Cronaca

7 luoghi comuni sull’aborto

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Negli ultimi tempi si sta parlando molto di aborto: gli approcci adottati dai vari Paesi sono molto diversificati tra loro, così come il sentire sociale. In Italia, tra giornate per la vita nascente e leggende metropolitane, il dibattito rimane acceso, insieme alle sue storture.


L’aborto in Italia

In Italia la pratica abortiva è disciplinata dalla legge n. 194/1978, tappa di un processo di avanzamento culturale e giuridico che aveva avuto inizio diversi anni prima.

La legge del ‘78 viene preceduta da un’importante sentenza della Corte costituzionale del 1975, con cui viene depenalizzata l’interruzione di gravidanza in caso di pericolo per la salute o per la vita della donna gestante (da qui in poi con “donna” ci si riferisce al sesso biologico, non al genere di appartenenza; sul tema, si veda questo articolo).

La Corte scrive che: “non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare”.

Nel nostro Paese è possibile accedere all’aborto entro i primi novanta giorni, si può intervenire oltre questo termine solo in caso di pericolo per la vita o la salute della donna o di particolari patologie del nascituro. L’interruzione di gravidanza effettuata in violazione dei limiti posti dalla 194 si configura come un reato.

Si prevede che la donna possa scegliere se ricorrere ad un aborto chirurgico, che prevede un breve intervento con anestesia locale o generale, oppure ad un aborto farmacologico. Quest’ultimo, secondo le linee ministeriali, può essere somministrato entro le nove settimane in day hospital anche dai consultori.

Le direttive sono lasciate alla libera interpretazione delle regioni, infatti le uniche che concedono anche ai consultori di somministrare la pillola RU486 sono Lazio ed Emilia Romagna.

Alcuni dati

A partire dalla metà degli anni ‘80, i report del Ministero della Salute registrano una diminuzione del ricorso all’IVG, sia in termini assoluti che relativi. In proporzione, le donne straniere abortiscono circa tre volte di più rispetto alle donne italiane.

Nel 2020 il Ministero ha contato 66413 IVG, mentre nel 2012 l’Istituto Superiore di Sanità, circa l’abortività clandestina, effettuava stime tra i 12000 e i 15000 casi tra le donne italiane, e dai 3000 ai 5000 tra le donne straniere. Anche il dato sull’obiezione di coscienza pare in leggera diminuzione: circa il 65% dei ginecologi nel 2020, rispetto al 67% nel 2019; il dato varia molto da regione a regione.

Dall’indagine svolta nel libro Mai dati (Fandango, 2022) di Chiara Lalli e Sonia Montegiove è emerso che in Italia sono trentuno le strutture sanitarie con il 100% di obiettori, quasi cinquanta quelli con una percentuale superiore al 90% e oltre ottanta quelli con un tasso di obiezione superiore all’80%.

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L’aborto nel mondo

Le tendenze al di fuori dell’Italia vanno in direzioni diverse: ci sono Paesi che stanno ottenendo nuove conquiste, come è accaduto negli ultimi anni in America latina, e altri che stanno facendo passi indietro.

L’Argentina e il Messico hanno legalizzato l’aborto rispettivamente nel 2020 e nel 2021; la Corte costituzionale colombiana lo ha di fatto depenalizzato nel 2022.

In Europa c’è stato uno slancio importante da parte della Francia: il Parlamento ha di recente approvato un disegno di legge volto ad inserire il diritto all’aborto nel testo costituzionale.

Dall’altro lato, ha fatto molto discutere l’approvazione di un decreto in Ungheria che obbliga il personale sanitario a far sentire il battito del feto, o qualunque altro segno delle sue funzioni vitali, alle donne che vogliono abortire.

Ha fatto ancora più rumore la sentenza della Corte suprema statunitense che nel giugno 2022 ha negato la legittimità della sentenza Roe vs Wade del 1973, che riconosceva e garantiva, come diritto di rango costituzionale, l’accesso all’IVG a livello federale.

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7 luoghi comuni sull’aborto

In Italia l’aborto è legale da quasi cinquant’anni, ciononostante rimane un tema molto controverso. La pratica abortiva è oggetto di un articolato dibattito bioetico, che pone rilevanti questioni in merito al bilanciamento tra l’inviolabilità della vita e il diritto all’autodeterminazione.

Il dibattito scientifico ha però poco a che fare con le radicalizzazioni e le storture che spesso caratterizzano gli argomenti comunemente utilizzati dagli antiabortisti.

1. L’aborto è un omicidio

Gli oppositori dell’accesso alla pratica abortiva solitamente sostengono che l’aborto si configura come un omicidio, in quanto consiste nella soppressione di qualcosa che è già vita e che potrà diventare una persona, unica e irripetibile, come recita il loro leitmotiv.

Rispetto a ciò che può essere considerato vita in termini scientifici, Marco Musy, urologo e docente presso l’Associazione Italiana di Sessuologia Clinica, afferma:

La vita biologica, per come la conosciamo attraverso il metodo scientifico, preesiste alla formazione dell’embrione. L’embrione è il risultato di complessi e noti processi biochimici che hanno luogo fra organismi vivi: l’ovulo femminile e lo spermatozoo maschile. […] Affermare che la vita abbia inizio all’istante della fusione del DNA di organismi vivi è una banale contraddizione nei termini. L’idea che l’embrione come tale sia una “persona” è di ordine metafisico e non ha nulla a che fare con la biologia o con altre scienze.

Marco Musy

L’idea è quindi che una coppia ovulo-spermatozoo abbia la stessa dignità biologica di un embrione.

Se si è portati a parlare di omicidio in merito alla soppressione di una forma di vita biologica, allora parleremmo di omicidio anche nel caso di utilizzo della contraccezione, e magari anche dell’astinenza sessuale: saremmo di fronte a casi in cui una scelta comporta l’impedimento della venuta in essere di una persona in potenza.

Come dice bene Musy, i criteri che utilizziamo per parlare di “persona” non sono scientifici, ma fanno capo al sistema di valori a cui rispondiamo, alla sfera morale.

Se si considera l’embrione come una persona potenziale, non si può pensare che il trattamento riservatogli possa essere equipollente a quello riservato ad una persona compiuta, in atto.

In proposito, John Harris, filosofo e bioeticista britannico, pone un quesito provocatorio: nell’ottica in cui si pretende di trattare un embrione, quindi una persona in potenza, come persona in atto, agli esseri umani, il cui decesso rappresenta un avvenimento certo, dovrebbe essere attribuito lo statuto di morti, in quanto morti in potenza?

2. Viene violato il principio di uguaglianza

L’idea che ci sia un regime di uguaglianza tra la donna gestante e l’embrione concepito porta a credere che la scelta di porre fine alla gravidanza costituisca un sopruso nei confronti dell’embrione e quindi una violazione del principio di uguaglianza.

Come dicevo prima, i criteri che utilizziamo per determinare chi è “persona” attengono alla sfera morale che può, almeno secondo alcune concezioni, essere mutevole.

Vorrei poter dire che la differenza di status tra un essere umano senziente con diritto di autodeterminazione e un embrione di dodici settimane sia autoevidente e innegabile di fronte alla ragione, ma evidentemente non è così.

Possiamo dire però, in modo incontrovertibile, che non esiste alcuna violazione del principio di uguaglianza dal punto di vista giuridico: la differenziazione esistente tra madre e concepito è espressa con chiarezza dalla sentenza del giudice costituzionale sopracitata.

3. L’aborto può mettere a rischio la salute della donna

I dati disponibili mostrano che i rischi per la salute della donna che abortisce sono bassi, soprattutto in riferimento a complicanze gravi.

Lo stesso Istituto Superiore di Sanità afferma che: “L’interruzione volontaria di gravidanza è un intervento generalmente semplice, sicuro e con poche complicazioni associate”.

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Gli antiabortisti, solitamente, si accaniscono soprattutto contro l’aborto farmacologico, essendo un mezzo che facilita l’accesso alla pratica; sostengono sia pericoloso e non adeguatamente verificato.

In verità l’ISS ha dichiarato l’efficacia e la sicurezza della pratica, infatti risulta che il 97% delle donne non ha avuto complicanze immediate e che il 93% non ha presentato alcuna complicanza al controllo dopo 14-21 giorni.

Il problema della pericolosità dell’IVG esisteva prima che la pratica fosse legale, quando migliaia di donne morivano a causa di aborti procurati con mezzi inadeguati o da persone non qualificate.

4. L’utero è mio e decide Dio

Si tratta di uno degli slogan che campeggiano sui cartelli alle manifestazioni antiabortiste. Quello originario sarebbe “l’utero è mio e decido io”, utilizzato dagli/e attivisti/e pro-choice.

Se la scelta di seguire una concezione deontologica che vede la vita come sacra e inviolabile venisse concepita come scelta individuale, non si porrebbe alcun problema.

Nessuna legge obbliga una donna ad abortire se la stessa non lo desidera. La criticità sta nel fatto che le spinte antiabortiste hanno la pretesa di decidere per tutte le donne: Dio decide per loro e anche per le altre.

Una società democratica dovrebbe permette a tutti i suoi membri di autodeterminarsi, di scegliere per sé e per il proprio corpo.

5. Se non vuole il bambino, può sempre darlo in adozione

Dare consigli o scegliere con i corpi degli altri è molto agevole: se non vuoi avere figli perché sopprimere una vita quando puoi attraversare una gestazione di nove mesi, un parto dolorosissimo e poi dare il nato in adozione?

Questa tesi mi fa venire in mente la metafora del violinista proposta da Judith Jarvis Thomson in “Una difesa dell’aborto”: la filosofa americana propone al lettore di immaginare di svegliarsi una mattina e ritrovarsi attaccato ad un violinista, che ha bisogno dell’organismo del lettore per guarire da un’insufficienza renale; la terapia dura nove mesi, poi il violinista sarà guarito e ricomincerà ad essere autonomo.

Il lettore è stato utilizzato per la cura senza la sua volontà e, se decidesse di staccarsi, il violinista perderebbe la vita.

Thomson propone questa immagine con uno scopo diverso dal mio: io ho deciso di utilizzarla perché credo sia efficace nel rendere evidente quanto portare avanti una gravidanza non voluta possa essere gravoso e di come quindi non sempre rappresenti una via percorribile.

6. Il padre dovrebbe poter avere voce in capitolo

Su questo punto la legge 194 è molto chiara: la facoltà di decidere se interrompere una gravidanza spetta alla donna.

Questa esclusività fa sempre capo al diritto all’autodeterminazione e alla possibilità di decidere per il proprio corpo. Il principio di fondo è che nessuno può scegliere per le gravidanze altrui, nemmeno il presunto padre del concepito.

7. Il senso di colpa non passa con il tempo

Si parla della post-abortion syndrome: un presunto stato di malessere, che può presentarsi sotto varie forme, sperimentato dalle donne a seguito di un aborto. Attualmente, lo sviluppo di patologie causalmente connesse all’interruzione di gravidanza non ha riscontri scientifici.

Il ricorso all’IVG è un’esperienza estremamente soggettiva: per alcune donne rappresenta un evento doloroso e una scelta difficile, mentre per altre no.

È necessario informare adeguatamente le donne di tutti gli aspetti riguardanti la scelta che devono prendere, è però essenziale combattere la manipolazione psicologica e la colpevolizzazione nei confronti delle donne che manifestano la volontà di abortire.

Le donne che ricorrono all’IVG subiscono pressioni dai Centri di Aiuto alla Vita che si appostano negli ospedali e dallo stesso personale sanitario.

Il ruolo della donna

Abbiamo molto a cuore le vite inviolabili, la cosiddetta sindrome delle culle vuote e l’invecchiamento del Paese. Esiste la tendenza ad impedire con abnegazione l’interruzione di gravidanze non desiderate, ma a lasciare completamente sole le madri partorienti.

È successo di recente al Pertini di Roma: una madre, sfinita dopo diciassette ore di travaglio, è stata lasciata da sola con il neonato, che le è morto soffocato tra le braccia dopo che lei si era addormentata mentre lo allattava.

Ancora una volta, vediamo il riflesso di una società che ha cucito addosso alle donne un ruolo predefinito, pretendendo che tutte vi si sentano a proprio agio. Ci sono donne che scelgono di non diventare madri, per questo stigmatizzate, perché vengono meno a quella che viene considerata la loro essenza naturale.

E poi ci sono madri che non vengono assistite, da un lato per mancanza di risorse, dall’altro come risposta alla retorica del sacrificio, a quell’ideale che vuole madri devote e infaticabili, anche oltre i limiti umani.

Sara Nizza

(In copertina una manifestazione del movimento femminista Non Una di Meno a Torino, da Il Post)


Per approfondire:

  • Francesca Visser, Dentro i centri antiabortisti in Italia dove si ‘umiliano’ le donne (vice.com);
  • Chiara Lalli, Nel regno degli antiabortisti (internazionale.it);
  • Ministero della Salute, Legge 194, interruzione volontaria di gravidanza, la relazione annuale al Parlamento (salute.gov.it);
  • Ministero della Salute, Relazione del ministro della salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (legge 194/78) (salute.gov.it);
  • Pro\versi, Aborto (proversi.it).
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