La Francia torna in piazza, stavolta contro l’innalzamento dell’età pensionabile deciso dal presidente Macron: una misura necessaria, per la salute dei conti pubblici, ma fortemente impopolare. Si ripresenta quindi l’antico paradosso della democrazia, che troppo spesso scade nel populismo che fa solo male ai cittadini.
Potere del popolo
Quando si parla di politica, è importante interrogarsi sul suo fine ultimo: limitarsi a compiacere il popolo sempre e comunque oppure fare il bene dei cittadini, anche quando questi ultimi sono in disaccordo? L’Italia si è imbattuta in tale gravoso interrogativo nel 2011, allorché il governo Monti, per scongiurare il default, dovette approvare misure drastiche e impopolari volte a rimettere in ordine i conti sballati. Tra queste, si ricorda la legge Fornero, che alzò l’età pensionabile “standard” a 67 anni.
Oggi questo dilemma riaffiora osservando la situazione politica della Francia. Anche i nostri cugini d’Oltralpe sono alle prese col tema sempre rovente delle pensioni. La proposta del presidente Emmanuel Macron di alzare di due anni l’età per la quiescenza, da 62 a 64 anni, ha sollevato l’orgoglioso popolo francese, sempre pronto alle barricate fin dai tempi della presa della Bastiglia.
Posto che tante proteste popolari hanno contribuito a cambiare il corso della Storia – si pensi alla stessa Rivoluzione Francese –, davvero la piazza, priva dei filtri e delle mediazioni propri di una democrazia rappresentativa, può essere ritenuta “sacra” e inviolabile? È giusto che il “potere del popolo” sia totalmente illimitato? Prima di rispondere a tali domande, è giusto chiarire cosa c’è dietro le tensioni recenti.
Le pensioni francesi
In Francia, così come in Italia, vige il sistema contributivo: in sostanza, i contributi previdenziali versati mensilmente dai lavoratori vengono impiegati per pagare le pensioni alle persone collocate a riposo, le quali vengono calcolate sulla base dei contributi versati durante tutta la carriera lavorativa. Tale sistema presuppone ovviamente un equilibrio tra le pensioni versate dallo stato e i contributi dei lavoratori in carriera.
Attualmente oltralpe l’età pensionabile è fissata a 62 anni: un requisito divenuto insostenibile per le casse pubbliche, per l‘inflazione ma anche banalmente per l’aumento della speranza di vita. Da tempo era atteso un intervento del governo, che adesso è finalmente giunto.
La proposta di Macron e della sua prima ministra Elizabeth Borne prevede un progressivo innalzamento dell’età per la quiescenza di tre mesi ogni anno, fino a giungere a 64 anni nel 2030. Inoltre è prevista una riduzione dell’assegno per chi accetta di lasciare il lavoro prima di aver compiuto 65 anni e aver versato 40 di contributi: una misura che favorirebbe chi fa lavori poco usanti, come colletti bianchi o manager.
Tale proposta ha generato un fortissimo malcontento tra i francesi, storicamente battaglieri e pronti a tutto per manifestare la loro rabbia: senza scomodare la Rivoluzione Francese, basti pensare all’epopea dei Gilet Gialli, che tra il 2018 e il 2019 per diversi sabati hanno paralizzato l’Esagono. Le proteste per la riforma pensionistica sono state prevalentemente pacifiche, ma non sono mancati incidenti, lanci di lacrimogeni e incendi di automobili.
Inoltre, lo sciopero prolungato dei netturbini ha causato un accumulo di immondizia per le strade di Parigi, al punto che il governo ha dovuto disporre la precettazione degli scioperanti.
Un impasse politico
Fin dalla sua elezione, nel 2017, Emmanuel Macron è stato poco popolare tra i francesi: convintamente liberale e centrista, in molti gli hanno rimproverato politiche troppo sbilanciate a favore dei ricchi.
Alle presidenziali dello scorso anno Macron ha ottenuto tuttavia una riconferma abbastanza tranquilla: in questo è stato aiutato dal fatto di essere un candidato moderato e più rassicurante in confronto ai suoi avversari più forti (Marine Le Pen ed Éric Zemmour a destra, Jean-Luc Mélenchon a sinistra), oltre che dalla debolezza dei due partiti storici della Quinta Repubblica francese, ossia i Repubblicani (eredi di Charles De Gaulle, di centro-destra, che candidavano Valérie Pécresse) e i Socialisti, che hanno schierato la sindaca di Parigi Anne Hidalgo.
Alle legislative di poche settimane dopo, tuttavia, il presidente ha perso la maggioranza assoluta all’Assemblea Nazionale (la “Camera dei deputati” francese), trovando sostanzialmente un forte ostacolo alla realizzazione del suo programma. Attualmente il suo partito, Rénaissance, riesce ad andare avanti principalmente grazie all’appoggio esterno dei Repubblicani, ma la riforma delle pensioni è stata l’occasione in cui molti nodi sono giunti al pettine.
L’approvazione della riforma
Diversi tra i Repubblicani si sono opposti al provvedimento, e di conseguenza i numeri per approvarlo in Assemblea erano molto in bilico. Per risolvere la questione una volta per tutte, la premier Borne ha invocato l’articolo 49.3 della costituzione, che permette al governo di far passare una legge senza voto parlamentare, a meno che le opposizioni non approvino una mozione di censura (sfiducia) contro il governo a maggioranza assoluta: se quest’ultima ha successo, la legge decade e il governo è costretto a dimettersi.
Un meccanismo simile alla questione di fiducia italiana, con la differenza cruciale che tale procedura estrema può essere invocata solo per due volte in una sessione (di norma lunga un anno). Contro l'”arma finale” del 49.3 sganciata dal governo, le opposizioni hanno presentato varie mozioni di sfiducia: una di queste è stata respinta per soli 9 voti.
Le polemiche non si sono placate con l’approvazione: i francesi continuano la loro durissima protesta, con annessi incidenti e cariche delle forze dell’ordine: una protesta peraltro cavalcata da alcuni politici di opposizione, Mélenchon in testa. Dal canto suo, Macron tira dritto: in un’intervista dopo l’approvazione ha difeso la riforma, dichiarando che il bene della Nazione per lui è più importante del consenso personale.
Un esempio di vera Politica
In un’epoca dove i politici sono smaniosi di consenso facile e scappano dinnanzi a scelte impopolari, Emmanuel Macron ha dato un insegnamento prezioso alla popolazione e a chiunque voglia impegnarsi nella cosa pubblica. Certo, va detto che Macron per tale riforma ha atteso il secondo mandato, dopo il quale egli non può più essere rieletto, ma una riforma del genere richiede a priori un coraggio non indifferente.
E ciò deve essere da monito anche per noi italiani, che ogni volta ci inventiamo una nuova scappatoia per derogare la legge Fornero e abbassare l’età pensionabile, il tutto a scapito dei più giovani.
Allargando lo sguardo, questa vicenda ci pone dinnanzi ai limiti e ai difetti di una democrazia diretta: già Platone nella Repubblica aveva messo in guardia dal rischio che una democrazia potesse degenerare in una oclocrazia, ovvero nel governo delle folle, che impongono la loro volontà “di pancia” senza le conoscenze necessarie.
Sebbene la sofocrazia proposta dal filosofo greco sia per vari motivi inattuabile, è quanto mai necessaria la mediazione della volontà popolare grazie al filtro di una classe dirigente credibile e competente.
Riccardo Minichella
(In copertina foto da Reuters)