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Gli effetti della pandemia sul cervello dei giovani

Pandemia cervello copertina

Di recente si è sentito parlare spesso di “tsunami” di problemi di salute mentale a causa del Covid-19, per quanto riguarda determinate fasce d’età. Se questa sia un’esagerazione o meno è ancora difficile da dire, ma a tre anni dall’inizio del lockdown la scienza prova a rispondere alle prima domande. Tra queste, ci si chiede se il cervello dei giovani abbia cambiato aspetto a causa della pandemia.


Un prima e un dopo

Che si celebrino o meno, gli anniversari sono una parte fondamentale della scansione del tempo in società. Ricorrenze di compleanni, fidanzamenti, proclamazioni di indipendenza, ma anche di catastrofi, guerre, eventi naturali… A questa lunga lista si è aggiunta in questo decennio un’altra importantissima data: il 9 marzo 2020.

Un giorno che ognuno di noi associa a un ricordo diverso, ma che segna l’inizio di un periodo senza precedenti che in un modo o nell’altro nessuno potrà dimenticare: il lockdown.

Tre anni dopo, ognuno ha ricostruito pezzo per pezzo la propria realtà e il 9 marzo 2023 è passato praticamente in sordina, come se fosse desiderio comune cancellare il ricordo e andare avanti senza rivangare il passato.

La lentezza a cui ci siamo abituati nei mesi di quarantena è stata cancellata nel giro di settimane ma, se anche a livello cosciente gli impasti fatti in casa e le infinite live di IG sembrano appartenere ad un tempo lontanissimo, il nostro corpo è ancora contaminato dalle tracce del lockdown. E proprio ora, la comunità scientifica inizia a tirare le prime somme.

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Foto: Gabriella Clare Marino da Unsplash.

Il “lockdown effect”

La pandemia, e i suoi risvolti, ha influenzato chi più chi meno, tutti. Ma è impossibile negare che ci siano delle categorie più colpite, in termini di età, genere, situazione economica e familiare, e così via.

Tra queste sicuramente quella dei più giovani, dai bambini in età preadolescenziale ai ventenni intenti a costruirsi un futuro; anni che sono fondamentali per imparare a relazionarsi con l’altro, a vivere in una dimensione sociale e quindi anche a costruire la propria identità e a compiere scelte fondanti per la propria vita.

Essere privati di tutto questo, all’improvviso, ha inevitabilmente prodotto un forte impatto, di cui ora si cercano di analizzare le conseguenze. Il mondo della ricerca, da subito attivo sul tema, si è concentrato su aspetti diversi del “lockdown effect”, dai cambiamenti nella vita di bambini in età elementare a fenomeni sociali quali gli hikikomori; dall’aumento di patologie come depressione, ansia e agorafobia al nuovo rapporto tra giovani e social.

A fine 2022 un team di ricercatori dell’Università di Stanford ha pubblicato un articolo in cui si confrontano i dati raccolti su salute mentale e caratteristiche neuroanatomiche del cervello di un gruppo di adolescenti prima del 2020 con quelli di un gruppo comparabile che aveva vissuto il lockdown dovuto alla pandemia. I circa 80 giovani che componevano ogni gruppo erano considerati sovrapponibili in termini di età, genere, situazione socio-economica e condizioni di stress associate all’infanzia.

L’unica differenza era, appunto, che uno dei due gruppi, chiamato peri-Covid, aveva attraversato gli anni del lockdown. I risultati emersi da questo studio dimostrano che di sicuro qualcosa è cambiato e che gli effetti più longevi del Covid-19 non sono i sintomi virali.

Cosa ci è successo?

Il primo dato d’interesse racconta che il gruppo peri-Covid presenta sintomi di depressione e ansia più gravi, e in generale maggiori difficoltà mentali rispetto al gruppo pre-Covid.

Tuttavia, i dati forse più sorprendenti sono legati a variazioni nella morfologia del cervello.

Nel gruppo peri-Covid, infatti, lo spessore della corteccia cerebrale risultava ridotto, mentre quello dell’amigdala e dell’ippocampo risultava aumentato.

Tali caratteristiche neuroanatomiche indicano un cervello più vecchio che riflette un’età cerebrale maggiore rispetto all’età anagrafica dei soggetti dello studio, come se gli anni della pandemia avessero accelerato la maturazione di questi individui.

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Grafico: ScienceDirect.

Il peggioramento della salute mentale nei primi mesi di lockdown è stato supportato da molti altri progetti di ricerca e analisi.

Tra questi, a titolo d’esempio, Mental Health and COVID-19: Early evidence of the pandemic’s impact (link), condotto dalla World Health Organization, o Students’ mental health problems before, during, and after COVID-19 lockdown in Italy (link), pubblicato sul Journal of Psychiatric Research da un team di ricercatori italiani.

Viene da chiedersi a questo punto quanto gli effetti riscontrati sul cervello siano a lungo termine o se invece si limitino a fasi ancora vicine nel tempo al “trauma” della pandemia.

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Su questo punto la comunità scientifica ancora non ha raggiunto una conclusione unanime anche se la tesi predominante è che la situazione sia tornata ad un livello pre-pandemico.

A conclusione, ad esempio, del paper italiano sopracitato si dice che i punteggi descrittivi dei sintomi di disturbi mentali “dopo il lockdown non erano diversi da quelli osservati prima del lockdown, il che suggerisce che l’allentamento del lockdown ha velocemente portato al miglioramento dei sintomi”.

Opinione questa che torna in molte pubblicazioni ma che è ancora una valutazione parziale e limitata.

Una ferita ancora aperta

Osservando la realtà che ci circonda, i giovani sono forse quelli che più di tutti si stanno riprendendo ciò che è stato loro tolto. Una delle caratteristiche più distintive dell’uomo è infatti la resilienza: la capacità di superare le crisi e ogni volta riprendersi.

La storia è piena di esempi di questo tipo, anche gli eventi più traumatici del nostro passato hanno attraversato le nostre vite per poi essere abbandonati. Quello che però troppo spesso dimentichiamo è che ogni battaglia lascia delle cicatrici, visibili o meno.

E questa battaglia, che ognuno di noi ha combattuto con sé stesso tra le mura di casa, ancora vivida e impressa a fuoco nella nostra memoria, ha messo in luce l’enorme problema della salute mentale nel XXI secolo, forse la vera grande lezione che il lockdown ci ha lasciato e che noi stiamo ancora faticando a recepire.

L’incapacità di garantire il supporto necessario a chi ne ha bisogno quando ne ha bisogno o la voragine che si apre sotto i piedi di chi cerca aiuto psicologico sono elefanti nella stanza di cui si è parlato tantissimo durante il lockdown ma che, ad oggi, si sta tentando di nuovo di nascondere tutto sotto il tappeto.

Nel 2022 il governo ha cercato di tamponare la ferita con l’istituzione del bonus psicologo, un aiuto economico per sostenere le spese di un percorso psicoterapeutico: oltre 300 mila richieste (di cui il 60% di giovani under 35) e la possibilità effettiva di soddisfarne solo una su dieci.

La pandemia può aver aggravato le tendenze, il lockdown ha portato all’estremo determinate situazioni, ma è chiaro che il problema esista, che affonda le radici in un passato molto più lontano e che non possa più essere ignorato. Più un albero cresce, più sarà difficile da sradicare.

Alice Nanni

(In copertina, per gli effetti della pandemia sul cervello, Gabriella Clare Marino da Unsplash)

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