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Taiwan e dintorni – II segreto per comprendere questo secolo

Taiwan Cina Stati Uniti

Un detto recita: “Passando per la Crimea Cavour ha fatto l’Italia”. Ebbene, a più di un secolo e mezzo di distanza, si potrebbe dire: “Passando per Taiwan Xi Jinping ha cambiato il mondo”.


I cambiamenti che si stanno profilando negli ultimi tempi ormai non risparmiano nessuno. Se i leader del mondo volessero anche soltanto giocare la partita per definire i prossimi equilibri globali, Taiwan sembra essere una tappa necessaria.

La seconda guerra fredda

A partire dal 2018 gli storici e gli studiosi hanno iniziato a parlare di “seconda guerra fredda”. È doveroso sottolineare la forte distinzione che la divide dalla prima (1947-1991). Durante quest’ultima, il mondo ha assistito a uno scontro sostanzialmente bipolare, con il blocco Nato-occidentale pro-USA opposto a quello del patto di Varsavia pro-URSS.

Invece, la situazione attuale è molto più complessa e definita dagli addetti ai lavori come “multipolare”. Questa idea non è ancora condivisa, o almeno non in tutto il mondo; basta vedere il sondaggio effettuato dall’ECFR (European Council of Foreign Relations).

La maggior parte degli abitanti di alcune potenze regionali con pretese imperialistiche (Russia, Cina, India, Turchia) pensa che nel futuro il mondo sarà segnato da conflitti multipolari; mentre, al contrario, i cittadini delle potenze occidentali (USA, UK, EU9) vedono il mondo segnato da un conflitto ancora bipolare, con a capo dei rispettivi schieramenti Cina e USA.

È molto probabile che abbiano ragione gli abitanti delle nuove potenze, e la principale organizzazione trans-nazionale che li rappresenta è quella dei Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), ai quali potrebbero aggiungersi presto l’Arabia Saudita e l’Iran.

Tutto questo in contemporanea alla decadenza del G7, che una volta dominava le decisioni mondiali, compito che ora ha pienamente assunto il G20.

Ad oggi sono emersi numerosi nuovi attori, desiderosi di prendersi la loro rivincita contro il ricco Occidente in declino.

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Foto: Unsplash.

La via pragmatica

La maggior parte di queste potenze regionali (o semplicemente dei Paesi non occidentali) non si sta però ancora schierando, come sottolinea l’analisi dell’Economist: per il conflitto Russia-Ucraina, 52 Paesi sono contro la Russia, supportata invece da solo 12 nazioni.

Tuttavia, il partito dei neutrali – o, per definirli meglio, dei “non allineati” – vince su tutti, contando ben 127 Paesi, capeggiati da Arabia Saudita, Brasile, India, Turchia e Sudafrica.

Il motivo di tanta neutralità, anche tra attori internazionali decisivi, è dovuto a mere questioni pratiche; non è più l’ideologia a favorire un lato rispetto a un altro, quanto gli effettivi vantaggi economici e la possibilità di ritagliarsi un ruolo sempre più importante nell’ordine mondiale futuro.

Ognuno attende, e punta soltanto a ingrandire l’influenza del proprio Paese, senza molti scrupoli. Queste posizioni sono però comprensibili, e dovute a scelte pragmatiche, non in base a schieramenti ideologici prefissati.

Il presidente francese Macron ha aperto recentemente una nuova discussione che, in seguito al trilaterale in Cina seguito anche dalla presidente della commissione europea Von der Leyen, ha consegnato senza tanti giri di parole al presidente Xi Jinping la neutralità della Francia sul caso Taiwan.

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Foto: ItaliaOggi.

Macron ha rilanciato la sua idea di autonomia strategica europea, segnata anche da un sostanziale distaccamento dagli obiettivi americani. Una posizione che ha innervosito non pochi, tra i quali anche la stessa presidente della commissione europea.

Von der Leyen ha invece mantenuto salda la barra sulla direzione europea pro-Nato, e non a caso adesso sembra una dei candidati più forti per succedere all’attuale segretario generale, Jens Stoltenberg, il cui incarico finirà a settembre 2023.

La posizione neutrale di Macron non è però una novità, se confrontata alla recente storia francese: De Gaulle rinunciò ai suoi compiti all’interno della NATO, e similmente Chirac non partecipò alla guerra in Iraq. Macron segue pedissequamente il manuale del “buon autonomista europeo” scritto dai suoi predecessori.

Tensioni diplomatiche

Si profila, quindi, sempre più chiaramente uno scontro che vedrà contrapposti la Cina e gli Stati Uniti, supportati dagli alleati nel Pacifico, ovvero India, Giappone, Australia, Filippine e Indonesia. La premier taiwanese Tsai Ing-Wen in questo mese è stata in visita in alcuni Paesi del Centroamerica (Guatemala e Belize) e negli Stati Uniti, dove ha incontrato lo speaker della camera Kevin McCarthy, carica seconda solamente a quella del presidente Joe Biden.

Il predecessore di McCarthy, la democratica Nancy Pelosi, era andata a Taiwan per ricordare che gli USA avrebbero sempre supportato la democrazia taiwanese. Entrambe le volte la Cina ha risposto duramente: nel primo caso con il lancio di alcuni missili a scopo dimostrativo; nel secondo con una esercitazione militare durata 72 ore, nella quale sono stati utilizzati oltre 100 aerei da guerra armati. Finita l’esercitazione cinese, ne è iniziata una congiunta tra le Filippine e gli Stati Uniti, con l’impiego di oltre 18.000 militari.

Incontro tra Kevin McCarthy e la Presidente Taiwanese Tsai Ing-wen.

Dal caso diplomatico del pallone spia cinese le relazioni tra le due superpotenze sono sempre più tese, ed evitare la guerra pare ormai un obiettivo lontano.

Il momento dello scontro

Nessuno sa quando Xi Jinping attaccherà, anche se è possibile fare qualche previsione. Sicuramente Taiwan dovrà tornare nei confini cinesi entro il 2027, quando scadrà il terzo mandato del presidente cinese.

La competizione economica tra le due potenze mondiali aveva già segnato i rapporti. Lo scontro diretto era ancora in un futuro lontano e non ben definito, anche se già allora ci si stava preparando per migliorare e addestrare l’esercito cinese.

Ma ora Xi ha promesso al partito comunista di riuscire nell’impresa, e da questo dipende la buona riuscita del suo operato. E infatti questi dieci anni di preparazione hanno dato i loro frutti, e l’opinione degli esperti è unanime. La guerra di Taiwan sarebbe persa in appena quattro settimane, senza alcuna possibilità di controffensive.

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Foto: The New York Times.

L’esercito americano è arretrato, interi battaglioni di bombardieri progettati 40 anni fa sono ancora in servizio. Come gli A10 Warthog, ormai inutili per una guerra moderna. Non a caso, la necessità di ammodernare l’esercito è uno dei pochi programmi condivisi dal partito repubblicano e da quello democratico.

Proprio per questa divergenza di interessi tra Europa e Oceano Pacifico è sempre più probabile che gli aiuti degli USA per l’Ucraina subiscano una drastica diminuzione. Se non un completo azzeramento, come i maggiori candidati repubblicani per le prossime elezioni presidenziali promettono di fare.

È chiaro quindi che a Taiwan si deciderà tutto, compreso il futuro della Nato nel caso in cui si verifichi una rottura tra obiettivi pacifici e atlantici. Ciò porterebbe alla “indipendenza strategica” tanto auspicata da Macron, anche se al momento l’Europa non sembra pronta per gestire tale sfida.

Noi abitanti del vecchio continente rischiamo di diventare sempre più marginali all’interno della scacchiera mondiale, dovendo aspettare le mosse di altri attori e sperando che il nostro destino non sia subordinato a una possibile nuova superpotenza, la Cina.

Gabriele Cavalleri

(In copertina Getty Images, da forbes.it)

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