
Il sociologo canadese Erving Goffman mette in luce ciò che emerge dalle interazioni quotidiane, come gli individui costruiscano un vero e proprio rituale intorno all’atto comunicativo e come l’identità sia modellata in base all’impressione che si vuole suscitare negli altri e agli obiettivi che si desidera raggiungere.
La comunicazione come rituale
Goffman si interroga sui motivi per cui la comunicazione umana risulti armonica e ordinata. Per rispondere, analizza le interazioni interpersonali faccia a faccia, nella convinzione che siano questi confronti a modellare la nostra esperienza del mondo.
E, a tal proposito, battezza L’ordine dell’interazione (Armando Editore, 1997) come disciplina autonoma:

L’interazione sociale può essere definita in senso stretto come ciò che traspira unicamente nelle situazioni sociali, cioè in ambiti nei quali due o più individui sono fisicamente l’uno alla presenza della risposta dell’altro.
Erving Goffman, L’ordine dell’interazione (p. 43)
A fronte dei suoi studi, Goffman sostiene che l’atto comunicativo sia regolato da obiettivi indiretti, che non consistono nella mera transizione informativa, ma nel riconoscersi a vicenda, rispettare le etichette, le buone maniere e il linguaggio di cortesia: strategie mirate a venerare il self altrui e ad aspettarsi di ricevere rispetto nei confronti del proprio.
In questo senso la comunicazione è regolata da un processo di ritualizzazione sociale, ossia una “standardizzazione, ottenuta attraverso il processo di socializzazione, del comportamento corporeo e vocale” (p. 47).
Teatro dell’interazione
Durante un’interazione, l’individuo definisce la situazione in cui è inserito per ottenere controllo su di essa e determinare il ruolo che vi ricopre. Per questo, Goffman paragona la vita quotidiana ad un teatro, in cui gli attori sociali recitano un ruolo finalizzato a manipolare i comportamenti degli altri e a controllare le impressioni esterne.
A volte l’individuo agirà in maniera completamente calcolata, esprimendosi in un determinato modo unicamente per suscitare negli altri un’impressione che evochi la risposta che desidera ottenere.
Erving Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione (p. 3)
Le azioni individuali sono dunque volte ad ottenere un riconoscimento, influenzare l’opinione degli altri, rendere la propria rappresentazione credibile e rispettare la definizione di una situazione condivisa.
Un esempio che propone lo stesso Goffman verte sulla relazione tra il manager e l’operaio: ognuno esercita sulla ribalta il proprio ruolo di direzione o di esecuzione, per dimostrare l’esistenza di un’organizzazione gerarchica e mantenerla come una realtà condivisa. Il fine ultimo è quindi agire coerentemente rispetto alla definizione che quella situazione ha assunto.

Costruzione della propria identità
Arrivati a questo punto è chiaro che orientiamo i nostri comportamenti per piegare le situazioni a nostro favore e manipolare le impressioni che gli altri si fanno di noi. E se, attraverso i rituali dell’interazione, riuscissimo anche a costruire la nostra identità?
Goffman spiega come l’identità individuale nel contesto sociale sia costruita attraverso il tentativo di proiettare l’immagine che crediamo rappresenti la parte migliore di noi.
Quali che siano le nostre azioni, è assai probabile che esse siano, in senso stretto, socialmente situate.
Erving Goffman, L’ordine dell’interazione (p. 44)

La teoria dell’azione sociale ci spiega come il nostro atteggiamento dipenda interamente dalle relazioni con l’ambiente circostante e come la nostra immagine sia sottoposta a una continua rivisitazione.
In un certo senso, si potrebbe dire che non rappresentiamo mai la nostra reale identità, perché modifichiamo i nostri comportamenti per piacere agli altri, ottenere benefici e ritagliarci il nostro spazio definito nella società. La nostra personalità è quindi modellata “in tempo reale”.
I social media
Nonostante Goffman scriva nella seconda metà del secolo scorso, la teoria dell’azione sociale è molto più attuale di quanto si pensi, in quanto riflette perfettamente il meccanismo che sta alla base dei social network. Siamo influenzati dai modelli che regolano queste piattaforme: puntiamo ad offrire un’immagine di noi che pensiamo possa piacere e riscuotere successo, a costo di mascherare la realtà.
Il modo in cui curiamo e costruiamo la nostra immagine su un profilo social non è quindi molto diverso dal modo in cui la nostra identità viene modellata attraverso le interazioni reali, poiché l’obiettivo consiste sempre nel ricevere approvazione ed essere accettati dalla società. Si potrebbe dire che la nostra personalità sia come uno specchio, che riflette il mondo circostante e così muta continuamente forma.
A questo punto non ci resta che aprire gli occhi e acquisire consapevolezza sui criteri che regolano la costruzione della nostra immagine, rendendoci conto di quanto facilmente ci adattiamo a modelli estetici e di comportamento conformi al gregge.
Camilla Massa
(In copertina Kyle Head da Unsplash)
Per approfondire:
- Erving Goffman, L’ordine dell’interazione (Armando Editore, 1997);
- Erving Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione (Il Mulino, 1997).