I Racconti

Da che parte stai – Premio Michele Garavelli 2022 (1° classificata)

Michele Garavelli 2022 5

Pubblichiamo in questa sede, su gentile concessione dell’autrice, il racconto “Da che parte stai” di Giorgia Pugliese, prima classificata al premio di narrativa “Michele Garavelli 2022” della scuola media Giuseppe Dozza di Bologna .


Che bello iniziare ad uscire in libertà! Erano già due anni che la pandemia aveva cambiato radicalmente le abitudini di tutti loro. E ora era arrivato finalmente il tempo di dare sfogo a ciò che gli era stato precluso i mesi precedenti.

Gli amici lo stavano aspettando al “Labirinto”. Era il loro luogo segreto. Una vecchia zona industriale abbandonata dove potevano ritrovarsi in tranquillità senza che gli adulti interferissero con i loro piani.

Quel giorno Ginco, però, fece una proposta veramente eccessiva.

– Perché non freghiamo il motorino del barista? – propose Ginco. – Quello mica se ne accorge e noi ci facciamo un bel gruzzoletto.

Kim lo guardò prima esterrefatto per la proposta, poi imbarazzato per la sua riluttanza a buttarsi in quell’idea balorda. Le ragazze notarono subito la sua ritrosia. – Dai Kim, mica vorrai tirarti indietro? Ci divertiamo, non facciamo male a nessuno – lo apostrofarono Luisa e Martina.

Rimase in silenzio e in pochi attimi gli passarono davanti tutti gli insegnamenti e le prediche dei suoi genitori e dei suoi professori. Poteva fare finta di niente?


Si guardò intorno: gli sguardi dei suoi amici erano tutti puntati su di lui. Si ricordò di quei mesi d’inferno in quarantena, di quei volti che aveva visto in mille videochiamate. Quanto desiderava rivederli! E adesso si ritrovavano a discutere di una cosa che, se fosse andata storta, avrebbe rovinato il destino di tutti loro.

– Non capisco: che ci vuoi fare con quella moto? – chiese Kim.

– Beh, la voglio mollare a un tipo, un rivenditore giù a Salerno. Un po’ più a sud, a dire la verità.

– Ma scherzi?! E come pensi di arrivarci?

– Prendiamo anche la mia moto e con calma ci avviamo. Luisa ha il patentino, giusto?

– Sì, ce l’ho.

– Ok, ma come farete a prendere le chiavi della moto del barista? – domandò di nuovo Kim, perplesso.

– Argh! Basta con queste domande, Kim. Avviamoci, e poi te lo spiego.

Uscirono dal Labirinto. Tutto era vecchio, polveroso e logoro. Ogni volta che appoggiavano un piede a terra, la sabbia si levava in un grosso nuvolone. Era estate, e il canticchiare dei grilli e degli uccelli era fastidioso. Nell’aria c’era odore di terra e polvere, qualcosa di secco che infastidiva; un venticello umidiccio contrastava appena la temperatura. C’era quel tipo di caldo afosissimo che ti fa venire voglia di chiuderti dentro il frigo e non uscire mai più.

Il bar dove lavorava quel barista distava circa 50 metri dal Labirinto. C’era una grande vetrata davanti, e, sul retro, una piccola porta con una finestrella che dava sul bancone dove si ordina da bere e da mangiare. I ragazzi si avvicinarono di soppiatto verso la porta di dietro.

– Lì è parcheggiata l’esca, la vedete? – Disse Ginco indicando un vecchio rottame a pochi metri di distanza da loro

– Appena è finita la quarantena mi sono fiondato subito a controllare l’orario di lavoro del tipo. Adesso sta lavorando nell’ altra sala, quindi abbiamo via libera. – Ginco osservò attraverso la piccola finestra che gli era concessa.

– Sarà un gioco da ragazzi! Che imbecille, quello lì! Entro in tutta fretta, voi passeggiate qua facendo finta di niente, e in pochi secondi sarà tutto fatto! Ci state?

Kim era il più diffidente. Conosceva bene il suo migliore amico Ginco, e non era bravo a passare inosservato. Del resto, voleva essere sempre al centro dell’attenzione.

– Io ci sto! – disse Martina.

– Io pure – Confermò Luisa.

– E tu, Kim? – Domandò Ginco.

– Beh, ecco, io…

Non poteva farlo. Ci aveva messo anni per convertirsi in un bravo ragazzo e rimediare a tutti i danni che aveva fatto. Stava per mollare tutto così?

– Quindi? Che fai? Vuoi mostrare a tutti che sei un uomo… o un fifone? – lo squadrò, con sguardo competitivo, Luisa.

Kim aveva sempre fatto di tutto per lei. Mai avrebbe desiderato che si facesse del male. Vederla contenta, per lui, era come vincere il primo premio in una gara.

– Kim!

– Si, si, ci sto.

Ginco annuì ed entrò di soppiatto dentro il locale. La porta cigolante si richiuse dietro di lui. Ormai era troppo tardi per tornare indietro. Martina lo osservò dall’esterno, supervisionando ogni sua mossa. Il vecchio e polveroso bancone distava poco dalla porta da cui era appena entrato Ginco.

Andava tutto liscio: si vedevano chiaramente quelle chiavi, belle in vista e in un punto favorevole per essere rubate. Ma proprio quando Ginco sollevò la mano per prenderle, si avvicinò un cliente per ordinare qualcosa. Ginco tornò giù, tutto sudato, stanco e col fiatone, come se avesse appena vinto una maratona. Il cliente si mise a chiamare un cameriere, ma non arrivava nessuno.

Ginco lo sapeva, dietro di lui sarebbe comparso qualcuno, ne era certo. Di fianco alla porta sul retro, da dove era entrato, c’era la porta della cucina.

Lentamente la maniglia iniziò ad abbassarsi, cigolando come ogni cosa di quel vecchio locale. Intanto, mentre Ginco ansimava e respirava affannosamente dalla preoccupazione, la maniglia continuava ad abbassarsi. Quello era l’unico momento in cui poteva agire.

Si alzò di scatto, tirandosi su da sotto il bancone, e urlò a quel cliente:

– Ehi, cos’è quello?

Avvenne tutto in pochi secondi. Il cliente si girò perplesso, domandandosi cosa ci fosse di tanto sorprendente da vedere; Ginco, scattante, allungò il braccio e, osservando alternativamente prima la porta, poi il cliente, cercò a tastoni le chiavi.

Appena le sue mani le afferrarono, si tirò indietro, la porta della cucina si aprì e Ginco scappò. Appoggiò la mano sulla maniglia della porta, l’abbassò, e in pochi secondi era già fuori. Salvo. O almeno, per il momento.

– Sei stato un fenomeno, caro! – Disse, orgogliosa del ragazzo, Martina.

– Oh, un gioco da ragazzi per me. Ora passiamo alla fase due del piano. Rubare la moto non sarà difficile, tanto qua non gira mai nessuno. Adesso ci dobbiamo dividere le parti. Prima di iniziare, siete ancora tutti sicuri di voler venire?

Le ragazze annuirono; di nuovo, restava solo Kim. L’avrebbe fatto davvero? Se fossero stati scoperti, come avrebbe fatto a spiegare tutto ai suoi genitori? Stava per compiere un reato. Conosceva bene le conseguenze.

Si sentiva osservato. Di nuovo sei occhi su di lui, ma due in particolare emanavano più luce. Gli occhi verdi e lucenti di Luisa lo convincevano sempre, qualsiasi cosa gli avesse chiesto. Era disposto a fare di tutto per non perdere la sua amicizia, sperando che si trasformasse in qualcos’altro… In fondo, se nessuno li avesse scoperti, che cosa sarebbe mai stato rubare un vecchio rottame da quattro soldi?

– Sì, sì… ma non me la sento di venire con voi… – disse Kim.

– Tranquillo, ho pensato a tutto. Dovrai startene qui e coprirci, inventando scuse per non far scoprire tutto ai nostri genitori. Ci sentiremo per telefono, ma non vuol dire che non ci divideremo la somma. – disse Ginco.

Kim gli diede il consenso, poi gli altri tre si divisero le parti: Ginco avrebbe guidato la sua moto con dietro Martina, Luisa avrebbe preso la guida di quella appena rubata.

– Ci vediamo alle 20:00 nel garage di casa mia. Intanto dite ai vostri genitori che siete a dormire da me per questa notte; io ho detto ai miei che sono a casa di Kim. Prendete del cibo e le vostre cose per dormire. Ci vediamo dopo. – quindi si salutarono.

La sera arrivò in fretta. La casa di Ginco non era molto lontana da quella di Kim.

– Il rivenditore vuole che arriviamo col motorino tra quattro giorni. Possiamo farcela. Kim, il tuo è un ruolo importante: se non fai un buon lavoro te, ci sgamano. Ci contiamo tutti.

Era arrivato il momento di salutarsi. Kim e Ginco si strinsero la mano e si abbracciarono, con le ragazze si limitò semplicemente a un “ciao” con la mano. Ginco indossò il casco, seguito da Luisa.

– Abbi cura di te, fratello. Non farti scoprire – gli disse Kim.

– Lo farò – rispose lui, sorridendogli.

In pochi secondi i ragazzi avviarono i motori e di loro non restò altro che una polvere densa, grigia ed enorme. Quando sparì, Kim osservò i tre andarsene via, abbandonati al loro destino. Solo allora si rese conto dell’errore che aveva fatto. Doveva coprire un reato, un reato! E ora, che avrebbe fatto?

Sarebbe stato a inventare scuse inutili da raccontare agli adulti? Erano in un bel casino. L’unica cosa che lo faceva stare tranquillo erano le rassicurazioni di Ginco. Se fosse andato tutto bene, avrebbe guadagnato abbastanza soldi per comprarsi un nuovo computer. Aspettò che si allontanassero abbastanza.

Si facevano sempre più piccoli, sempre di più, sempre di più, fino a diventare grandi quanto delle formiche; infine sparirono, e Kim tornò a casa.

Era passata solo mezz’ora da quando avevano salutato Kim, non erano molto lontani, stavano quasi ad Aversa. Decisero di fermarsi in un piccolo campo dove coltivavano pannocchie, per non farsi vedere da nessuno. Il campo non era molto grande. Un fiumiciattolo tratteggiava una dolce linea sul terreno.

Le piantagioni erano più alte di Ginco, che per avere 16 anni era un ragazzo molto alto. Incutevano quasi paura. Il terreno era secco e arido: era arrivata l’estate, e in Campania si sentiva. C’era dappertutto un forte odore di terra e di vegetazione, un odore impossibile da ignorare di concime e granoturco.

Il trio decise di accamparsi verso la fine delle coltivazioni. Montarono le tende e mangiarono un panino tutti insieme.

– Sono contento di questa avventura, ragazze. – disse Ginco.

– Io pure. Sono sicura che quest’esperienza ci unirà. – concordò Martina.

– Sì, è vero; ma è un peccato che Kim non sia venuto: si sarebbe divertito. – annunciò Luisa.

Passarono la serata a parlare, ridere e scherzare, a ricordarsi dei mesi in quarantena e a pensare quanto bello fosse rimanere insieme. Infine, si salutarono, e ognuno andò nella propria tenda per dormire.

23:47

Kim era sdraiato sul suo letto con le cuffie ad ascoltare la musica ad alto volume, per non pensare a tutto quello che era successo. Improvvisamente il suo cellulare vibrò per un breve istante. Era un messaggio da parte di Ginco. Diceva:

“Hey, Kim, come te la passi tu? Noi abbastanza bene, dai. Spero che andrà tutto bene. Grazie per la fiducia. Notte, fra”

Era tardi, l’ora di andare a dormire. Kim silenziò il cellulare e lo mise sul comodino di fianco al suo letto.

Il mattino seguente, i ragazzi si svegliarono subito dopo l’alba, con i caldi viola, arancioni e rossi del cielo mattutino. C’era una leggera brezza nell’aria che fece capire ai ragazzi che l’avventura era appena iniziata.

– Oggi dove andremo, Ginco? – chiesero in coro le due ragazze.

– Cercheremo di raggiungere Napoli, ma non sono sicuro che ci arriveremo. Il tipo ci aspetta tra tre giorni alle 14:30, in centro a Battipaglia. – rispose il ragazzo.

– Non sarebbe il caso di aspettare un po’ per partire? Tre ragazzi minorenni che girano per le strade in motorino alle sei di mattina sembrano sospetti, non vi pare? – disse Luisa.

– Certo che sì. Allora partiremo tra un’oretta. Andrò a prendere da bere e da mangiare, nel caso dovessimo finire le provviste, poi telefoneremo a Kim. – concluse Ginco.

Uscirono dalle coltivazioni dove si erano nascosti e in poco tempo raggiunsero la città. Trovare locali o supermercati aperti alle 6:15 di mattina non era semplice: dovettero cercare a lungo prima di trovarne uno. La città a quell’ora era deserta, anzi addormentata.

Ogni tanto passava qualche macchina, ma pure i conducenti del veicolo sembravano dormire. Gli unici svegli erano Ginco, Martina e Luisa. Il sole appena sorto splendeva, riflettendola sua accogliente luce in tutta la città. Gli edifici si stagliavano alti nel cielo, facendo sentire piccoli i ragazzi. Dalle finestre non filtrava nessuna luce, e i lampioni erano spenti.

Dopo un lungo girovagare, trovarono un piccolo negozio di alimentari aperto ed entrarono. Ginco prese qualche lattina di Coca e qualche bustina di snack, mentre le ragazze presero tante bottiglie di acqua naturale e gasata, e dei marshmallow. Pagarono e uscirono soddisfatti dalla piccola baracca.

Si sedettero all’angolo di un marciapiede, vicino a un semaforo. Parcheggiarono i veicoli a lato della carreggiata: tanto a quell’ora non sarebbe passato nessuno. Poi Ginco estrasse dalla tasca del suo giubbotto il cellulare.

Kim si svegliò di soprassalto e vide il suo cellulare vibrare. Chi accidenti era a disturbarlo a quell’ora? Non gli interessava, gliene avrebbe dette quattro. Poi visualizzò il contatto: era Ginco. E d’improvviso si ricordò di quello che era accaduto il giorno prima.

– Pronto, come va? – disse Kim, ancora mezzo addormentato.

– Bene, bene. Tutto procede secondo i nostri piani. Oggi cerchiamo di arrivare a Napoli, o nelle vicinanze. Ti devo parlare di una cosa: userò il cellulare solo per parlare con te. Se si scaricherà useremo quello di Luisa e Marty. Se chiamassi i miei genitori, potrebbero rintracciarmi e venirci a prendere. Devi essere bravo a inventare scuse, perché sono sicuro che, se non risponderà nessuno dei tre, verranno subito a chiedere a te. Ci siamo intesi?

– Si, si. Farò il possibile per coprirvi. Cercherò di mandare messaggi quando potrò.

– No, Kim: ti chiameremo solo noi, se necessario. Dobbiamo conservare la batteria del telefono, quindi lo terremo in modalità aereo. Prendi carta e penna, ti dirò gli orari in cui potrai chiamarci tu, saranno quelli in cui avremo il telefono acceso.

Kim si fiondò giù dal letto verso la sua scrivania, in cerca di qualcosa per scrivere. Appuntò in un’indecifrabile calligrafia tre orari, poi riattaccò:

14:30

16:45

21:15

Guardò la sveglia. Erano le sette meno un quarto. Di solito, Kim si svegliava alle 8:00. In altre circostanze si sarebbe riaddormentato subito, ma non era più stanco; così decise di iniziare la sua giornata. Scese le scale per andare in cucina. I suoi genitori rimasero stupiti nel vederlo in piedi a quell’ ora.

– Brutti sogni stanotte?– gli chiese sua madre

– Ma’, non ho più tre anni! Non riuscivo a dormire, ecco tutto.

Kim non aveva voglia di parlare quella mattina: non c’erano molte cose interessanti di cui parlare. O almeno così credeva. La mattina suo padre era sempre con la testa nascosta dietro al giornale; era raro che si distraesse dalla sua attenta lettura, ma ad un certo punto la interruppe. Aveva gli occhi spalancati:

– Sentite questa! Hanno rubato la moto del barista del Nino’s bar. Quello che vi perseguita, Kim!

Kim rimase senza fiato, con il cuore in gola. Quel barista era andato subito a denunciare il furto! Ora sì che sarebbe stato più difficile per lui coprire i suoi amici.

– Wow, è incredibile… Chi sarà mai stato a compiere una simile crudeltà…? – Disse Kim, recitando malissimo; ma per fortuna i suoi genitori non si accorsero di niente.

Così il ragazzo finì la sua colazione e andò a prepararsi per uscire di casa. Iniziò in questo modo la sua prima giornata da criminale.

Erano passate circa cinque ore da quando i ragazzi erano partiti, e non avevano la minima idea di dove si trovassero. Secondo Ginco, avrebbero oltrepassato Napoli e sarebbero riusciti ad arrivare verso Ercolano.

Per un po’ di tempo non accadde niente di nuovo; ma ad un certo punto, ai lati delle strade dissestate, la loro attenzione venne attirata da un ragazzo incappucciato. Era alto, vestito tutto, tutto di nero. Teneva qualcosa dietro la schiena, e la custodiva come se fosse un gioiello rarissimo.

Ginco parcheggiò la moto, Luisa dietro di lui. Si avvicinarono piano piano, e non si allontanava. All’inizio sembrava quasi che questo ragazzo avesse buone intenzioni. Fu Martina ad approcciarsi prima e a parlare con lui:

– Hey, tipo, come te la passi? Come mai sei qui tutto solo?

Il ragazzo non disse niente, girò la testa a destra poi a sinistra, per controllare che non ci fosse nessuno, poi afferrò Martina per il polso e la trascinò con sé correndo. Con terrore, Luisa e Ginco gli corsero dietro.

Finalmente si fermò. Quando Luisa e Ginco arrivarono, il ragazzo diede loro il permesso di avvicinarsi e gli fece cenno di entrare nel rifugio segreto: sembrava un po’ il Labirinto.

– Dunque, sei tu il capo? – Domandò il ragazzo misterioso a Ginco. Anche se non gli piaceva definirsi tale, fece cenno di sì col capo.

– Bene, allora prendi questa.

Ginco si ritrovò con un sacchetto di plastica trasparente grande come una mano. Al suo interno c’era un composto farinoso, composto da piccoli grumi bianchi, perfetto come se fosse zucchero. Ma quella che Ginco aveva in mano, non era affatto farina. Era un bel pacchetto di cocaina.

Ginco guardò il ragazzo con la bocca aperta, e uguale fecero Luisa e Martina. In segreto, Ginco gli porse 500 euro, poi uscirono. Si nascose il sacchetto sotto la giacca nera e raggiunsero le moto. Cercarono un posto dove poter pranzare. Mangiarono dei panini e alcuni degli snack che avevano preso quella mattina, poi Ginco tirò fuori la busta.

– Come mai avevi 500 euro in tasca? – gli chiese Martina. Ginco fece un sorrisetto.

– Sapevo, che prima o poi, in questo viaggio ne avremmo trovato uno.

Dopo strappò un pezzo di carta da un quaderno che portava sempre con sé e lo arrotolò in modo da formare uno stretto cilindro. Poi se lo avvicinò al naso.

– No! Aspetta! – gridò Luisa. Ginco la guardò stupito.

– Non è saggio… prenderla ora. Dopo non riusciremmo a guidare. La porteremo a Caserta, e lì ce la divideremo.

Ginco e Martina approvarono. Si rimisero i caschi, pronti a partire di nuovo.

Kim era in camera sua ad ascoltare musica, come al solito. Pensava ancora a quello che stavano facendo i suoi amici. Cosa sarebbe successo? Aveva fatto bene? Aveva fatto male? Li avrebbero scoperti?

Guardò il suo cellulare. Erano le 14:20. Non poteva ancora chiamare i ragazzi. All’improvviso qualcuno bussò alla sua porta. Era sua madre.

– Ciao Kim, ti devo parlare di una cosa. – il ragazzo si pietrificò.

– Mi hanno chiamata la mamma di Luisa e Martina, dicendo che le ragazze non tornano a casa da ormai due giorni. La mamma di Martina mi ha detto che ha telefonato alla mamma di Ginco, e nemmeno lui c’è. Nessuno dei tre risponde al telefono. Tu ieri eri con loro, giusto? Ne sai qualcosa?

Non poteva dire di no. Avrebbero inviato la polizia a cercarli e li avrebbero scoperti di sicuro.

Doveva inventare una scusa che reggesse.

– Oh, sì, sì. Ieri me ne hanno parlato vagamente. Hanno detto che andavano in campeggio senza farne parola ad anima viva, per dimostrare la propria autonomia. Non l’hanno fatto con cattiveria, di’ alle loro mamme di non preoccuparsi. Stanno bene, torneranno a casa domani sera.

Ci fu un attimo di silenzio. La mamma lo fissava con uno sguardo inquisitore, gli occhi quasi chiusi. Kim aveva una goccia di sudore che gli rigava la fronte. Effettivamente, quella scusa non aveva molto senso; ma era l’unica che gli fosse venuta in mente.

– Ok, le avviso, grazie. – E richiuse la porta. Per il momento l’aveva scampata.

Il suo cellulare iniziò a squillare: Ginco lo aveva chiamato cinque minuti prima dell’orario fissato.

– Ciao Kim, ci sono novità?

– Sì. Quell’idiota del barista è andato subito a denunciare il furto! Stamattina mio padre l’ha letto sul giornale.

– Questo renderà le cose più difficili, però. – disse un po’ preoccupato Ginco.

– In realtà no, perché nessuno ci ha visti ieri. O almeno credo. Spero che non verranno ad interrogarmi, penseranno che non sarà un caso se voi non ci siete.

– Devi essere il più credibile possibile, mi raccomando. Possiamo sempre fidarci di te, vero?

– Sì. Ah, hanno chiamato le vostre mamme. Ho detto che siete in campeggio.

– Era sul serio la scusa più credibile che ti è venuta in mente?

– Ehm… sì. – e scoppiarono a ridere entrambi. Era la prima volta che Kim rideva da quando i suoi amici erano partiti.

Fu così che si salutarono. Kim non era ancora convinto al 100% di quello che stava facendo. Che grande cavolata! Non faceva che ripetersi sempre le stesse cose, in fondo che c’era da dire di più?

Ripensò a tutte le avventure che avevano passato insieme da quando si conoscevano. Per esempio, quando avevano ordinato un milione di cose in quel bar e poi erano scappati via. Oppure, quando hanno marinato la scuola per una settimana (dopo erano stati sospesi per un’altra settimana). Fu allora che Kim capì che aveva preso una cattiva strada, e da quel momento aveva fatto di tutto per migliorare la sua reputazione.

Era migliorato in tutte le materie, e non era più stato rimandato. E adesso, con questo furto, avrebbe rovinato tutto, di nuovo. Forse, la cosa peggiore che poteva capitare era che lo interrogasse la polizia: avrebbe fatto di tutto per salvare i suoi amici.

– Ah, che caos!

E si sdraiò di nuovo sul suo letto, pensando e sperando fino a sera che tutto quello che stava accadendo finisse.

Luisa, Martina e Ginco si svegliarono ad Ercolano sempre verso l’alba, come avevano previsto. Tutto stava filando liscio, ma si domandavano cosa stesse succedendo a casa. Come Aversa, pure Ercolano era deserta all’ alba.

Girarono per la città in cerca di un negozio dove comprare del cibo, come la mattina prima. Stavolta trovarono un bar, e poterono prendere dei panini al posto di scadenti snack. Quando Ginco e Luisa accesero i motori delle moto, sentirono dietro di loro una voce fioca, ma un po’ gutturale che dava un senso di stanchezza. Era un anziano.

– Ehi, voi tre! Che ci fate qua tutti soli? La scuola è finita. I vostri genitori lo sanno che siete qua? Da dove venite?

– E a Lei che gliene importa? Dobbiamo andare a…trovare un amico. Veniamo da Caserta, non da chi sa dove… – rispose con fermezza Martina.

– Ma… ma è lontanissimo! Vi rendete conto? Siete matti! Ora datemi i numeri che chiamo i vostri genitori.

Ginco teneva nascosto il sacchetto con la cocaina nel suo giubbotto. Non voleva che qualcuno lo scoprisse.

– E tu, che ti tieni là sotto? Non sarà mica… Forza, datemi i cellulari voi due! E tu, ragazzo, vieni qua!

Ma i ragazzi si sedettero sulle loro moto, accesero i motori e partirono a tutta velocità. Il vecchietto si sforzava a rincorrerli più che poteva, ma ce la poteva fare. Dopo un paio di insulti in napoletano il vecchietto sparì, ma la targa del motorino di Ginco era in bella vista.

Kim era in casa sua a leggere un libro. Si chiedeva da solo come facesse a concentrarsi mentre stava compiendo un reato. Il campanello di casa sua suonò. Alla porta c’era la mamma di Ginco.

– Ciao Kim, come te la passi? – domandò.

– Bene signora, e lei?

– Non fare finta di niente, ragazzo! Avevi detto che i nostri ragazzi sarebbero tornati a casa questa mattina, è l’ora di pranzo e non sono ancora a casa. In più un signore ha preso la targa del motorino di Ginco questa mattina, alle sei e mezza, e l’ha denunciato alla Polizia. A Ercolano! E non rispondono al telefono! Che vuoi fare? Ci stai nascondendo qualcosa?

Kim avrebbe avuto bisogno di tempo per elaborare una risposta. Ma si sorprese da solo.

– Oh, signora, Ginco non c’entra niente con tutta questa storia! Mi ha telefonato da un numero sconosciuto dicendomi che a tutti e tre si era scaricato il telefono. Ha detto che in campeggio hanno scoperto che la nonna di Martina sta male e che devono portarle una medicina con urgenza.

Ovviamente l’hanno scoperto prima che il suo telefono si scaricasse. Poi, a dire il vero, mi ricordo che Ginco raccontava spesso che un suo amico di Napoli aveva la targa della moto molto simile alla sua; il signore si sarà sicuramente sbagliato. Io non so dove abiti la nonna di Martina, ma di sicuro suo figlio sta bene.

– Anche se non ti credo, mi fido. Se entro domani sera non tornano, sono guai Kim. Buona giornata.

– Non si preoccupi: saranno a casa domani mattina.

La signora chiuse la porta. Kim rimase sorpreso dalla sua risposta. Sembrava che l’avesse progettata e provata per giorni; invece era un’improvvisazione bella e buona. Ora non gli restava che aspettare che Ginco lo chiamasse.

I ragazzi erano di nuovo fermi per mangiare e riposarsi un po’. Era più presto rispetto agli altri giorni, ma dopo la mossa dell’anziano erano stati a un passo dall’essere scoperti, e questo li aveva spossati enormemente.

– Ragazze, abbiamo un problema. Siamo fregati – disse Ginco.

– Cos’è successo? – domandò Martina.

– Mentre stavamo per seminare quel vecchio mi sono girato per controllare cosa stesse facendo, e ho visto che stava fotografando qualcosa. E se avesse preso la targa delle moto?

Il piccolo gruppetto rimase con la bocca aperta. Per scoprire la verità chiamarono subito Kim, stavolta dal telefono di Luisa.

– Ohi, Kim. È successo un casino.

– Credimi, lo so. Ma ho trovato una soluzione. Ehi, aspetta… di che parli?

– Credo che un vecchio mi abbia preso la targa della moto.

– Ah, sì. Per fortuna ha preso la targa della tua e non di quella del barista. Se avesse preso quella allora sì che sarebbe stato un bel casino.

Kim spiegò a Ginco cosa aveva raccontato a sua madre. Anche i ragazzi rimasero colpiti per come Kim avesse inventato una storia così convincente all’istante. Si salutarono e tutto continuò liscio.

Ginco promise alle ragazze che il giorno dopo sarebbero arrivati a destinazione, ma oggi dovevano fermarsi a Salerno. Arrivare a Battipaglia da lì non era molto lungo, potevano fare le cose con più calma e svegliarsi più tardi l’indomani mattina.

Il loro viaggio continuò per qualche ora, e come al solito arrivò il momento di fermarsi. Parcheggiarono le moto vicino a un posto simile al Labirinto. Subito dopo iniziarono a montare le tende, quando videro la sabbia polverosa alzarsi dietro di loro. C’era qualcuno. Si voltarono. C’erano dei ragazzi della loro età, ma erano molto, molto più grossi, ed erano di più. Avevano dei tatuaggi su tutto il corpo e i capelli rasati. Sicuramente spacciavano o compravano da spacciatori: si capiva dalle loro facce assenti.

– Andatevene, piccoletti. Questo è il nostro posto – disse il loro capo, il più grande.

– E quindi, che problemi hai? È una zona industriale abbandonata! – rispose Luisa.

– Già, andatevene, siamo arrivati prima noi! – dissero in coro Ginco e Martina.

– Questi bambocci non vogliono andarsene. Bene, se non ve ne andate con le buone… Ci penseremo noi, con le cattive.

La banda avanzò verso di loro. Dovevano scappare. Avevano dei coltelli, e sicuramente anche delle pistole. Non c’era tempo per disfare le tende e andare, avrebbero lasciato tutto lì.

Presero i motorini e ci montarono sopra, accesero i motori e scapparono. Anche loro avevano dei veicoli. Ginco e Luisa andarono al massimo per sfuggirgli. Vedevano il paesaggio cambiare, da campagna a città.

I ragazzi li inseguivano, e loro voltarono per ogni vicolo, passando per moltissime stradine strette finché non li seminarono. Rimasti senza tende, si dovettero rifugiare in un posto improvvisato. E un’altra giornata finì. Il giorno dopo era quello decisivo.

Kim si svegliò. Oggi i suoi amici sarebbero dovuti arrivare a Battipaglia per fare lo scambio con il signore. Era tranquillo: gli adulti non avrebbero più detto nulla, aveva detto alla mamma di Ginco che sarebbero arrivati di sera, e loro avevano appuntamento di mattina… ma la mattina dovevano essere a Battipaglia, non a Caserta! Non ce l’avrebbero mai fatta.

Kim capì. Fu in quel momento che capì. Forse l’aveva già capito prima, ma non lo voleva ammettere neppure con se stesso. Quello che stava facendo faceva male ai suoi amici. Forse non era un vero amico a fare così. Loro stavano rischiando la vita, e lui doveva impedirglielo. Era tutto sbagliato. Doveva rivelare tutto ai genitori. Subito! Magari la loro pena sarebbe stata meno terribile se ancora non avevano venduto la moto.

Qualcuno bussò alla porta di nuovo. Erano le mamme di Ginco, Martina e Luisa.

– Kim, sei nei guai. Sappiamo che hai mentito. La nonna di Martina non è affatto malata. Che è successo ai nostri ragazzi? Ne sai qualcosa, vero? – Disse la mamma di Ginco, arrabbiata e preoccupata allo stesso tempo.

Kim parlò. Rivelò ogni cosa del furto e della vendita. Come prima cosa le tre donne si misero a piangere, e dissero a Kim migliaia di volte – Perché non l’hai detto subito?

Corsero ad avvertire il barista, contento di sapere chi avesse rubato la sua moto. Questi sgridò Kim un bel po’ di volte:

– Io lo sapevo che era stato uno di voi quattro stupidi marmocchi!

Poi tutti insieme andarono a denunciare il furto alla polizia. Era incredibile: il ragazzo che fino a qualche ora prima stava coprendo i suoi amici ora era lì, a denunciarli alla polizia. Ora Kim si sentiva libero e molto più leggero. Ma colpevole.

I ragazzi girovagavano per la città, come i due giorni precedenti. Ne avevano passate di ogni tipo in quei giorni, e non si erano mai abbattuti. Quello era il giorno decisivo. Ora o mai più. Tra tutti gli ostacoli che avevano superato, uno solo erano sicuri di non poter superare: gli sbirri.

All’improvviso luci lampeggianti blu, seguite da un’insopportabile sirena, avanzarono verso di loro. Accelerarono, ma le pattuglie della Polizia erano più veloci dei loro rottami. Riuscirono a scappare per un po’, ma presto vennero circondati da altre due pattuglie che gli si piazzarono davanti, sbarrando la strada.

Era la fine.

Ginco, Luisa e Martina scesero dai motorini, come fecero i tre poliziotti dalle loro auto.

– Mani in alto! – I ragazzi alzarono le mani e i poliziotti le ammanettarono, poi li fecero adagiare sul cofano delle loro auto.

– D’ ora in poi qualunque cosa direte potrà essere usata contro di voi!

Era tutto finito. Sarebbero stati arrestati. Dopo, da un’auto uscì Kim. Era stato fatto salire insieme ai genitori dei ragazzi su un’auto. Il ragazzo che li aveva coperti fino a quel momento li aveva traditi. Le ragazze piansero, a Ginco era stato detto di non parlare. Gli bastò un solo sguardo per capire il suo stato d’animo e il suo messaggio: – Ti distruggerò.

– Mi scusi, signor poliziotto, ho una cosa da dire – annunciò la mamma di Luisa.

– Questo ragazzo ha coperto questo reato fin dall’ inizio, meriterebbe di essere arrestato anche lui.

Il poliziotto ci ragionò un po’ su. Era una dura decisione. Kim era colpevole come loro. Il ragazzo ne era consapevole. Sapeva che non l’avrebbero passata liscia. Mentre ansimava preoccupato, il poliziotto avanzò verso di lui con le manette in mano, pronte per essere usate.

Era la fine.

Giorgia Pugliese

(In copertina nika tchokhonelidze da Unsplash)

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