Le ultime indiscrezioni lasciano intendere che, entro il mese di maggio, il Governo varerà il DPCM relativo al percorso per l’acquisizione dai 60 CFU per l’insegnamento. Purtroppo, però, come spesso accade in questo ambito, non c’è ancora chiarezza su cosa realmente comporterà l’attivazione dei 60 CFU e si sta seriamente rischiando di complicare, e non poco, la vita agli aspiranti insegnanti.
La riforma di luglio 2022
La riforma del reclutamento del personale scolastico era nell’aria da tempo. Il vecchio percorso, che prevedeva il conseguimento dei 24 CFU nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie didattiche come requisito fondamentale per l’accesso ai concorsi pubblici e alle graduatorie provinciali per le supplenze (GPS), da diversi anni era osteggiato da molti esponenti della politica in quanto ritenuto poco efficace nella formazione reale dei futuri docenti.
Lo scorso luglio si è arrivati quindi ad una riforma che prevedeva la creazione di un nuovo percorso di formazione di 60 crediti (equivalente quindi ad un intero anno di università), di cui 30 CFU di tirocinio.
Tuttavia, a causa della deposizione del Governo Draghi e del conseguente clima di instabilità politica che ha portato alle successive elezioni di settembre, i decreti attuativi della riforma sono stati letteralmente dimenticati per mesi.
Purtroppo, da molti anni l’istruzione sembra non essere più una priorità per i vari governi che occupano Palazzo Chigi. Ora però il tempo stringe, dal momento che da questa riforma dipende una parte dei finanziamenti del PNRR.
Sembra quindi che il Governo Meloni voglia dare un’improvvisa accelerata all’attuazione della riforma proprio per evitare di perdere parte dei fondi europei.
Il problema fondamentale riguarda il mancata collaborazione tra il ministero guidato da Giuseppe Valditara e i Rettori delle università. Sembra infatti che il Governo voglia procedere senza un confronto con le università sulle future modalità di attuazione dei percorsi da 60 CFU.
Cosa dobbiamo aspettarci?
Chiaramente non è possibile sapere quale sarà il contenuto esatto del testo del DPCM. Tuttavia, il provvedimento in uscita dovrà senz’altro definire gli aspetti rimasti sospesi nella Riforma Bianchi.
Prima di tutto, dovranno essere chiariti i contenuti e la strutturazione pratica del percorso formativo. In particolare, dovranno essere specificati i seguenti punti critici:
- Come si debba procedere con i tirocini per un totale di almeno 20 CFU. Da notare che ad ogni credito formativo corrispondono circa 12 ore di attività in classe, tra l’altro non retribuite;
- Quale sia il numero di crediti da riservare alla formazione inclusiva delle persone affette da disabilità;
- Come si svolgerà la prova finale, al termine del percorso. Per questo, è essenziale capire se ci sarà una ripartizione in una prova scritta e in una orale e se sarà indicata una percentuale di presenza alle attività del corso, al di sotto della quale non è possibile affrontare la prova finale.
Per quanto riguarda i vecchi 24 CFU, al momento sembra che verranno riconosciuti come validi. Il problema sarà capire quindi cosa dovranno fare tutti coloro che li hanno conseguiti e che quindi avrebbero solo bisogno di integrare i crediti rimanenti con parte del percorso complessivo.
Infatti, stando a quanto stabilito nei mesi precedenti, i 24 CFU, se conseguiti entro il 31 ottobre 2022, rappresentano ancora un titolo di accesso necessario alle GPS che saranno riaperte nella primavera del 2024.
Quindi è prevedibile che ci sia una fase transitoria, probabilmente fino all’inizio del 2025, in cui i 24 CFU saranno necessari anche per l’iscrizione ad eventuali bandi di concorso in uscita. Si spera che anche questa questione spinosa sia oggetto di chiarimenti da parte del DPCM imminente.
La possibile “stangata” per i futuri docenti
Attualmente il problema delle cattedre vacanti è molto serio. Si stima che, in tutta Italia, ci sia una carenza di oltre 200.000 insegnanti. Purtroppo, però, la situazione pare destinata a peggiorare, perché l’introduzione di questa nuova riforma porterà sicuramente ad un processo di reclutamento dei docenti sempre più macchinoso e complesso.
Il progetto iniziale del ministero era di portare a compimento, entro il 2025, ben 70.000 assunzioni di ruolo. Questo ritardo nell’attuazione della nuova riforma però potrebbe generare un evidente ritardo nel conseguimento dell’obiettivo.
In quest’ottica la mancata consultazione delle università è un’ulteriore fonte di incertezza. Potrebbero infatti venire a mancare i tempi necessari per poter organizzare dei corsi adeguati al percorso previsto dai 60 CFU.
Per questo motivo è possibile che il DPCM consenta alle università di fare uso della didattica a distanza per il 35-40% delle ore totali di insegnamento previste. Questa soluzione sembra essere una sorta di “tappabuchi” che aggirerà il problema solo in parte.
L’aspetto più grave di tutta questa manovra avventata è il fatto che con buona probabilità, le spese per il corso relativo ai 60 CFU saranno a carico degli aspiranti docenti. Tutto ciò è assolutamente inaccettabile.
Di fatto è inconcepibile che per accedere ad un concorso pubblico si venga costretti a gestire delle spese per le quali non è ancora certa una tutela basata sull’indicatore ISEE.
Il rischio è che i crediti necessari al conseguimento dei futuri 60 CFU non possano essere conseguiti durante gli anni dell’università ma solo con un master successivo alla laurea a pagamento. Tutto ciò è un vero e proprio schiaffo a tutti coloro che aspirano a diventare docenti.
Un futuro pieno di dubbi
La riforma messa in atto da Bianchi e che ora è al vaglio dell’autorità di Valditara e del suo entourage pare proprio l’ennesima presa in giro nei confronti del mondo della scuola.
Purtroppo, nel nostro Paese da tempo non si dà la giusta importanza al ruolo dei docenti.
Con queste nuove trovate parecchio discutibili si rischia davvero di rendere molto più complicato il cammino per diventare insegnati, già di per sé lungo e tortuoso.
Quanto meno è fortemente auspicabile che, se effettivamente si procederà in questa direzione, i futuri corsi attivati abbiano dei costi calmierati. Solo così si potrà garantire a tutti la possibilità di intraprendere questa carriera.
Altro aspetto da non sottovalutare è la possibilità che questi percorsi formativi sia a numero chiuso. In questo caso potrebbero nascere ulteriori problemi nella gestione dei requisiti di accesso ai corsi stessi.
Tutto ciò potrebbe quindi rappresentare un ulteriore ostacolo agli obiettivi di molti studenti. Chiaramente, andando avanti così, la probabilità che si possa risolvere il problema delle cattedre vacanti nel giro di pochi anni rasenta lo zero.
Diego Bottoni
(In copertina Philippe Bout da Unsplash)
Per approfondire le sfide della scuola nel nuovo millennio, leggi le interviste di The school must go on, a cura di Clarice Agostini.