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“The Rings of Power” – Come (non) sviluppare una serie TV

Rings of Power copertina 1

Amazon Prime Video e HBO quest’anno si sono contese il primato nel campo del fantasy, con due serie di enormi successo. La prima è The Rings of Power, tratta dalle appendici al Signore degli Anelli e sviluppata da J.D. Payne e Patrick McKay; la seconda è House of the Dragon, di Ryan Condal e George R.R. Martin.


Le origini di due serie TV

Cavalcando il successo in particolare di Game of Thrones su HBO, Amazon si prefisse di acquistare i diritti sull’opera di J.R.R. Tolkien e sviluppare da lì un’epica serie televisiva per la sua piattaforma streaming, Prime Video. Una scelta vincente sulla carta, visto lo straordinario successo che ebbe la trilogia del Signore degli Anelli, in larga parte grazie alla maestria del regista Peter Jackson.

Nel rispondere a questa mossa, HBO partiva invece da una situazione di svantaggio: la sua proprietà intellettuale di partenza per realizzare una serie fantasy, Game of Thrones, aveva infatti due handicap di notevole entità:

  • La prima era la sua natura di opera “Basso Fantasy”, ovvero quel sottogenere che non persegue finalità morali e ingloba al suo interno elementi narrativi negativi (morti cruente, giochi politici, sesso e violenza spesso gratuita, ad esempio), che donano maggior realismo all’opera al costo di una platea tecnicamente ristretta ai maggiori di diciotto anni o in generale a persone meno sensibili a certe tematiche ed immagini esplicite.
  • La seconda nasceva dalla disastrosa conclusione di Game of Thrones, chiusasi nell’ignominia di una stagione realizzata di fretta, con gargantueschi buchi di trama, che lasciò un retrogusto a dir poco amaro sul gusto dei fan della serie; al tempo si arrivò a dire persino che l’intera proprietà intellettuale, libri compresi, fosse divenuta un pozzo avvelenato da cui nessuno più si sarebbe abbeverato per le prossime decadi.

Nella caccia alla proprietà intellettuale perfetta, tuttavia, la HBO ha messo a segno la sua prima vittoria.

The Rings of Power

The Rings of Power, a seguito dell’accordo raggiunto dopo ardui negoziati con la Fondazione Tolkien e in particolare Christopher Tolkien, figlio di J.R.R., poteva adattare soltanto i contenuti delle appendici testuali al Signore degli Anelli. Non ci si illuda che si tratti di poco materiale, potrebbero tranquillamente considerarsi un libricino a sé stante (sono circa 48.600 parole), ma risultano ad ogni modo un materiale originale decisamente arduo da trasporre accuratamente.

Il vero problema giaceva infatti nei loro contenuti di queste appendici, per la maggior parte note frammentarie atte a riempire il vuoto narrativo fra la Prima Era (narrata nel Silmarillion) e la Terza Era (quella del Signore degli Anelli e de Lo Hobbit) della Terra di Mezzo: si tratta di circa tremila anni di storia, di cui alcune decadi raccontate con una pletora di dettagli e di cui interi secoli sono invece lasciati all’oblio o riassunti in una frase.

Tolkien, che trattava il suo enorme universo narrativo con una coerenza meticolosa, non scrisse queste note con l’intento di adattarle in una storia a sé, ma soltanto per spiegare alcuni eventi nel Signore degli Anelli e concludere alcune trame iniziate dal Silmarillion.

Si potrebbe pensare che questa vaga traccia iniziale potesse essere un beneficio per la serie, ma si cadrebbe nella stessa trappola in cui sono caduti gli sceneggiatori: credere di potersi sostituire al Professor Tolkien, da molti riconosciuto come un luminare della lingua inglese.

L’assenza di dialoghi già scritti, di una trama precisa, di dettagli fondamentali per fornire spessore alla storia e garantire la coerenza con un universo narrativo estremamente complesso sono un ostacolo quasi insormontabile.

Per assicurarsi di non cadere in errore, ad esempio, gli autori della trilogia del Signore degli Anelli impiegarono dal 1997 al 2004 per la produzione della scenografia e dei prop.

House of the Dragon

House of the Dragon, al contrario, si prefiggeva di adattare l’omonimo libro pubblicato nel 2018, che partiva dal cliché manzoniano di fingersi un documento autentico. Si tratta di una raccolta biografica di annali e testimonianze stilata dai saggi dell’universo di Game of Thrones su casa Targaryen, protagonista delle serie.

L’approccio del libro è autenticamente storicistico, con tanto di situazioni in cui lo stesso presunto autore (che essenzialmente è l’equivalente di un saggio monaco amanuense) si dice ignorante sulle vicende passate, con tratti dove le testimonianze scritte si contraddicono e dove i fatti più storicamente rilevanti (come le battaglie) sono chiari, mentre altrettanto non si può dire per le intenzioni e le motivazioni dei personaggi.

Adattare un libro del genere pone solo il problema di dirimere le questioni storiche, fornendo la versione dei fatti come è effettivamente accaduta e creando le circostanze che genereranno successivamente i dubbi riportati dal libro.

Per fare un esempio, nel libro l’arcimaestro Gyldayn, il narratore principale, riporta che non sia noto chi, fra i due personaggi di Rhaenyra e Criston Cole, fosse stato per primo innamorato della controparte: House of the Dragon svela la verità attribuendo a Rhaenyra la prima mossa; tuttavia, dato che ciò avviene a porte chiuse, risulta perfettamente plausibile che in epoche successive siano emersi pettegolezzi e versioni contrastanti al riguardo.

Cosa funziona, cosa no

House of the Dragon può dirsi vincitrice anche grazie al fatto che può vantare un autore ancora vivente e coinvolto nello sviluppo della serie; il compianto professor Tolkien ci ha invece lasciati nel lontano 1973, mentre suo figlio Cristopher, divenuto curatore dell’eredità materiale ed intellettuale del padre, è deceduto nel 2020.

L’universo di Game of Thrones resta così dinamico e in costante sviluppo, con l’occhio attento del suo ideatore a vigilarne la coerenza e ad approvare o suggerire qualsiasi modifica in itinere di adattamento.

L’universo di Tolkien è invece ormai oggetto solo di saggistica e manualistica, e le uniche nuove opere sono compendi di appunti del Professore, trattati sulla geografia della Terra di Mezzo et similia. L’unico strumento per divinare l’intento di Tolkien resta dunque il suo vastissimo epistolario, che di certo non può fornire le stesse risposte agli aspiranti sceneggiatori.

Iacopo Brini

(In copertina e nell’articolo immagini tratte da The Rings of Power, disponibile su Amazon Prime Video, e House of the Dragon, disponibile su NOW TV)

Sull'autore

Classe 2003, mi sono trasferito da Bologna a Milano per studiare Legge e soprattutto per sfuggire alle ire dei caporedattori dopo aver sforato una scadenza di troppo. Mi appassiono facilmente degli argomenti più disparati, invento alfabeti nel tempo libero e ho la strana abitudine di presentarmi in giacca e cravatta anche ai pranzi con gli amici.
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