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Ucraina, un anno dopo – Che cosa dovremmo imparare 

Ucraina anno dopo

A un anno dallo scoppio della guerra in Ucraina, è ormai evidente un problema strutturale nel sistema di sicurezza internazionale con il quale è tempo di confrontarsi. La via militare si è rivelata inconcludente, quella diplomatica impercorribile: come in passato, è necessario un confronto politico, giuridico, economico, un nuovo momento costituente.


Guerra in Ucraina: un anno dopo

La guerra è straziante.

Lo è perché separa le famiglie; perché uccide donne, bambini e anziani, ma anche giovani uomini. Perché cancella i diritti: il diritto alla scuola, al lavoro, all’amore, il diritto alla vita. Lo è perché rende la quotidianità infernale; perché il rumore delle bombe fa sudare freddo e impedisce di dormire; perché la fame, il freddo, il buio, la paura diventano assillanti. 

La guerra è straziante e lo è sempre stata, ma oggi lo è di più perché proprio all’apice della distruzione, dell’annientamento, della violenza dell’uomo sull’uomo, ci si era ripromessi che una tragedia simile non sarebbe più accaduta.

Ci si era impegnati affinché non ci fossero più guerre, nella convinzione che la pace non era utopia ma un progetto realizzabile, un qualcosa che era possibile costruire – anche se da zero – con gli strumenti dell’economia, del diritto, della politica.

La mia generazione è nata e cresciuta proiettando la guerra in una dimensione sicura, distante nel tempo e nello spazio: le guerre erano state consegnate alla storia, oppure riguardavano “altri mondi”, evidentemente non abbastanza maturi da evitarle, almeno non come “il nostro”, che aveva imparato dal passato ed era stato in grado di conquistare la pace. 

Ormai da un anno, è evidente che questa era solo un’illusione.

La guerra in Europa: una novità

È dovere morale, prima che analitico, riflettere sulle ragioni storiche, politiche, concettuali di una conflittualità mai sopita che ha dato luogo a innumerevoli teatri di devastazione, solo lontani dagli occhi dell’Occidente, e sull’ipocrita visione euroamericana di un mondo finalmente pacificato. 

Tuttavia, se la guerra in Ucraina colpisce, scandalizza e fa discutere, questo non accade solo perché si sta svolgendo alle porte dell’Europa e non può di conseguenza essere ignorata, ma in quanto pone, anzi svela, un problema strutturale.

ucraina anno dopo

Rispetto alle precedenti guerre di invasione, la guerra in Ucraina, proprio nella misura in cui coinvolge due attori europei, uno dei quali è a tutti gli effetti una superpotenza (anche se in modo diverso dai tempi della guerra fredda), impone di fare i conti con l’evidente fallimento di quel sistema internazionale che dal 1945 ad oggi si pensava fosse incorruttibile e desse le garanzie per evitare nuovi conflitti: indubbiamente queste lacune non si sono prodotte il 24 febbraio scorso, ma la risonanza che solo una guerra in Europa può assumere, per quanto scorretto lo si possa ritenere, obbliga finalmente a confrontarsi con un tema indifferibile.

La rottura dell’ordine postbellico

L’invasione russa dell’Ucraina ha violato il principio della sovranità territoriale, un cardine del sistema di Stati europeo dalla metà del XVII secolo, sancito dalla pace di Vestfalia che pose fine alla guerra dei Trent’Anni; ha calpestato il dogma dell’autodeterminazione dei popoli, che più o meno coerentemente ha costituito il fil rouge delle ambizioni politiche del secolo scorso, dal sogno della “comunità di forze” dell’internazionalismo wilsoniano ai processi di decolonizzazione e soggettivazione dei nuovi Stati nazionali nel Terzo Mondo. 

Quella stessa autodeterminazione dei popoli è stata anche la base del referendum del dicembre 1991 con cui, contrariamente alla narrazione putiniana, l’Ucraina ha scelto da sola l’indipendenza, quando ormai l’esperienza dell’Unione sovietica stava giungendo al termine.

Sui principi del rispetto dell’integrità territoriale, del riconoscimento reciproco della sovranità statuale e del diritto di ogni popolo a scegliere la propria forma di governo è stato pensato e costruito il nuovo ordine globale dopo la Seconda guerra mondiale, esito di un’escalation di invasioni della Germania hitleriana nell’Europa centro-orientale, di fronte a cui inizialmente le potenze del “mondo libero” erano rimaste a guardare.

Proprio la contezza di quanto la politica dell’appeasement aveva permesso rese prioritaria la costruzione di un duraturo sistema di sicurezza internazionale, che comparve già nel 1941 nella Carta atlantica – dove l’aggettivo è chiaramente sintomatico della sua identificazione anti-sovietica – e fu codificata nel 1945 con lo Statuto delle Nazioni Unite. 

L’organo deputato al mantenimento della pace è il Consiglio di sicurezza, che ha compiti di sorveglianza, conciliazione e ricomposizione, ma anche di intervento militare contro possibili aggressori: appare allora immediato chiedersi perché l’ONU non sia in grado di assolvere la funzione primaria per la quale si è costituita.

La Camera del Consiglio di Sicurezza ONU

La prima ragione dell’impasse in cui versa la comunità internazionale è la qualifica della Russia come membro permanente all’interno del Consiglio, status che le assicura potere di veto su qualsiasi decisione sostanziale, come appunto l’adozione di misure dirette per la risoluzione di conflitti. 

D’altra parte, anche qualora si agisse dietro mandato dell’ONU, è realistico pensare a una vittoria militare nell’epoca del nucleare, delle armi chimiche e batteriologiche? E, soprattutto, sarebbe sufficiente?

Come agisce la comunità internazionale?

In un saggio del 1999 intitolato La costellazione postnazionale (Feltrinelli), il filosofo e politologo Jurgen Habermas rifletteva sulle sfide che la globalizzazione pone agli Stati nazionali e alla democrazia stessa, che solo nello Stato nazionale ha storicamente preso sostanza. Quali sono le nuove forme che il processo democratico deve sviluppare – si chiedeva – laddove un governo globale non esiste e non è nemmeno auspicabile? 

La comunità internazionale, infatti, può esistere come comunità giuridico-morale, ma non può avere un’identità etico-politica collettiva perché si vuole totalmente inclusiva: essa, quindi, non dispone della legittimità per un’azione governativa proprio in quanto manca di identità politica.

Un governo globale non può esistere, ma una governance globale sì, secondo Habermas: una politica interna mondiale, allora, può essere pensata nei termini di “sistemi internazionali di negoziato”, accordi e procedure capaci di sollecitare compromessi. 

La premessa indispensabile è una cultura politica comune: in definitiva, a mancare è una “volontà transnazionale” che può e deve prendere forma solo dalla società civile. 

guerra in ucraina

L’analisi di Habermas mette in luce i difetti strutturali di un ordine sovranazionale che non può operare secondo le categorie del potere statuale e disporre di un’autorità cogente; tuttavia, sono possibili nuove forme di legittimazione democratica sulla base della maturazione di una coscienza civica a livello globale che renda pensabile una prospettiva di global governance.

Ripensare l’ordine globale

Questa digressione è utile a comprendere come la guerra renda improcrastinabile un nuovo momento costituente, che non cancelli quanto creato a Jalta e a San Francisco nel 1945, ma che lo corregga e lo integri, perché il mondo odierno non è lo stesso uscito dalla Seconda guerra mondiale, e lo scenario geopolitico è molto più plurale e instabile di quello schema binario, retto sull’equilibrio del terrore, della guerra fredda.

Ucraina anno dopo

Ciò non significa smettere di combattere in armi, opzione non percorribile: se il conflitto prosegue da un anno senza vinti o vincitori, questo si deve alla parità delle forze in campo, resa possibile solo dal sostegno che l’emisfero atlantico garantisce alla parte lesa; diversamente, l’Ucraina sarebbe abbandonata a se stessa e, sola, non potrebbe che soccombere di fronte alla potenza russa, in una competizione dichiaratamente impari.

Una conclusione simile non solo sarebbe inaccettabile sul piano morale e ideologico, ma costituirebbe un precedente pericoloso nella storia, una crepa nei principi del diritto internazionale.

Occorre onestà: la guerra in Ucraina non potrà essere vinta sul campo, e il punto su cui è doveroso soffermarsi non è come sconfiggere l’avversario, ma perché un Paese è stato invaso e non ci sono efficaci mezzi politici e diplomatici cui ricorrere per contrastare l’aggressione.

Chiedersi questo significa avere il coraggio di ammettere che proprio quel sistema internazionale considerato infallibile, in realtà, ha fallito, ma anche di assumersi le responsabilità, l’impegno e la progettualità che da questa constatazione devono derivare.

Eleonora Pocognoli

(in copertina, immagine presa da unsplash)


Per saperne di più sulla Guerra in Ucraina, esplora il nostro percorso dedicato e leggi Il futuro della guerra in Ucraina, tra speranze e prospettive (un articolo di Riccardo Minichella).

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