Mai come oggi il piacere sta perdendo sempre più la sua accezione positiva per manifestarsi in un rapporto di causa-effetto con il suo opposto, il dolore. Anna Lembke analizza questo fenomeno nel libro “L’Era della Dopamina: Come mantenere l’equilibrio nella società del tutto e subito”.
La vita è come un pendolo che oscilla tra dolore e noia, passando per l’intervallo fugace, e per di più illusorio, di piacere e gioia.
Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione
Con queste famose parole Arthur Schopenhauer descriveva l’infelice condizione umana: dominati dall’incessante produzione di desideri, gli uomini accrescono in realtà la loro frustrazione, perché incapaci di raggiungere ogni reale appagamento.
Nonostante Schopenhauer parlasse anzitutto ai prussiani di inizio Ottocento, il suo insegnamento è andato ben al di là del suo tempo, rivelandosi ancora attuale ai giorni nostri. Infatti, mai come oggi il piacere è stato tanto lontano dal suo ruolo di fonte di appagamento, per manifestarsi invece come dipendenza, assuefazione e schiavitù.
Drogati di piacere
Sarà per questo che Anna Lembke, docente di Psichiatria alla Stanford University e autrice di articoli e saggi sulla lotta alle dipendenze, analizza il piacere quasi fosse una droga.
Nel suo recente L’Era della Dopamina: come mantenere l’equilibrio nella società del “tutto e subito” (2021; Roi Edizioni, 2022), Lembke analizza proprio il meccanismo paradossale per cui l’uomo contemporaneo è, per così dire, in balia di piaceri tossici.
Se da una parte corre a perdifiato verso il guadagno immediato di ricompense, dall’altra non ottiene appagamenti, ma solo dolore e profonda insoddisfazione.
Il problema sta nella mole infinita di piaceri che ci circonda. Assuefatti ad una realtà che ci offre un incessante bombardamento di stimoli e distrazioni, alimentiamo un circolo vizioso. Invece di affrontare la fatica e la noia, per poi conquistare il piacere differito – un piacere più profondo, che porta all’emancipazione individuale –, cediamo ai piaceri istantanei, e alla fine ci ritroviamo dove siamo partiti, avvinti da una nausea di vivere sempre crescente.
La fuga dal dolore e il rifugio nel piacere
Molti, ricercando il piacere, vorrebbero anzitutto un rimedio sicuro per sfuggire al dolore.
E, in fondo, in un mondo digitalizzato così pieno di comode vie di fuga, perché non crogiolarsi nelle proprie illusioni di benessere?
Più soffriamo e più ricerchiamo piaceri; più ricerchiamo piaceri, più il nostro bisogno di stare bene si fa impellente, spingendoci verso soluzioni immediate e dall’effetto circoscritto.
Moltiplichiamo i piaceri senza accorgerci che stiamo facendo lo stesso con i dolori. A ogni nuovo capriccio soddisfatto corrisponde un male fugato, accantonato (Freud direbbe forse: rimosso) e destinato a ripresentarsi in forme più intollerabili. E noi, disposti a tutto pur di non stare male, perdiamo a poco a poco la capacità di sopportare la sofferenza che c’è nella vita.
La dopamina: un’arma a doppio taglio
Ecco che allora si entra, per dirla con Lembke, nel “ciclo della dopamina”. Prima di spiegarne il funzionamento occorre, però, illustrare il ruolo della dopamina. Il termine si riferisce ad un essenziale neurotrasmettitore umano che veicola il piacere e viene rilasciato da tutti quegli stimoli che producono motivazione e ricompensa. Tali stimoli possono essere fisiologici, ad esempio sesso, cibo buono, acqua, oppure artificiali, come le sostanze stupefacenti.
La dopamina è una molecola organica indispensabile per la sopravvivenza di moltissimi animali.
A tal proposito, Lembke riporta un esperimento condotto su un gruppo di topolini che dimostra come, senza la capacità di rispondere all’impulso della dopamina che li spinge a desiderare il benessere e quindi anche un cibo di cui nutrirsi per sopravvivere, essi morirebbero di fame.
Questo potentissimo ormone, però, è anche alla base della dipendenza, che la psichiatra americana definisce, in senso lato, come “il consumo continuato e compulsivo di una sostanza o la manifestazione continua di un comportamento – ad esempio, gioco d’azzardo, gaming, sesso – nonostante esso determini un danno per sé stessi e per gli altri”.
“Conosci te stesso”
La volontà di combattere per guadagnarsi la felicità a ogni costo deriva dal nostro desiderio di distrarci da noi stessi: incapaci di fare i conti con la nostra interiorità fino a scavarci dentro per snodare i grovigli che ci turbano, siamo spinti a cercare appigli in tutto ciò che ci è esterno, o meglio, in distrazioni che ci permettano di differire ogni impegnativo – ma dovuto – esame di coscienza.
Così i nostri tarli rimangono, i lacci che ci stringono si fanno più stretti, a ogni problema accantonato corrisponde un nuovo dolore in attesa di colpire, e alla conoscenza e ricerca del meglio per noi preferiamo un peggio che si spaccia per il proprio contrario: un’infinità di piaceri non piacevoli.
E tutto questo proprio perché non ci conosciamo, o meglio, non siamo motivati dalla volontà di conoscerci. Se solo ascoltassimo i nostri veri bisogni, capiremmo che proprio ciò che rincorriamo con affanno in realtà non ci conviene.
Cactus che non si accontentano
È come se fossimo dei cactus nella foresta pluviale.
Anna Lembke, L’Era della Dopamina
Una goccia d’acqua ogni tanto, per come siamo, basterebbe a nutrirci; eppure, siamo immersi nella foresta pluviale delle soddisfazioni incessanti. Il consumismo si basa proprio su questo: consumiamo molto di più di quello che abbiamo bisogno consumare proprio perché desideriamo molto più di ciò che ci conviene desiderare.
Così non facciamo che errare in un labirinto di illusioni scintillanti e perfettamente inutili. Illusioni che, dopo averci sedotto per un periodo di tempo risicato, arrivano a perdere qualsiasi loro fotone di luce artificiale e a mostrarsi per come sono realmente: mere e inconsistenti ombre.
Ci può essere un momento per ogni cosa, anche per quella più apparentemente innocua come il piacere, in cui il troppo stroppia e si chiede l’intervento di un muscolo che non bisogna mai smettere di allenare, la forza di volontà.
Non possiamo impedire agli stimoli esterni della nostra “foresta pluviale” di pioverci addosso, ma possiamo sicuramente decidere cosa accogliere. Al contrario dei cactus che, per un eccesso di acqua piovana, sono condannati alla rovina, noi abbiamo ancora la facoltà di scegliere per la nostra vita.
Giulia de Filippis