporre un’immagine positiva di un’unione che si rafforza grazie anche a una netta distinzione nazionale o etnico-religiosa.

I punti critici

La pellicola si presta a numerose critiche: prima tra tutte la rappresentazione poco realistica delle vere dinamiche tra gli occupanti fascisti e la popolazione greca. Basta accennare al fatto che nelle isole del Dodecaneso la dittatura fascista imponeva regole rigidissime, tra cui il divieto assoluto di parlare la lingua greca.

È chiaro che il film non abbia alcun intento di porsi come una ricostruzione storica degli eventi narrati, ma nella semplicità del suo messaggio rischia di diffondere un’immagine sbagliata dell’occupazione italiana in Grecia.

Un altro tema per cui il film è stato criticato è sicuramente la forte presenza dell’orientalismo.

Questo termine, mutuato dall’omonimo saggio di Edward Said, indica le pratiche di rappresentazione dell’Oriente da parte degli occidentali, che non colgono le differenze culturali presenti nel mondo orientale e lo vedono come il luogo prediletto per lo sfogo delle proprie pulsioni.

Anche la la Grecia è vittima dell’orientalismo, poiché viene considerata adatta alla liberazione delle pulsioni sessuali dello straniero, che si abbandona al fascino delle donne orientali, lascive.

Il personaggio di Vassilissa è l’esempio concreto della grecità vista come passionale, ammaliante e accogliente verso lo straniero. Si potrebbe ipotizzare un parallelismo tra la figura di Vassilissa in Mediterraneo e quella di Ilya in Never on Sunday, entrambe prostitute. Tra le due notiamo una differenza sostanziale: se da un lato Vassilissa redime sé stessa e ottiene la felicità tramite l’amore e il matrimonio con un soldato italiano, dall’altro Ilya vive la sua tentata redenzione a opera di Homer con grande amarezza e nostalgia.

Dunque, se da una parte il contatto con lo straniero è benefico, dall’altra è estremamente dannoso, poiché nel caso di Ilya soffoca il suo spirito greco.

Un richiamo al mito antico

All’interno del film si possono cogliere alcuni piccoli riferimenti alla mitologia greca.

L’isola verso la quale viene inviato il drappello di uomini italiani non è chiamata col suo nome attuale, ossia Castelrosso, ma con quello mitico di Megisti.

Anche lo stesso tema del viaggio per mare, con cui si apre il film, potrebbe essere letto come un richiamo a Ulisse che, con i suoi uomini, approda sull’isola abitata dalla seducente maga Circe. Allo stesso modo, i soldati protagonisti giungono sull’incantevole isola di Megisti, dove subiranno il fascino delle donne greche.

Il personaggio di Carmelo La Rosa (Antonio Catania), che atterra sull’isola con il suo aeroplano, riprende la figura di Ermes, il messaggero degli dei che esorta Ulisse a riprendere il viaggio. Sarà lui a riportare la notizia dell’armistizio dell’8 settembre e a segnalare la loro presenza sull’isola all’esercito britannico che li riporterà in Italia.

Un ultimo riferimento che possiamo cogliere è quello ai Lotofagi, mitico popolo della Cirenaica che offriva il frutto del loto per far perdere la memoria ai viaggiatori. I Lotofagi sono rappresentati dalla figura di Aziz, il pescatore turco che con il suo “fumo dell’oblio” porta i protagonisti in uno stato di distacco dalla realtà.

Fuga

Con Mediterraneo Gabriele Salvatores voleva esprimere un sentimento di shock tipico della sua generazione, nata fra gli anni ‘50 e l’inizio degli anni ‘60, che si trovava a fare i conti con lo stravolgimento del Paese in cui era cresciuta. 

Era il tempo della fine della Guerra Fredda, della caduta del Muro di Berlino e l’Italia, nel giro di un anno, avrebbe scoperto lo scandalo di Tangentopoli, manifestazione concreta della perdita della dei propri ideali.

Quella di Salvatores era una generazione di mezzo: troppo vecchi per cambiare il mondo sul serio, troppo giovani per avere la leadership di un Paese in cui tutto cambiava, ma il potere rimaneva addosso a nomi nuovi da vizi antichi. Perciò, secondo il regista, la fuga era la l’unica arma possibile.

Tuttavia, questo non ci preclude un approccio critico e di riflessione su numerosi aspetti positivi e non di un film considerato ormai un cult.

Camilla Mussi

(In copertina immagine da TPI, nel testo immagini tratte dal film Mediterraneo di Gabriele Salvatores, disponibile su Netflix)

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