Domenica 7 maggio, come ogni anno, si è tenuta la Cerimonia internazionale di liberazione e commemorazione a Mauthausen, campo di concentramento dal 1938 al 1945. Avendo avuto l’occasione di parteciparvi, mi sono chiesta: siamo ancora in grado di sentire e di tramandare il racconto e la storia di quel luogo?
Il ricordo della liberazione di Mauthausen
Lo scopo della Cerimonia di liberazione e commemorazione di Mauthausen è implicito nella storia del luogo: riunire la comunità internazionale nel conservare la memoria dei tragici crimini del nazifascismo.
E la storia di questa cerimonia è un esempio della necessità di rielaborare eventi traumatici da parte non solo dei singoli individui, ma dei popoli e di intere nazioni.
Questi “pellegrinaggi laici” sono nati dall’esigenza, da parte degli ex deportati, di confrontarsi con la realtà che avevano vissuto, e di spiegarla a chi era a loro vicino.
Hanno organizzato viaggi, tornando dove avevano trovato sofferenza, miseria e disumanità, ma lo hanno fatto da uomini liberi, liberi di raccontare se stessi e la propria identità. Liberi di camminare dove volessero, di calpestare il terreno con scarpe della loro misura, con vestiti dignitosi, con un nome, un cognome e una storia alle spalle.
Con il passare degli anni, questi viaggi hanno coinvolto sempre più giovani studenti, cittadini, la comunità intera. Oggi, delegazioni internazionali si incontrano nell’anniversario della liberazione del campo di Mauthausen, 5 maggio 1945. Nonostante il dolore, questa è una giornata di pace, di sole, di canti e di scambi tra le nazioni, di parole forti, commosse, e profondamente vere.
Abbiamo presentato i nostri saluti alle delegazioni francese e spagnola; abbiamo visto la cosiddetta “scala della morte” – gradini ripidi, di pietra, che i deportati dovevano salire portando dei massi sulla schiena, e il primo giunto alla fine veniva spinto giù da un ufficiale delle SS, con un orribile effetto domino.
Si tratta di eventi di cui in qualche modo tutti e tutte sappiamo qualcosa, ma vedere dal vivo Mauthausen, e i campi di concentramento in generale, è di una forza e di un impatto senza pari.
In viaggio con ANED
Quest’anno ho avuto la fortuna di presenziare all’incontro, oltre al viaggio della memoria, assieme ad ANED, Associazione Nazionale Ex Deportati nei campi nazisti, sezione di Bologna. La delegazione era numerosa. Erano presenti, oltre a cittadini e cittadine, studenti delle scuole medie e superiori di Vado, Monzuno, Marzabotto, Imola e San Giovanni in Persiceto.
Hanno partecipato Roberta Franchi, figlia di Luisa Corazza, e nipote di Osvaldo Corazza; Carlo Morselli, nipote dei fratelli Cervellati, assieme alla moglie Sandra; Maria Cutore (ANED), Enrica Tugnoli (ANED), Davide Cerè (CIDRA e ANPI), Valeria Quadri (ANED), Mauro Borsarini (ANED).
Andrea Marchi, Vicepresidente Comitato Onoranze Caduti di Marzabotto; Luca Borsari, sindaco di Pieve di Cento; Andrea Gurioli, Presidente del Consiglio Comunale di Casalecchio di Reno; Roberta dall’Osso, presidente ANED Imola; Fabrizio Tosi, vicepresidente dell’ANED sezione Bologna; infine Giuliana Fornalè, presidente dell’ANED sezione Bologna.
Il resoconto del viaggio
Sabato 6 maggio
Il giorno successivo il nostro arrivo, ci siamo recati anzitutto al Castello di Hartheim (Schloss Hartheim). Visto dall’esterno parrebbe un luogo di pace e tranquillità: non fu così per gli oltre 30.000 detenuti che vi trovarono la morte a causa del monossido di carbonio. Tutti con disabilità o malattie mentali, il che non solo spiega il triste appellativo “campo dei disabili” dato al luogo, ma testimonia anche del patologico disgusto provato dai nazisti per chiunque, dal loro punto di vista, sfuggisse alla cosiddetta “normalità”.
Dopo aver completato una breve cerimonia e depositato una corona da parte dello Stato italiano, come simbolo di rispetto per i deceduti, abbiamo avuto occasione di visitare il campo, leggere i nomi dei deportati e vederne alcuni oggetti. In seguito, mentre in attesa del nostro pullman, abbiamo ascoltato e condiviso pensieri e riflessioni su ciò che avevamo visto con i ragazzi e le ragazze delle scuole medie, spinti dalle loro professoresse e da Giuliana Fornalè e da Andrea Marchi.
Dopo aver pranzato, ci siamo recati a Mauthausen. Grazie alle spiegazioni di Fornalè e di Valeria Quadri, che accompagnavano il nostro gruppo, abbiamo appreso molto sul campo e sulla sua storia. Come i sovietici, armati solo di determinazione e disperazione, avessero tentato di scappare rifugiandosi nei villaggi della valle, e di come la popolazione li abbia denunciati (vicenda tristemente nota come la “caccia alla lepre“). Come ai prigionieri venissero tolti anche i denti d’oro.
E, ancora, come nelle docce i soldati austriaci alternassero acqua calda e fredda per il puro gusto di vedere i detenuti saltare da una parte all’altra della stanza, ammassati, nudi e terrorizzati.
Come, sempre ammassati, dormissero, urinassero in lavatoi comuni. Ci è stato raccontato delle strategie per ottenere il cibo migliore, dei prigionieri che, per essere scontati della durezza dei nazisti, si alleavano con loro contro i loro stessi compagni, diventando anche più feroci degli ufficiali.
Abbiamo visto le camere a gas. Dopo, chiunque avesse un briciolo di allegria in spirito ne ha perso ogni traccia. Lo scopo del viaggio non è intristire, ma far capire e ricordare, e rendere omaggio e memoria. Con questo, però, la tristezza, anche dei più giovani e ilari, sorge spontanea. Un sentimento naturale dal quale cercare di trarre frutti, e soprattutto insegnamenti.
Infine, ci siamo recati a Gusen, lager che includeva tre sottocampi del campo principale di Mauthausen, Gusen I, II e III. Purtroppo, non vi è molto da vedere. La maggior parte del campo è stata rasa al suolo, e sopra il terreno sono stati costruiti edifici residenziali.
Il Memoriale sorge attorno al poco rimasto, e in esso è posto il forno crematorio. Abbiamo assistito ad alcune cerimonie e, come fatto ad Hartheim, vi abbiamo depositato una corona, in onore dei deportati politici italiani.
Domenica 7 maggio
Il giorno dopo si è svolta la cerimonia. Non mi dilungherò a raccontare gli interventi cui abbiamo assistito. Qui potete trovare il programma della giornata. Il tema di quest’anno è stato il coraggio civile.
La prima cosa facile da notare è stata la quantità di persone, e di delegazioni, presenti all’evento. Non solo da moltissimi paesi, ma anche facenti parte di gruppi politici e associazioni: come ANED, per esempio, ma vi era anche la delegazione LGBTQIA+. Alla fine della giornata, tutti i partecipanti si sono radunati per ascoltare ogni inno nazionale, cantato e suonato da Ensemble Widerstand.
Ho apprezzato molto come il giorno dopo, durante il viaggio di rientro, gli organizzatori e rappresentanti delle associazioni presenti nella nostra delegazione abbiano sempre cercato di stimolare e incoraggiare osservazioni da parte degli studenti. Sono emerse considerazioni interessanti, e alle volte inaspettatamente profonde.
Il sentimento comune, e condiviso, era di serio rispetto. Trovo particolarmente significativo il riappropriarsi del luogo costruito appositamente per tali azioni, e che i sopravvissuti avrebbero potuto comprensibilmente voler dimenticare. La riappropriazione di spazi, sia fisici sia astratti, un tempo di sopraffazione, è un processo fondamentale non solo per le nazioni direttamente coinvolte.
L’evento non è stato privo di interventi che menzionassero la situazione politica attuale. Mi chiedo: i governi di quanti dei Paesi presenti tengono in mente le belle parole scritte dai loro delegati, nell’applicazione quotidiana delle politiche e nel prendere decisioni ogni giorno?
Emilia Todaro
(In copertina e nell’articolo: immagini scattate dall’autrice a Mauthausen)
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