CronacaPolitica

Di Cutro e altri crimini di Stato

EPA Carmelo Imbesi Cutro

Negli ultimi mesi molte persone sono sbarcate sulle nostre coste, ma molte altre sono morte nel Mediterraneo. Dopo la cosiddetta “strage di Cutro”, il nuovo governo è intervenuto sulla questione, mostrando ancora una volta un approccio che criminalizza i flussi migratori e sfoggia una bieca propaganda.


Il naufragio di Cutro

Nella notte tra il 25 e il 26 febbraio un’imbarcazione carica di migranti partita dalla Turchia si arena a poche decine di metri dalla costa di Steccato di Cutro. Nell’incidente muoiono 91 persone e si stimano decine di dispersi.

Prima del naufragio Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera avverte le autorità italiane della presenza di un caicco carico di migranti, apparentemente privo di giubbotti di salvataggio, naviga in acque tutt’altro che tranquille.

In una prima fase nessuno ritiene che sia il caso di intervenire; successivamente, invece, si attiva la Guardia di Finanza, salvo poi fare marcia indietro per via delle pessime condizioni del mare, in quanto la motovedetta e il pattugliatore predisposti erano inadeguati. Solo in un secondo momento interviene la Guardia Costiera, ma è ormai troppo tardi.

Le condizioni meteo e del mare erano tali da impedire alla motovedetta e al pattugliatore della Guardia di Finanza di navigare. Tuttavia, si è ritenuto che un peschereccio con a bordo centinaia di persone potesse viaggiare senza intoppi.

La Guardia di Finanza si occupa di operazioni di polizia e non di operazioni di salvataggio come la Guardia Costiera; questa è la ragione per cui i suoi mezzi si sono rivelati insufficienti.

Tra il 2019 e l’inizio del 2023 sono sbarcate in Italia più di 200 mila persone e in quasi sei casi su dieci i naufraghi sono stati considerati dal Ministero dell’Interno come soggetti intercettati nel corso di operazioni di polizia.

Al momento le procure di Crotone e di Roma stanno indagando su eventuali responsabilità.

Strage di Cutro grafico Altreconomia.
Dati del Ministero dell’Interno rielaborati da Altreconomia.

Il decreto Cutro

La risposta del Governo alla strage è un nuovo decreto-legge, presentato in Parlamento con la questione di fiducia, che modifica diversi aspetti relativi alla gestione dei flussi migratori. Le misure più rilevanti riguardano l’inasprimento delle pene per i cosiddetti scafisti e lo smantellamento della protezione speciale.

Ha fatto molto parlare l’intervento della Presidente del Consiglio che, a seguito della tragedia, afferma che “quello che vuole fare questo Governo è andare a cercare gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo”.

Gli scafisti sono coloro che guidano le barche che arrivano sulle nostre coste. Nella maggior parte dei casi sono migranti messi al comando dell’imbarcazione pur non avendo nessuna competenza in materia che verranno arrestati una volta arrivati a destinazione.

Si tratta quindi di persone che spesso non hanno nulla a che fare con i trafficanti, che organizzano i viaggi e sono difficili da individuare, anche per la mancanza di collaborazione tra i Paesi di destinazione e quelli di partenza.

Il nuovo decreto introduce il reato di morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina. I trafficanti di esseri umani e gli scafisti rischiano il carcere da 10 a 20 anni per lesioni gravi o gravissime a una o più persone; da 15 a 24 anni per morte di una persona; da 20 a 30 anni per la morte di più persone.

Il decreto prevede poi l’abolizione della protezione speciale, che esiste da pochi anni ed è uno dei modi con cui una persona che arriva in Italia scappando da situazioni di pericolo può ricevere accoglienza.

strage-di-cutro-lapresse
Immagine di Giovanni Isolino/LaPresse.

Come funziona l’accoglienza in Italia

I migranti, una volta arrivati al porto, fanno tappa negli hotspot, dove ricevono una prima assistenza sanitaria e burocratica. Si tratta di strutture pensate per una permanenza breve, e per consentire a chi arriva di fare domanda di asilo.

Chi non fa richiesta di asilo viene mandato nei CPR (centri di permanenza per il rimpatrio) o lasciato sul territorio in condizione di irregolarità. Sono destinati ai CPR anche coloro che si vedono negata una qualsiasi forma di protezione. Le condizioni in cui versano questi centri sono inumane e indegne per uno stato di diritto, come mostra chiaramente l’inchiesta di Piazza Pulita.

Una volta fatta la domanda di asilo il richiedente, in base alla sua situazione, può ottenere una delle forme di protezione previste; prima del nuovo decreto-legge le più frequenti erano tre: asilo politico, protezione sussidiaria e protezione speciale.

La prima è la più importante forma di protezione internazionale. Può essere riconosciuta a una persona che faccia richiesta di asilo da uno stato membro della convenzione di Ginevra del 1951. La convenzione definisce rifugiato chi non può o non vuole chiedere la protezione dello Stato di cui ha la cittadinanza per il giustificato timore di essere perseguitato per ragioni etniche, di credo religioso o politico, o per l’appartenenza ad un particolare gruppo sociale.

La protezione sussidiaria è un’altra forma di protezione internazionale aggiuntiva riconosciuta a chi non rientri nella definizione di rifugiato. Si definisce titolare della protezione sussidiaria colui che, tornando nel Paese d’origine, subirebbe un grave danno; ragione per cui non può o non vuole avvalersi della protezione di detto Paese.

La terza forma di protezione, prima dei Decreti Sicurezza del 2018, era la protezione umanitaria. Questa era stata smantellata e sostituita dalla protezione speciale, il cui raggio di applicabilità era stato nuovamente esteso nel 2020 dalla Ministra Lamorgese; il d.l. 123/2020 recitava che, oltre alle forme di protezione previste, non erano ammessi il respingimento o l’espulsione di persone verso uno Stato dove avrebbero potuto subire una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare; richiamando così l’art. 8 Cedu.

Una volta fatta la richiesta di asilo, i migranti sono trasferiti nei centri di prima accoglienza, tappa transitoria che ha come meta lo SPRAR (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati).

Quest’ultimo è un servizio di seconda accoglienza che, oltre ad ospitare i migranti in attesa di risposta per la domanda di asilo, dovrebbe mettere in campo una serie di servizi volti a costruire un processo di integrazione per chi arriva, in modo da facilitare l’entrata nel mondo del lavoro e nel tessuto sociale. Nei fatti il sistema di seconda accoglienza è poco sviluppato e il motivo principale è la scarsa adesione dei comuni che dovrebbero ospitare i migranti.

Il nuovo Decreto Cutro, dunque, abolisce nuovamente la forma di protezione speciale e, come disciplinato nel primo decreto sicurezza, prevede che i richiedenti asilo siano esclusi dal servizio di prima accoglienza e mandati nei centri di accoglienza straordinaria, causando un’altra serie di criticità.

La condizione di chi arriva in Italia…

Giovanna Di Benedetto, portavoce di Save The Children, riferendosi all’hotspot di Lampedusa racconta: “Ci sono più di 1.200 persone in una struttura che potrebbe contenerne al massimo 350. I minori non accompagnati sono 280 e i bambini sono una trentina”.

Gli hotspot, pensati per accogliere un certo numero di persone per pochi giorni, ne contengono più del triplo, talvolta anche per mesi. Mancano i presidi igienico-sanitari di base e spesso i migranti, stipati in strutture di un Paese che non conoscono e con una lingua che non parlano, sono abbandonati a loro stessi, senza qualcuno che spieghi loro come procedere per la richiesta d’asilo.

Inoltre, in seguito ai Decreti Sicurezza, sono stati drasticamente ridotti anche i posti per i minori; così, quelli che dovrebbero essere centri per l’identificazione diventano dei veri e propri centri di detenzione. La Corte Europea dei Diritti Umani ha ritenuto che questa detenzione di fatto violi l’art. 3 Cedu, secondo cui nessun individuo può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.

La Corte si è espressa in occasione di un ricorso di quattro cittadini tunisini soccorsi nell’ottobre del 2017, trasferiti nell’hotspot di Lampedusa e lì trattenuti per dieci giorni senza ricevere informazioni sulla loro condizione giuridica o sul diritto a chiedere asilo.

Si sono trovati in condizioni di estremo disagio, dormendo all’aperto e senza un numero di bagni adeguato per il numero di persone presenti.

Cutro Nizza 3.
Immagine di ANSA/Andrea Fasani.

Successivamente, essendo stati informalmente classificati come migranti “irregolari” sono stati prelevati dall’hotspot e costretti a firmare un provvedimento di respingimento differito di cui non hanno ricevuto copia.

Dopo averli trasferiti all’aeroporto di Palermo, le forze dell’ordine li hanno ammanettati con le fascette di velcro e ricondotti forzatamente in Tunisia il giorno stesso. La Corte ha rilevato la violazione degli artt. 3 e 5 Cedu e dell’art. 4 Prot. 4 Cedu, che riguardano il divieto di tortura, il diritto alla libertà e alla sicurezza e il divieto di espulsioni collettive.

…E quella di chi resta

Per chi riesce a rimanere nel Paese le cose non vanno meglio. Nel 2021 i cittadini di nazionalità straniera costituivano circa l’8,5% della popolazione italiana e oltre il 10% della forza lavoro del Paese. Nonostante il loro importante contributo, che secondo le stime della fondazione Leone Moressa nel 2020 ha rappresentato il 9% del Pil nazionale, si trovano ancora mediamente in condizioni lavorative peggiori rispetto agli italiani.

Svolgono lavori meno qualificanti, con salari medi inferiori, e si trovano più spesso coinvolti in situazioni lavorative di sfruttamento. L’agricoltura è l’ambito in cui sono maggiormente occupati; si tratta di uno dei settori che presentano la maggiore incidenza di rapporti lavorativi di breve durata e di lavoro non regolare, e dove dunque si verificano più fenomeni di illeciti e sfruttamento ai danni dei lavoratori, come nel caso del caporalato.

Esiste inoltre una bassa corrispondenza tra la qualifica e il titolo di studio: tra i cittadini stranieri l’incidenza della sovraqualificazione è marcatamente più elevata rispetto agli italiani. Secondo l’ultimo aggiornamento Eurostat, infatti, nel 2020 il 18% degli italiani svolgeva un lavoro che richiedeva qualifiche più basse rispetto a quelle possedute, mentre il dato saliva al 47,8% nel caso degli stranieri comunitari e al 66,5% tra quelli non comunitari.

Ingenuità o malafede?

Secondo quanto riferito dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) il primo trimestre del 2023 è stato il più mortale per i migranti che hanno attraversato il Mediterraneo dal 2017, con 441 persone morte nel tentativo di raggiungere l’Europa.

Decine di persone muoiono ogni giorno davanti alle nostre coste e noi ci abbiamo fatto l’abitudine. In un Paese come il nostro è accettabile che a ricoprire la carica di Ministro degli Interni ci sia una persona che, a seguito del naufragio di Cutro, dove hanno perso la vita quasi cento persone, pontificava su una fantomatica educazione alla responsabilità, principio etico che dovrebbe impedire le partenze.

Piantedosi, infatti, affermava che quando si è in queste condizioni non bisogna nemmeno partire. Alla domanda “se lei fosse disperato, non cercherebbe di raggiungere l’altra parte del mondo anche con queste condizioni del mare?” lui, perentorio, rispondeva: “No, perché sono stato educato anche alla responsabilità”.

Queste parole vengono pronunciate con la consapevolezza che le persone sono spinte a partire perché nei loro Paesi di provenienza i diritti fondamentali vengono sistematicamente violati. Queste persone hanno subito violenze, stupri, torture o persecuzioni e partono nonostante sappiano che potrebbero perdere la vita e che, in molti casi, potrebbero perderla anche i loro figli.

Provvedimenti come il Decreto Cutro non fanno altro che rendere più difficile l’accoglienza dei migranti, con l’unico risultato di aumentare le persone in condizione di irregolarità.

Sono le stesse conseguenze che hanno avuto i Decreti Sicurezza di Salvini e la legge Bossi-Fini, che in più di vent’anni nessuno ha mai modificato, nemmeno dalla sinistra. La condizione di irregolarità rende sostanzialmente impossibile l’integrazione dei migranti, che spesso faticano a trovare un lavoro diverso dallo sfruttamento.

Una scelta ideologica

Impedire alle persone che arrivano di regolarizzare la loro condizione, sfibrando qualsiasi tessuto di supporto, le getterà tra le braccia dell’illegalità e della criminalità organizzata. Si tratta di scelte politiche fortemente ideologiche e irrazionali, prese in nome della garanzia di una sicurezza inafferrabile.

Questa criminalizzazione dei flussi migratori non ha ragion d’essere: se ci fosse la volontà politica di creare dei canali legali per la gestione delle partenze e si potenziassero i servizi di seconda accoglienza, si potrebbe tutelare la sicurezza dei migranti e creare un sistema virtuoso da cui trarre benefici.

L’ultimo rapporto di bilancio del Ministero dell’Economia e delle Finanze rivela che se gli stranieri aumentassero del 33% nei prossimi cinquant’anni, il debito pubblico potrebbe ridursi di oltre venti punti. Inoltre, è noto che l’accoglienza dei migranti potrebbe aiutare a risolvere, almeno in parte, il problema del calo delle nascite e dell’invecchiamento del nostro Paese.

In conclusione, il Decreto Cutro è un sostanziale ritorno ai Decreti Sicurezza, fortemente criticati in quanto costituivano un ostacolo insormontabile per poter avviare un qualsiasi percorso di inclusione.

Finché sarà questo lo spirito sotteso al dibattito pubblico e alle norme in materia di immigrazione, centinaia di persone continueranno a morire nel Mediterraneo e noi continueremo a credere che siano loro il vero problema di questo Paese.

Sara Nizza

(In copertina strage di Cutro, immagine di EPA/CARMELO IMBESI, da Corriere del Ticino)

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