CronacaCultura

Come soffocare l’istruzione delle donne, dall’Iran all’Italia

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A partire da dicembre 2022 in Iran sono state avvelenate oltre cinquemila studentesse con il fine di impedire il loro accesso all’istruzione. Nonostante questo tipo di azioni possa sembrare un’estremizzazione ingiustificabile, tentativi di ostacolare la carriera accademica e lavorativa delle donne sono presenti anche in Italia, anche se in forme più velate.


Gli avvelenamenti in Iran

Il 26 febbraio 2023 il viceministro della salute Younes Panahi ha confermato che i malesseri riscontrati sono causa di avvelenamenti intenzionali, attuati per mezzo di composti chimici. 

I primi casi risalgono a inizio dicembre: decine di ragazze e bambine hanno iniziato ad avere problemi di salute, fra i sintomi si registrano nausea, mal di testa, difficoltà respiratorie e palpitazioni.

Panahi non ha nominato i precisi responsabili, ma secondo i media locali potrebbe essere stata opera di estremisti religiosi che intendono vietare l’accesso all’educazione alle donne. 

Si presuppone anche che queste azioni seguano le politiche del governo afghano, che ha privato le donne della possibilità di frequentare università e scuole secondarie. 

Gli avvelenamenti hanno avuto inizio a Qom, ma ci sono stati casi anche a Teheran, Ardebil e Borujerd. I moti di protesta per il rispetto dei diritti delle studentesse si sono uniti alle manifestazioni per il caso di Mahsa Amini, ventiduenne arrestata a Teheran il 13 settembre 2022 per aver indossato scorrettamente il velo. La giovane è morta tre giorni dopo in circostanze poco chiare e si sospetta che il decesso sia avvenuto a causa di violenze da parte di agenti di polizia.

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Manifestazione per l’Iran, foto di Craig Melville da Unsplash.

La soppressione della scrittura femminile

Tentare di privare le donne della possibilità di avere un’istruzione è un fatto accertato, da sempre presente nella storia. 

Basti considerare che l’accesso a un’università importante come Oxford è stato conferito alle donne nel 1878, permettendo solo la frequentazione di determinati corsi. Questo con l’assunto che le materie studiate dalle donne dovessero essere diverse da quelle insegnate agli uomini. 

Anche una volta che le università sono state aperte alle donne, la vita accademica era comunque ostacolata: le ragazze erano spinte a dimostrare di essere migliori rispetto agli altri studenti di sesso maschile e di meritare l’occasione concessa.

Uno studente poteva anche permettersi di essere mediocre; una studentessa doveva sempre eccellere

I casi in Iran e Afghanistan sono tentativi espliciti di questa soppressione, ma sarebbe ingenuo pensare che essa non esista anche nel mondo occidentale.

Nel 1983 la scrittrice e accademica Joanna Russ pubblica Vietato scrivere – Come soffocare la scrittura delle donne (Enciclopedia delle donne, 2021), un saggio che riassume le strategie subdole – e quelle non così subdole – di cui si serve la società per ignorare, giudicare o sminuire le donne che scrivono. 

L’analisi dell’autrice si basa su casi di scrittrici che operarono fra il diciottesimo e il ventesimo secolo, ma il libro resta rilevante oggi tanto quanto lo era quando è uscito.

Analizzando le proibizioni imposte alle donne, Russ dimostra quanto si ostacoli una loro emersione in ambito letterario o, più generalmente, accademico.

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Nel testo ci si concentra molto sulle difficoltà delle aspiranti scrittrici o artiste, ma si sottolineano anche alcune tendenze che potremmo ritrovare in qualsiasi ambito lavorativo.

I divieti informali

L’assenza di un divieto formale al commettere arte non esclude la presenza di divieti informali altrettanto potenti.

Russ spiega che il fatto che non esistano divieti espliciti rispetto al creare arte non implica che non ne esistano di invisibili. 

Inoltre, l’ambiguità di queste proibizioni le rende più difficili da individuare e quindi da denunciare. 

Cita due semplici esempi: la mancanza di disponibilità economica e di tempo libero. Storicamente la donna non è mai stata considerata un individuo che potesse avere un’indipendenza economica e degli interessi propri: una volta adulta, assume il ruolo di moglie e madre, dipende da suo marito e i suoi doveri sono la cura della casa e dei figli. 

Questa visione della figura femminile era, senza dubbio, più diffusa fino al diciannovesimo – e in parte anche ventesimo – secolo, periodo a cui fa riferimento Russ. Ma, in realtà, non possiamo dire che sia totalmente assente anche oggi.

A che punto siamo in Italia?

In Italia non abbiamo divieti espliciti che mettono in difficoltà la componente femminile della popolazione nel suo percorso di realizzazione, che sia accademica o lavorativa. O meglio, sicuramente non abbiamo casi di avvelenamenti per impedire che le ragazze possano istruirsi.

Eppure, non possiamo definirci un Paese che tuteli la donna nel momento in cui tenta di inserirsi nel mondo lavorativo, soprattutto considerando il ruolo sociale che le viene imposto.

È ancora molto diffusa l’idea che la donna sia realizzata in quanto tale solo una volta diventata madre. Notiamo che normalmente non si chiede a un uomo in carriera: “ma quindi quando pensi di avere dei figli?”.

In Italia il tasso di occupazione delle donne tra i 25 e i 49 anni con un figlio che ha meno di sei anni è al 53,9%. Il 43,6% delle donne occupate tra i 18 e i 49 anni continua a lavorare dopo la nascita di un figlio. Infine, solo il 6,6% delle donne trova lavoro dopo essere diventata madre.

Da questi dati emerge quante difficoltà esistano a inserirsi o a rimanere nel mondo lavorativo dopo aver avuto figli.

Dunque, abbiamo una società che spinge le donne a diventare madri (o, addirittura, che dà per scontato che debbano esserlo), ma che non le tutela nel mondo del lavoro una volta che lo sono divenute. Anche questo è un esempio delle proibizioni implicite e invisibili citate da Joanna Russ.

Il processo del cambiamento

Ci troviamo in un presente che oscilla fra estremisti religiosi che avvelenano bambine, prime ministre che non mostrano il minimo interesse per i diritti delle donne e la costante svalutazione di tutto ciò che si considera “femminile”. 

È significativo che Russ abbia dedicato Vietato scrivere alle sue studentesse. Nell’epilogo sottolinea che la crescita non avviene dal centro di qualcosa, ma dalle sue periferie, come nelle cellule o nei germogli. 

Sembra quindi compito di chi si trova in queste periferie smuovere ciò che si trova immutabile nel centro e promuovere un cambiamento

L’autrice esorta le sue studentesse (e tutti i lettori) a terminare loro le riflessioni che pone nel saggio, perché si tratta di un processo ancora in corso e di meccanismi sociali che possono (e devono) essere cambiati.

Sono tredici cartelle che cerco di finire questo mostro e lui non ne vuole sapere. Evidentemente non è finito. Finiscilo tu.

Vittoria Ronchi

(In copertina, acquerello digitale di Justinas, da Adobe Stock)

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