Da Nusantara in Indonesia alla Nuova Capitale Amministrativa dell’Egitto, sono tante le nuove capitali futuristiche progettate per prendere il posto di vecchie città diventate ormai invivibili. Il fenomeno è abbastanza evidente, e si vede anche da Brasilia, Abuja, Naypyidaw e tante altre. Il rischio, come al solito, è generare città artificiali che non risolvono i problemi, ma li ripresentano uguali a prima.
Il progetto di Nusantara
È il 1° gennaio 2020 a Giacarta, Indonesia. I residenti della capitale hanno appena terminato le celebrazioni per l’anno nuovo, quando la città viene travolta dall’ennesima inondazione che provoca 16 vittime e decine di migliaia di sfollati. Non è la prima volta che la città vive questo tipo di catastrofi naturali.
È un’emergenza già avvenuta in vari anni, le ultime volte nel 1996, 1999, 2007 e nel 2013, complici le forti stagioni delle piogge, una rete di scarico insufficiente e le carenze infrastrutturali della città. Come se non bastasse, ogni anno la metropoli indonesiana sprofonda di vari centimetri, e parte della città si trova già sotto il livello del mare.
La subsidenza di Giacarta è da attribuire alla cattiva gestione della falda acquifera sottostante. Infatti, il veloce aumento della domanda di acqua ha spinto le autorità cittadine a estrarne grandi quantità dal sottosuolo, provocando così il cedimento del suolo.
Salendo in superficie, la capitale vive altri seri problemi: il traffico congestionato si stima che costi 5 miliardi di dollari di perdite economiche all’anno e la qualità dell’aria è tra le peggiori al mondo. Inoltre, il sovraffollamento urbano rende impossibile muoversi a Giacarta, una metropoli che ha superato i 10 milioni di abitanti.
Per lasciarsi alle spalle Giacarta e i suoi problemi, il governo indonesiano ha deciso di costruire una nuova capitale nel Kalimantan orientale, sull’isola del Borneo. Nusantara, questo il nome della nuova città, occuperà una superficie di 180.000 ettari ed è previsto che costerà 32.7 miliardi di dollari.
Essa si troverà in una posizione più centrale nell’arcipelago indonesiano e dovrà diventare un hub economico e istituzionale più “neutrale”, vicino alle regioni spesso dimenticate del Paese.
La costruzione di Nusantara si focalizzerà su spazi verdi, soluzioni green e sostenibili. Tuttavia, la deforestazione, i rischi per la biodiversità e lo sfruttamento scellerato delle risorse minerarie della zona restano le maggiori preoccupazioni, oltre al pericolo della corruzione e dell’eccessivo indebitamento. Si teme che la costruzione di Nusantara si riveli un fiasco, mentre la vecchia capitale verrà lasciata a sé stessa.
Egitto: lo spostamento di una capitale millenaria
Con l’Indonesia, un altro gigante demografico in via di sviluppo sta costruendo una nuova capitale futuristica per sfuggire all’invivibilità di quella attuale. Si tratta dell’Egitto, la cui capitale e città più popolosa conta più di 20 milioni di abitanti in tutta l’area metropolitana.
Il Cairo, e in generale tutta la regione del delta del Nilo, è una delle aree più popolose dell’Africa e del mondo. L’aria è irrespirabile e le risorse poche. Il suo immenso peso demografico non accenna a rallentare e ha reso l’Egitto il primo importatore di grano al mondo.
Nel 2015, il governo di al-Sisi ha annunciato il trasferimento della capitale in un’area disabitata a 45 km a est dal Cairo. Ancora senza nome, la nuova capitale ospiterà fino a 5 milioni di persone, diventando la sede delle istituzioni egiziane, nonché delle rappresentanze straniere.
Inoltre, la sua ubicazione permette di avvicinarsi al Canale di Suez, arteria commerciale fondamentale per l’economia del Paese, e alla penisola del Sinai, politicamente instabile e lontana dal controllo del Governo. Ma soprattutto, per il governo egiziano la Nuova Capitale Amministrativa rilancerà il prestigio dell’Egitto come potenza economica e culturale nel mondo arabo.
Brasilia: il destino delle nuove capitali
È risaputo che in linea generale i Paesi di Asia, Africa e America Latina hanno ereditato i confini tracciati dalle ex-potenze coloniali. Ma non solo, spesso i nuovi Stati hanno mantenuto anche le stesse capitali, negli anni divenute sovraffollate e con grossi problemi sociali e ambientali. E, soprattutto, la loro posizione geografica spesso era funzionale solo per il commercio con l’ex-madrepatria e per lo sfruttamento economico.
Infatti, le amministrazioni coloniali non avevano previsto di impiantare delle città adatte a ospitare le istituzioni di una nazione futura. Le capitali coloniali penalizzavano lo sviluppo delle regioni più remote dell’entroterra, mentre nelle aree costiere sorgevano poli commerciali attrattivi per la popolazione rurale e per l’immigrazione da altri Paesi. Brasilia è sicuramente tra gli esempi più conosciuti di città pianificate al mondo.
Apparsa in sogno al sacerdote Don Bosco, oggi la capitale federale del Brasile conta più di 3 milioni di abitanti ed è la sede del Governo e del Congresso. La città avrebbe dovuto promuovere le regioni interne del Brasile, meno sviluppate rispetto ad altre città costiere come Rio de Janeiro (l’ex capitale) e San Paolo. Vero gioiello architettonico, la città divenne capitale nel 1960, diventando patrimonio dell’UNESCO nel 1987.
Con la sua caratteristica forma ad aeroplano, secondo i progetti originali di Lúcio Costa, Brasilia avrebbe dovuto seguire una divisione a seconda delle funzioni della città.
In parte, oggi questa suddivisione ferrea si ripresenta con le gravi disuguaglianze sociali tra i vari quartieri della città. Alcune aree sono ricche e sviluppate, mentre le periferie confinano la popolazione più povera fuori dal centro.
Da Abuja a Naypyidaw
La segregazione e le disuguaglianze sono un tratto comune a molte capitali costruite ex novo. Anche la città di Abuja, la nuova capitale della Nigeria progettata dall’architetto giapponese Kenzo Tange, oggi vive questo problema.
Inizialmente Abuja, che ha sostituito Lagos nel 1991, era stata progettata in una posizione geografica centrale ed etnicamente “neutra”. Da lì, le istituzioni nigeriane avrebbe potuto irradiare il potere politico a tutto il resto del Paese.
Tuttavia, attorno al centro amministrativo si sono concentrati gli slum dei nuovi arrivati, attratti dalle opportunità economiche di una città con dei costi immobiliari proibitivi. Naypyidaw, dal 2005 la nuova capitale del Myanmar, presenta gli stessi problemi di Brasilia e Abuja. Tuttavia, a poca distanza dalle baraccopoli si ha uno scenario paradossale. Per chilometri, i caratteristici viali a 20 corsie si perdono nell’orizzonte, costruiti per un traffico che nella capitale birmana è inesistente.
Infatti, la città è praticamente sotto-abitata rispetto agli spazi che offre, come parchi, piazze e monumenti architettonici, che rimangono per lo più vuoti. In altre parole, Naypyidaw è una vera cattedrale nel deserto. L’enorme spesa del governo birmano è servita a costruire una città fantasma di solo un milione di abitanti, che si estende per 7.054 chilometri quadrati, ossia un’area grande circa cinque volte New York.
Grandeur e prestigio, ma si risolvono i problemi?
La costruzione di nuove capitali pianificate in zone prima disabitate è una decisione tipica dei Paesi sorti dalla decolonizzazione o comunque di recente indipendenza. Oltre ai casi visti finora, anche Canberra in Australia, Nuova Delhi in India, Islamabad in Pakistan, Belmopan in Belize e Astana in Kazakistan sono tutte capitali costruite a tavolino. Negli ultimi anni anche Corea del Sud e Guinea Equatoriale si sono mobilitate per edificare una nuova capitale.
Queste scelte possono nascere per i più disparati motivi. Oltre ai problemi di infrastrutture, inquinamento e congestione del traffico nelle vecchie capitali, i governi possono preferire dei punti strategici nel territorio nazionale per consolidare il proprio potere. Ma, se le nuove capitali possono essere frutto del pragmatismo dei leader nazionali, possono esserlo anche dei loro capricci.
L’attuale capitale della Guinea Equatoriale, Malabo, si trova sull’isola di Bioko, a quasi 200 km dal resto del Paese posto sul continente. Tuttavia, il progetto della nuova capitale equato-guineana Oyala o Ciudad de la Paz è l’effetto delle paranoie del presidente Teodoro Obiang, che teme che Malabo non sia abbastanza sicura contro possibili tentativi di golpe.
Inoltre, le costosissime nuove capitali possono servire a promuovere la reputazione esteriore dei governi, mostrandosi come istituzioni solide, a capo di nazioni innovative e dinamiche. Spesso vengono ingaggiate archistar di prestigio mondiale e imprese internazionali specifiche del settore. E talvolta le nuove città futuristiche includono soluzioni sostenibili e green solo di facciata.
È il caso della controversa smart city di Neom, conosciuta come “The Line“, sulla costa del Mar Rosso dell’Arabia Saudita. Si tratterebbe di un agglomerato pianificato su una linea che taglierebbe il deserto per 170 km di lunghezza e 200 metri di larghezza. Va da sé che i dubbi espressi riguardo la pianificazione della città sono molteplici e la proclamata sostenibilità ambientale della stessa è stata definita naïve e superficiale.
Ad ogni modo, le nuove capitali vogliono mettere una pezza sui problemi delle vecchie capitali, che non solo vengono ignorati, ma spesso finiscono per raggiungere le nuove città, con delle pianificazioni incomplete che lasciano spazio al sovraffollamento, al disordine urbano e alle disuguaglianze sociali. In questo senso, le ambiziose capitali di molti Paesi finiscono per generare città artificiali con asimmetrie inedite, se non con le stesse problematicità di partenza rimaste irrisolte.
Massimiliano Marra (Sistema Critico)
(In copertina nuova capitale amministrativa dell’Egitto, da New York Times)
Nusantara, Naypyidaw e le altre – Il tempo delle nuove capitali è un articolo realizzato in collaborazione con Sistema Critico. Un gruppo di studenti universitari che si pone come obiettivo il racconto del reale in modo critico e giovanile, avvicinando le persone alle questioni che il mondo ci pone ogni giorno.