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Un putsch, anzi no – Insurrezione in Russia targata Wagner PMC

Russia Wagner

Nell’arco di pochi giorni abbiamo assistito a una sfiorata guerra civile in Russia, dove il capo delle milizie mercenarie della Wagner PMC, Evgenij Prigožin stava per marciare sulla capitale russa. Ma cerchiamo di capire come sono andate davvero le cose.


Le mercenarie e ausiliarie sono inutile e periculose: e se uno tiene lo stato suo fondato in sulle arme mercenarie, non starà mai fermo né sicuro; perché le sono disunite, ambiziose, sanza disciplina, infedele; gagliarde fra gli amici; fra e’ nimici, vile.

Nicolò Machiavelli, Il Principe, capitolo XII

Un esercito di mercenari ribelli, scontenti delle condizioni in cui la leadership militare e politica li costringe a versare, abbandona le sue posizioni e marcia sull’entroterra del Paese sotto la cui bandiera dovrebbe star combattendo, fermandosi prima di raggiungere la capitale soltanto dopo aver ricevuto promesse e garanzie dal potere centrale.

A porla così, parrebbe di leggere fra le righe di un testo di storia delle scuole superiori, da qualche parte nel capitolo “La fine dell’Impero Romano”, con qualche capo-tribù Goto o Vandalo dei foederati che tiene in scacco Roma e s’impone come vero centro di potere del decadente impero.

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Karl Bryullov, Sacco di Roma di Genserico. Olio su tela, 1833-1836.

Eppure non si tratta di vicende vecchie di un millennio e più, ma dei fatti avvenuti fra la sera del 23 giugno e il giorno seguente in Russia meridionale, dove il comandante della Wagner P.M.C. (Private Military Company, una compagnia organizzata di mercenari) Evgenij Viktorovič Prigožin ha dichiarato a tutti gli effetti un’insurrezione privata, portando con sé la sua forza da combattimento e rischierandola dal fronte di Bakhmut-Soledar, in Donbas, contro la sede del Comando Militare Meridionale a Rostov sul Don, città russa vicina al confine.

Fermo-immagine in un video girato da Prigožin durante la crisi. Il video è questo.

Innumerevoli video ed immagini circolati sui canali Telegram, in primo luogo quelli dei gruppi filorussi che hanno fatto dei mercenari una sorta di beniamini nazionali, hanno mostrato la fulminea e incontrastata avanzata della Wagner, che, in poco più di dodici ore, ha abbandonato le proprie postazioni in Ucraina e, mobilitando le proprie forze meccanizzate e motorizzate, si è riposizionata in Russia, occupando Rostov in un batter d’occhio e lanciandosi immediatamente verso Voronezh, la principale città più a nord sulla direttrice per Mosca.

È bastata mezza giornata alla Wagner per crearsi una duplice base d’appoggio e per mettere sotto il proprio controllo i due nodi primari di rifornimento e munizionamento per tutta la linea russa nel Donbas centro-settentrionale.

Al contempo Prigožin, leader indiscusso dei quasi cinquantamila mercenari a disposizione della compagnia militare, quattro quinti dei quali sarebbero ex-detenuti e galeotti che hanno accettato il servizio nella PMC per abbreviare le proprie sentenze, ha lanciato strali infuocati contro il Ministro della Difesa, il Generale Shoigu, che già aveva aspramente criticato in precedenza (lamentando allora le croniche lacune nella fornitura di munizioni alla Wagner).

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Il generale Shoigu. Immagine da France 24. Titolare dei diritti: AFP

Accusando il Ministro di aver intenzionalmente bombardato le posizioni della Wagner, Prigožin ha inoltre affermato che l’intera guerra sarebbe stata orchestrata da Shoigu per soddisfare le sue ambizioni. Il generale si sarebbe mosso d’accordo con quello che Prigožin ha definito “il clan che effettivamente governa la Russia di oggi”, un chiaro riferimento agli oligarchi che muovono le leve del Paese.

L’uomo forte a capo della Wagner….o della Russia?

Per comprendere a meglio questa prima serie di eventi non bisogna innanzitutto illudersi che quella di Evgenij Prigožin sia stata una crociata contro i mali che affliggono la Russia, anche e soprattutto in luce del fatto che di quella clique di oligarchi lui è parte integrante.

Evgenij Viktorovič Prigožin è infatti soprannominato “cuoco di Putin” per via dei ristoranti e delle attività di catering in suo possesso che, oltre ad aver ricevuto appalti milionari dalla Federazione Russa, hanno ospitato cene di Stato organizzate dallo stesso Vladimir Putin.

Prigožin “cuoco” di Putin. Immagine da The Sun, diritti di Reuters.

Oltre alla ristorazione, infatti, l’oligarca ha anche il controllo di una rete di società coinvolte nello scandalo attorno alle elezioni presidenziali statunitensi del 2016 e di midterm nel 2018. Oggetto di sanzioni ad personam da parte degli USA e dell’Europa, le sue operazioni sono da sempre strettamente integrate con il Ministero della Difesa e con l’intelligence militare, in particolare mediante il Gruppo Wagner.

Il fondatore della Wagner PMC era stato inquadrato a lungo nella figura del colonnello Dmitrij Valer’evič Utkin, veterano della prima e seconda guerra cecena, comandante di brigata del 700º distaccamento spetznaz delle forze speciali GRU.

Messosi in proprio nel 2013, il colonnello lavorò prima ad Hong Kong come mercenario, per poi apparire a Luhansk durante l’invasione del 2014. Il nome Wagner deriverebbe proprio dal nome in codice di Utkin, guadagnato e indossato con orgoglio da operativo del GRU per via, pare, dei suoi tatuaggi dai connotati nazisti.

Nel settembre 2022, Prigožin ha però ammesso ufficialmente di essere il fondatore e manager del Gruppo Wagner, confermandone d’altro canto le origini come battaglione di mercenari russi inviato in Donbas nel maggio 2014 assieme alle unità di “piccoli uomini verdi”, i soldati regolari dell’esercito russo dispiegati strategicamente in Ucraina a supporto dei separatisti, dalle cui uniformi erano state rimosse targhette identificative e bandiere per negarne l’appartenenza alle forze armate russe.

Secondo alcune ricostruzioni, il controllo militare della Wagner sarebbe stato nelle mani del GRU, la temuta intelligence interforze comandata dall’Ammiraglio Igor Kostjukov, coadiuvato dall’attuale Governatore di Tula ed ex-comandante delle Forze Speciali Strategiche Aleksej Dyumin, con Prigožin incaricato della gestione economica del Gruppo e il generale Sergey Surovikin a fungere da liaison con il Ministero della Difesa.

Per quanto la Wagner sia certamente popolata da effettivi ed ex-membri del GRU, e sia stata certamente impegnata a finalità strategiche dalla Russia, è anche chiaro come ormai il pantheon di oligarchi e generali che gestiva la Wagner sia stato accantonato a favore di un’amministrazione centralizzata che fa capo unicamente a Prigožin, il quale con fare demagogico si è presentato fin dall’inizio delle ostilità come un difensore dei propri uomini e un patriota al di sopra dei giochi di potere del Cremlino.

Ciò che questo tentato colpo di mano dimostra la sua impresa è che ogni forma di controllo esterno dello Stato russo sulla Wagner PMC è definitivamente svanita con la sua partecipazione nella guerra in Ucraina.

Tentato golpe o dimostrazione pianificata?

L’avanzata della Wagner è stata degna della blitzkrieg del terzo Reich, se non fosse che a differenza delle divisioni Panzer nel ’40, nessuna resistenza significativa è stata mai opposta alle forze private di Prigožin: le colonne della Wagner, procedendo spedite verso Mosca, hanno raggiunto la oblast’ di Lipetsk, arrivando fino a 200 miglia a Sud della città.

Mancavano circa quattro ore di normale percorrenza sull’autostrada M-4 a separarli dal loro obiettivo, quando si sono palesati i primi segni di opposizione armata al blitz della compagnia militare privata. Mentre il governatore Artamonov segnalava l’ingresso delle truppe nella sua regione, si sono diffuse immagini di imboscate al convoglio operate da elicotteri da attacco al suolo, e le forze di Mosca hanno bruciato dei depositi di carburante per evitare che cadessero in mano nemica.

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Le truppe della Wagner a Rostov. Immagine da Industan Times. I diritti sono di Reuters.

Non è ancora chiaro quanto queste azioni facessero parte di uno sforzo difensivo coeso e coordinato, o fossero imprese individuali di comandanti dell’esercito regolare; ciò che è certo è che le unità leali a Putin hanno sigillato e fortificato la capitale russa. Queste, in buona sostanza, fanno capo all’FSB, servizio di sicurezza e controspionaggio interno erede del KGB, e anche alla cosiddetta Rosgvardiya, la guardia nazionale russa creata nel 2016 consolidando la vecchia gendarmeria paramilitare dipendente dal Ministero degli Interni con altre unità spetznaz e antisommossa come la famigerata OMON.

L’incertezza principale, durante le ore di tensione in cui l’avanzata non accennava a fermarsi, si era concentrata su quanto Mosca potesse invece fare affidamento sui reggimenti regolari dell’Esercito e dell’Aeronautica dislocati nella regione: se da un lato l’assegnazione in prossimità della capitale è tendenzialmente una ricompensa per comandanti ed ufficiali fedeli al Presidente, e la vicinanza al centro di potere avrebbe presumibilmente spinto molti alla difesa ad oltranza per timore di trovarsi davanti ad un plotone d’esecuzione qualora Prigožin e la sua armata avessero preso la capitale, d’altro canto le truppe a Rostov e Voronezh avevano già accolto a braccia aperte i propri commilitoni mercenari, e permesso loro di insediarsi al Distretto Militare Meridionale senza sparare un colpo.

Un’incertezza che probabilmente permane nelle menti dell’alto comando russo, anche dopo le sorprendenti e altrettanto fulminee trattative intavolate fra Prigozhin e gli emissari di Vladimir Putin, con il presidente bielorusso Lukashenko a fungere da mediatore.

Negoziati che hanno portato alla ritirata delle forze Wagner e ad una sorta di agiato confino per Prigožin in Bielorussia, a condizione che tutte le accuse di ammutinamento e tradimento per lui e la sua schiera fossero immediatamente ritirate.

Aleksander Lukashenko. Immagine dal Ney York Post. Diritti di AFP via Getty Images.

Cosa si sia promesso a quell’incontro sarà oggetto di indagine e speculazioni varie per molti anni a venire, e le ragioni che hanno mosso Prigožin a desistere da quella che sembrava ormai una vittoria certa desteranno aspri dibattiti in circoli accademici, militari e politici, ma soprattutto d’intelligence.

Le agenzie d’informazione occidentali sembrano essere state colte completamente di sorpresa dalle vicende del 23 e del 24, non cogliendo né alcuna traccia della ribellione prima che avvenisse, né tantomeno riuscendo a prevedere il dietrofront della Wagner e il ruolo della Bielorussia come mediatore; fatti che di per sé rivelano quanto ancora sia imperscrutabile, per i paesi NATO, il complesso intreccio dei giochi di potere che alimentano la vita politica ed economica nella vecchia sfera d’influenza sovietica.

Prospettive incerte per la Wagner e la Russia

Il futuro della leadership russa si trova innegabilmente davanti ad un significativo spartiacque: nella patria della Rivoluzione d’Ottobre, la cerchia ristretta dell’uomo forte al comando si è trovata a far fronte ad una rivolta ben diversa dai fasti socialisti di un secolo fa, forse resa più insidiosa dal fatto che Putin e i suoi scherani erano meno preparati a farvi fronte, e come ne sapranno uscire determinerà probabilmente la prossima decade di politica interna ed estera per la Russia.

Per Putin, ultimo epigono della lunga schiera di dominatori visti dal suo Paese dai tempi dello zar, le conseguenze possono essere fatali come idilliache: la sua credibilità presso il popolo russo e soprattutto la cerchia di oligarchi che lo sostiene potrebbe essere infatti essere minata definitivamente dall’insurrezione della sua “creatura” paramilitare; d’altro canto, se davvero, vi è la mente di Putin dietro i negoziati che hanno fermato la Wagner, e il Presidente russo ha ancora assi nella manica da giocarsi anche con minacce all’apparenza ineluttabili, la sua posizione nello scacchiere politico russo potrebbe emergere come ancora più dominante.

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Immagine di Putin. Fonte: Sky News. Diritti: AP.

Bisogna considerare, per questa valutazione, che Putin ha saputo sobillare le masse a dovere mediante un potentissimo apparato di propaganda statale, forte di un popolazione mediamente non istruita e tendenzialmente propensa, sin dai tempi dell’URSS, alla fiducia verso il potere centrale.

Un potere non indifferente, che ha permesso a Putin di uscire indenne ed anzi con un’immagine rafforzata da crisi come le guerre in Cecenia, in Dagestan e in Georgia, nonché le sanzioni europee, tutelandosi inoltre in questo modo dalla prospettiva di una sollevazione popolare e scongiurando il pericolo di cadere nella stessa trappola di cui furono vittime i suoi predecessori nel 1917.

Peraltro non sembra che Vladimir Putin, per ora, abbia preso altrettanto adeguate contromisure contro la prospettiva della rivolta militare, condotta da uno dei suoi stessi oligarchi: certo non è stato un evento totalmente imprevisto, come dimostra l’aver posto la Rosgvardiya sotto il controllo diretto del Presidente negli stessi anni in cui la Wagner PMC si affermava come il braccio armato della Russia all’estero, e soprattutto in Siria e in Repubblica Centrafricana.

Ad ogni modo, è difficile ricostruire con esattezza la nebulosa rete di alleanze e rivalità che intercorre fra i potentati moscoviti e il loro patrono sul seggio presidenziale, e quanto Putin intendesse tutelarsi specificamente dalla compagnia di mercenari.

L’incolumità del Presidente sembra ad ogni modo fin da subito garantita, se non dalle rassicurazioni fornite dalla Wagner quanto meno dal fatto che il trasponder del suo aereo personale è risultato spento mentre era in volo nei dintorni di Tver, a due ore di macchina a nord di Mosca, mentre la PMC avanzava.

L’incolumità del suo governo e dei suoi ministri, della sua morsa sulla politica e sull’economia della Russia non sono parse invece così salde ed assicurate, essendosi trovate probabilmente più alla mercé di Prigožin e della sua capacità di tenere sotto controllo i propri uomini e detenuti che garantita dagli altri strumenti di potere e sicurezza statali.

Tanto rumore per nulla?

Gli esiti finali di questa rivolta sono difficili da pronosticare con esattezza, ma sicuramente un riassetto della gerarchia del Cremlino incombe; se questo avverrà con il piombo, un processo fantoccio a qualche ministro, o con un semplice svolazzo di penna stilografica e un paio di licenziamenti, resta ancora da vedere.

Il simbolo della Wagner PMC.

Parimenti restano imperscrutabili, per ora, lo status della Bielorussia e delle forze armate russe ancora dispiegate in Ucraina, nonché il futuro stesso della Wagner PMC, che potrebbe vedersi smembrata e riassorbita nell’esercito regolare così come consacrata a idolo del popolo e difensore dei soldati comuni, come sembrerebbe indicare la calorosa accoglienza ricevuta dalle prime unità di mercenari rientrate a Rostov sul Don.

Le uniche ad aver nettamente beneficiato di questo scontro fra uomini forti, con ogni probabilità, sono state le forze armate ucraine, che durante la crisi hanno scandagliato la linea del fronte e investigato le postazioni rimaste più indebolite dalla ritirata della Wagner, in attesa di sferrare quello che potrebbe rivelarsi il colpo decisivo: uno sfondamento nel Donbas permetterebbe infatti l’accerchiamento delle forti linee difensive russe sul Dnipro e sulla direttrice di Zaporižžja, tagliando fuori la Crimea e costringendo le truppe di Putin alla definitiva ritirata dall’Ucraina.

Ciò che è certo è che, nelle loro tombe antiche e cripte dimenticate, gli ultimi Imperatori d’Occidente, traditi e deposti da comandanti mercenari, stanno probabilmente sogghignando nel vedere che ancora, dopo un millennio e mezzo, gli autocrati cadono sempre – e fatalmente – negli stessi errori.

Iacopo Brini

(Immagine di copertina della Wagner nella città di Rostov. I diritti sono di ANSA/AFP)


Per approfondire: Guida alla Guerra in Ucraina con gli articoli di Giovani Reporter, con tutti i nostri articoli sul tema.

Sull'autore

Classe 2003, mi sono trasferito da Bologna a Milano per studiare Legge e soprattutto per sfuggire alle ire dei caporedattori dopo aver sforato una scadenza di troppo. Mi appassiono facilmente degli argomenti più disparati, invento alfabeti nel tempo libero e ho la strana abitudine di presentarmi in giacca e cravatta anche ai pranzi con gli amici.
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