Perché facciamo così fatica a parlare di masturbazione? Possiamo iniziare chiedendoci se si tratti di un fenomeno individuale o collettivo: che ruolo svolge la cultura in cui cresciamo nel percorso di scoperta della nostra sessualità?
Dagli Anni ’70 ad oggi
Come tutte le altre donne della mia età ho conosciuto tutti i silenzi imbarazzanti degli adulti quando nel mezzo di certi discorsi arrivavano i bambini, ho fatto i conti con tutti i tabù, con tutte le cose che non si potevano dire se non all’orecchio di qualche amica; insomma ero stata allevata per così dire all’antica e ho riproposto questo tipo di educazione anche ai miei figli. Ne ho due, un maschio e una femmina, e oltre ai tanti errori compiuti nei loro confronti, vi è anche un fatto: che non sono mai stata in grado di parlare con tranquillità, con serenità di certe cose come quelle del sesso.
Questa è la testimonianza di una casalinga milanese di quarantanove anni, raccolta nel libro Sesso amaro (Editori Riuniti 1977); si tratta di un insieme di dichiarazioni rese da parte di donne che hanno partecipato agli incontri organizzati dall’UDI (Unione Donne in Italia). Si parla di maternità, sessualità e aborto; e le intervistate sono donne diverse tra loro per età, ceto, provenienza e livello culturale.
Grazie alla presa di coscienza rispetto alla necessità di una lotta intersezionale, un progetto come questo oggi avrebbe bisogno anche della partecipazione di donne non eterosessuali, non cis, non italiane, etc. Prendo spunto, dunque, da questa raccolta, pur con la consapevolezza dei limiti che presenta per via del contesto storico in cui si inserisce.
Questa donna racconta di come la sessualità, nell’accezione più estesa che si può immaginare, sia stata nella sua vita – come figlia e come madre – qualcosa da tacere, di cui era bene non parlare. Possiamo immaginare che questa donna sia della fine degli anni Venti e che i suoi figli siano nati tra la seconda metà degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Sessanta; questa testimonianza non è quindi così impensabile, visto il contesto ma se ci chiedessimo a che punto siamo oggi?
Parlare di sessualità è ancora un tabù?
Il nostro è un frangente storico in cui la sessualità viene vissuta con maggiore disinvoltura (in positivo, come nel caso di Sex Education; e in negativo, come con Bridgerton).
E mi riferisco ai contenuti di cui si può fruire e alle produzioni culturali in genere: probabilmente oggi un film come Ultimo tango a Parigi non subirebbe un procedimento penale.
In alcuni casi si assiste, forse, ad un’eccessiva ostentazione, ad una rappresentazione morbosa e performativa. Nonostante, però, la nostra sia una società iper-sessualizzata, non credo che questo significhi l’aver capito come creare un discorso costruttivo sulla sessualità.
L’Italia è uno dei pochi Paesi europei a non avere una legge nazionale che disciplini l’educazione sessuale durante il percorso scolastico: è di esclusiva competenza regionale decidere se destinare dei fondi a percorsi di questo tipo. E, se nella maggior parte dei casi è difficile fruire di un percorso di educazione sessuale a scuola, talvolta anche nel dialogo in famiglia troviamo degli ostacoli.
Ho avuto modo di confrontarmi con diverse persone, principalmente ragazze, ma anche persone queer, e nessuna di loro mi ha detto di essersi mai sentita davvero libera di parlare di sessualità in famiglia. È evidente che nelle case ci sia una notevole difficoltà nel trattare queste tematiche: c’è chi evita il discorso, permeando il tutto di un’aura di mistero; e chi invece dà a intendere che le persone per bene non parlano di queste cose, per via di un’educazione molto borghese o molto religiosa.
Tra i racconti che ho ascoltato, mi ha colpito molto quello di una ragazza che mi ha detto di aver aspettato due mesi prima di dire in famiglia che le erano venute le mestruazioni: provava vergogna.
Lo stigma della masturbazione
Il primo momento in cui ho sentito parlare di masturbazione risale all’ultimo anno delle scuole elementari: io sono tra i fortunati che hanno ricevuto un’educazione sessuale a scuola, per quanto si possa discutere delle modalità.
Durante gli anni della preadolescenza, per me, la masturbazione ha avuto un volto maschile: alle elementari se ne era discusso perché i miei compagni sapevano cosa fosse; durante gli anni delle medie, i ragazzi della mia classe ne parlavano ossessivamente, condividendo le loro esperienze.
Ho avuto il primo dialogo sereno al femminile a sedici anni: nel periodo che si interpone tra i racconti dei miei compagni alle scuole medie e il momento in cui ne ho discusso con le mie amiche, ho riflettuto su quanto sia diverso il rapporto con la masturbazione tra ragazzi e ragazze: credo ci sia ancora difficoltà nel considerare la donna come soggetto desiderante oltre che come oggetto desiderato.
Considerando il campione con cui mi sono confrontata, composto quindi da persone che non si riconoscono nell’identità di uomo cisgender, molte hanno affermato di essersi sentite sporche, o di aver provato vergogna, in certi casi di provarla tuttora. Alcune di loro – poche – hanno detto di non masturbarsi perché non ne sentono la necessità; altre perché non ci riescono.
Mi ha colpito poi il racconto di una persona che ricordava la madre aver detto, durante la visione di un film in cui veniva citata la masturbazione femminile, “lei è una ragazza sporca, non fare come lei” e di come questo approccio repressivo della famiglia abbia poi influenzato le sue esperienze successive.
Ho l’impressione che queste testimonianze, pur non essendo statisticamente rilevanti, assumano un grandissimo valore personale e quindi anche politico e culturale.
Cercare delle risposte: pornografia e social
Di fronte, dunque, ad una cultura reticente e moralista che si ostina a non voler parlare di sessualità e desiderio, si tende a cercare risposte altrove. E così la pornografia contribuisce a creare un immaginario sessuale collettivo. Diverse persone mi hanno detto che, almeno in una fase iniziale, la pornografia ha dato loro una visione distorta del sesso, poco aderente alla realtà e soprattutto performativa.
Hanno poi suscitato il mio interesse le ragazze che mi hanno detto di non sentirsi rappresentate perché la maggior parte della pornografia è pensata per un pubblico maschile. C’è poi chi la percepisce come violenta e chi non ne fa uso per ragioni etiche, per via delle condizioni di lavoro all’interno dell’industria pornografica.
Se, da un lato, la fruizione accessibile e gratuita della pornografia contribuisce a rispondere alle domande – e spesso in modo improprio –; dall’altro anche i social costituiscono un nuovo mezzo di informazione fondamentale.
Esistono molti luoghi virtuali in cui è possibile sentirsi accolti e accolte, che riescono a parlare di sessualità in modo sereno e libero da tabù. Una ragazza mi ha raccontato di come la consultazione di pagine di educazione sessuale (come ad esempio, su Instagram: @sessuologia, @vaginaacademy e @mysecretcase) l’abbia aiutata molto sul fronte del suo rapporto con la masturbazione, esperienza che ha iniziato a vivere con serenità e maggiore consapevolezza.
A che punto siamo oggi?
Me lo chiedevo nella parte iniziale dell’articolo. Non è un caso che la fonte che ho citato risalga agli anni Settanta: possiamo dire senza esitazione che quelli sono stati anni di grande cambiamento e apertura in relazione al sesso; ma a distanza di cinquant’anni che cosa è cambiato?
Non si può negare l’evidente evoluzione che c’è stata, ma non possiamo certo dirci arrivati a destinazione. Finché ci saranno case, famiglie, luoghi di socialità e di educazione in cui verrà messo in atto un atteggiamento repressivo e giudicante non potremo dirci soddisfatti, in quanto membri di una società civile.
Sara Nizza
(In copertina e nell’articolo Aimee Lou Wood dalla serie TV Sex Education, disponibile su Netflix)
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