Matteo Messina Denaro è stato arrestato. In poche ore la notizia fa il giro di tutto il mondo: il boss di Cosa Nostra, per anni latitante, è stato fermato alla clinica La Maddalena di Palermo sotto il falso nome di Andrea Bonafede.
Risuonano profetiche le parole di Salvatore Baiardo lo scorso novembre a Non è l’Arena: “Il boss è malato, potrebbe trattare per farsi prendere e fare un regalo al nuovo governo“. La classe politica gioisce: era un trionfo programmato?
“U siccu”
Figlio di Francesco Messina Denaro (“don Ciccio”), nasce a Castelvetrano nel 1962. Soprannominato “U Siccu”, pupillo di Totò Riina, ricopre sin da giovane un ruolo apicale in seno a Cosa Nostra.
Già dai primi anni ’80 si impone al vertice del mandamento di Castelvetrano mentre il suo nome inizia a figurare negli appunti dei giudici del pool antimafia.
Partecipa attivamente all’organizzazione delle stragi di Capaci e Via D’Amelio, fornisce supporto per gli attentati di Firenze, Milano e Roma. Dal 1993, poi, inizia la sua lunga latitanza, dalla quale continua a dirigere l’organizzazione criminale, ordinando – tra le altre– la morte del piccolo Giuseppe Di Matteo.
Una clandestinità durata trent’anni e terminata ieri. U Siccu era diventato un fantasma, l’ombra della Seconda Repubblica. E a qualcuno, forse, andava bene così.
L’arresto del Boss
Trent’anni dopo la cattura di Totò Riina, l’uomo più ricercato d’Italia nonché uno tra i criminali più pericolosi del mondo è arrestato senza manette. “Senza violenza e senza manette: un segno importante per un Paese democratico” afferma il procuratore De Lucia. Il boss sfila davanti alle telecamere con un cappotto marrone, un orologio dal valore di 35mila euro e una carta di identità falsa a nome di Andrea Bonafede.
“Sarebbe un regalino al nuovo Governo, un fiore all’occhiello per il nuovo esecutivo”, dichiarava Salvatore Baiardo ai microfoni de “La7”, aggiungendo che “qualcuno potrebbe far sembrare tutto casuale? Magari è programmato da tempo“. Le parole di Baiardo, factotum dei fratelli Graviano durante la loro latitanza, suonano profetiche ed al contempo colme di domande e perplessità.
Certo è che – come afferma Roberto Saviano – dopo tutti questi anni di ricerche ed intercettazioni “l’ultimo sovrano della generazione stragista di Cosa Nostra era nella sua terra: come tutti i capi era esattamente nel luogo dove tutti sapevano fosse”.
Dietro un trionfo
“Una grande vittoria dello Stato che dimostra di non arrendersi di fronte alla mafia” afferma Giorgia Meloni. “Grandissima soddisfazione per un risultato storico nella lotta alla mafia” gioisce il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. “Lo Stato vince sulla mafia” scrive trionfante Antonio Tajani. “Con l’arresto di Messina Denaro si chiude una delle più drammatiche stagioni della storia della Repubblica”, sostiene il ministro della Giustizia Carlo Nordio.
Tuttavia, i mandanti occulti, le “menti raffinatissime”, i colletti bianchi, gli interessi e le trattative ancora avvolte sotto il velo del “segreto di Stato” ci suggeriscono che il traguardo è ancora lontano e che molte sono ancora le domande in attesa di ricevere adeguate risposte.
L’arresto del superlatitante rappresenta sì la vittoria dello Stato sull’Anti-Stato, della civiltà sulla barbarie e la violenza, ma il tripudio non diventi ozio, il trionfo non sia la medaglia da esibire alle cerimonie e durante le campagne elettorali.
La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.
Giovanni Falcone
Alessandro Sorrenti
(In copertina Matteo Messina Denaro)