Chiunque possieda minimi rudimenti di psicologia, sarà a proprio agio con i cinque stadi del dolore secondo Elisabeth Kübler-Ross: diniego, rabbia, negoziazione depressione e accettazione. “Gag order”, il quinto album di Kesha, si pone in un certo senso a metà tra negoziazione e depressione. Ma andiamo con ordine.
Qualche premessa
Dal debutto sulle scene e dalla consacrazione a regina della pista da ballo, con brani generazionali come Tik Tok o Die Young, la strada che ha portato Kesha a Gag order è stata oltremodo tortuosa.
Quando dominava le radio con questi singoli, una marea di hater le si scagliarono contro, definendola priva di talento, alla ricerca di attenzioni, senza nessuna linea artistica da promuovere, eccessiva, sguaiata, fuori luogo. A tali critiche, Kesha ha sempre risposto in modo diretto e senza giri di parole.
I’ve decided all the haters everywhere can suck my dick.
Let ‘Em Talk
Dal 2014, Kesha è stata impegnata in una lunga battaglia legale in seguito alle accuse di abusi sessuali ed emozionali nei confronti di Dr. Luke, con un susseguirsi di processi che hanno portato il caso ad essere dismesso. Da luglio, andrà in tribunale la causa per diffamazione intentato dalla controparte.
Di cosa parla questo “Gag order”?
Se Rainbow, album del 2017, nasceva dallo stadio della rabbia in seguito a questi momenti, quello che emerge in Gag order è a metà tra la negoziazione e la depressione.
Kesha si affida alla produzione di Rick Rubin, sorretta in alcuni pezzi da alcune collaborazioni.
Il disco che dipingono appare sbiadito, come una giornata di pioggia sottile che sembra però non schiarisce mai.
L’artista rimane “troppo”, in questo disco come spesso nella sua carriera, partendo dall’uso estremo della voce, arrivando all’utilizzo di sintetizzatori violenti, fino alla cassa in quattro votata allo sfinimento.
Tuttavia, la caratterista principale di questo disco è che il troppo appare comunque in bianco e nero, con il volume a metà, con la trasparenza accentuata, come se ci fosse un vetro opaco in mezzo ad attenuarne colori e rumori.
Kesha è troppo, sì, ma è un troppo che viene attutito, quasi come fosse intervenuto qualcuno con dei rimedi caserecci per mitigarne l’effetto finale. Nonostante questo, o forse proprio grazie a questo, Gag order è un disco che si deposita nello stomaco e nella pancia, più che nelle orecchie.
Alla fine dell’ascolto rimangono versi sparsi e una forte empatia nei confronti di un processo di salvezza e autoconsapevolezza estremamente complicato. In Rick Rubin, tanto produttore quanto guru, Kesha ha trovato un compagno pronto ad assecondarne le derive spirituali, e l’eccentricità della produzione è votata a metterle in risalto.
L’inizio di tutto
I primi quattro brani dell’album si costituiscono di poche frasi ripetute incessantemente, una produzione quasi essenziale, un’atmosfera plumbea, scura e tempestosa, a tratti quasi intimidatoria.
In Eat the acid, pezzo composto dall’artista e presentato in anteprima con una live su Instagram, Kesha canta “you don’t wanna be changed like it changed me”, mostrando senza riserve le ferite non ancora rimarginate.
In Living in my head, uno dei brani più riusciti, uno spettrale coro accompagna la voce dell’artista mentre dice di non voler rimanere “stuck in my head anymore”.
Un rimando diretto alla controversia legale e a tutte le difficoltà che in questi anni le hanno cambiato la vita arriva nei versi conclusivi di Fine Line, polemici e sarcastici.
“There’s a fine line between what’entertaining / and what’s just exploiting the pain / buy, hey, look at the money we made off me”.
A metà dell’album
Tuttavia, le sentenze, i dolori e le perplessità proseguono ben oltre l’inizio dell’album. Circa a metà è collocata la sorprendente Only love can save us now, pezzo ultra-contemporaneo in cui Kesha rappa su una base che ricorda un registratore di cassa impazzito.
Prima di aprirsi in un liberatorio e comunitario ritornello, l’artista ricorda una connazionale che, dopo anni di odio ricevuto, dichiarò di non poter più rispondere al telefono, perché morta.
Il troppo di Kesha si snoda nel resto dell’album da The Drama, nei cui credits figurano ben otto nomi, tra cui quello di Kurt Vile, passando per Peace & Quiet, fino ai personaggi che prendono parte al lavoro, dal prete neo-pagano Oberon Zell, che l’artista ha incontrato nel suo podcast Kesha and the creepies, al filosofo new age Ram Dass, protagonista dell’omonimo interludio, fino al mistico Osho, campionato in All I need is you.
Verso la fine
Sorprendentemente, l’epilogo del disco è diretto e sembra quasi virare verso la fase dell’accettazione. Hate me harder è l’attesa power ballad-manifesto del disco. “There’s nothing left that I haven’t heard / and I can take it, so make it hurt / hate me harder”, canta Kesha, rassegnata e scesa a patti con un’esistenza piena di odio che ingiustamente le è piovuto addosso e continua a farla.
Tuttavia, la sua è una calma zen: afferma di saper sopportare tutto questo e lo fa con una produzione minimale e pulita che ne risalta la voce calda e familiare.
Per poi concludere con Happy, il pezzo delle ambizioni che cambiano crescendo, a volte per scelta, altre per necessità – “if you ask me now, all I’ve wanted to be is happy”.
Se negli anni molti artisti si sono guadagnati uno spazio discografico personale, è indubbio che Kesha non stia da nessuna parte entro quei confini. Piuttosto, sta all’interno del suo mondo, fatto di contraddizioni, di ambivalenza, come scritto da Pitchfork, di eccessi, di spiritualità, di ricerca della salvezza e di percorsi di consapevolezza di sé.
Gag order è un disco a tratti involuto e sicuramente complesso, ma è una testimonianza imperfetta, e perciò incredibilmente umana, della reazione di Kesha al dolore. Si ha l’impressione che un artista, dal dolore, debba sempre concepire solo dei capolavori ineccepibili. Ma quando il dolore è così grande, che già sopravviverci è un traguardo, se anche dovesse rimanere solo qualche frase scritta sulla pietra, credo sia assolutamente abbastanza.
Filippo Colombo
(In copertina e nell’articolo immagini promozionali dell’album Gag order di Kesha, diritti di RCA Records)
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