Le Maldive stanno per affrontare una crisi climatica che si preannuncia devastante. Secondo alcune stime, l’intero arcipelago potrebbe ritrovarsi sommerso già entro il 2050. È fondamentale diffondere consapevolezza non solo riguardo ai danni ambientali che indirettamente abbiamo causato, ma anche alle possibili strategie per arginarli.
Geografia delle Maldive
Dal punto di vista prettamente geografico, le Maldive presentano una caratteristica singolare che le distingue da tutti gli altri Stati e che contribuisce alla loro unicità.
Il territorio infatti si compone di circa 1.190 isole, suddivise a loro volta in 26 atolli, 26 piccole porzioni di paradiso in cui la civiltà si è adattata e sviluppata costituendo un vero e proprio ecosistema estremamente variegato e diversificato, in netto contrasto con la realtà frenetica delle grandi metropoli.
In particolare, la nazione insulare si configura come un insieme piuttosto caotico di isole coralline disseminate lungo una doppia catena nel bel mezzo dell’Oceano Indiano, alcune delle quali più piccole di un campo da calcio.
Non è un caso dunque se una simile geografia, unita alle distese immacolate di sabbia bianca, all’acceso colore turchese delle coste e alla folta vegetazione di palme e mangrovie, sia stata scelta come meta principale dei flussi turistici già a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso.
Questa conformazione potrebbe però rivelarsi dannosa per il futuro e la salvaguardia del territorio. Dal momento che si trovano a solo qualche metro di dislivello rispetto al mare, e considerando l’aggravarsi della crisi climatica e delle tragiche conseguenze dettate dal fragile equilibrio ambientale, l’ipotesi che prima o poi le Maldive possano venire inghiottite dall’Oceano è tutt’altro che infondata.
I tragici effetti della crisi climatica
Secondo gli scienziati, la regione maggiormente esposta agli effetti della crisi climatica a livello globale è proprio rappresentata dalle Maldive. Questo perché, stando a quanto affermato dalla NASA, il terreno di queste isole è il più basso al mondo e per tale motivo il più vulnerabile all’innalzamento delle acque.
Per questa ragione, nel 2019 il governo maldiviano ha cercato di correre ai ripari posizionando numerosi blocchi di cemento lungo la costa nei pressi di Mahibadhoo, una piccola isola al centro dell’arcipelago, per prevenire le erosioni costiere provocate da tali fenomeni.
La Ministra dell’ambiente, dei cambiamenti climatici e della tecnologia delle Maldive, Aminath Shauna, nel corso di un intervento al Sustanaible Future Forum nell’ottobre del 2021, ha illustrato una serie di dati riguardanti i tragici esiti del climate change.
Dalla sua presentazione è emerso come oltre il 90% delle isole che compongono le Maldive abbia segnalato alcune inondazioni negli ultimi anni, mentre l’80% di esse si trova appena un metro al di sopra del livello del mare.
“Se nessuno agirà in modo rapido e coeso” ha dichiarato la Ministra “scompariremo”. Il rischio che le acque cristalline che adesso lambiscono le coste delle Maldive prevalgano sulla terraferma, dunque, è più che mai concreto e imminente.
Maldives Floating City, la “città galleggiante”
A fronte della catastrofe ambientale che quasi sicuramente renderà inabitabile gran parte delle Maldive entro il 2050, la nazione si è già messa in moto per adottare alcune strategie, se non di risoluzione, quantomeno di contenimento della crisi climatica.
Sebbene inizialmente il governo maldiviano avesse varato alcune soluzioni anche piuttosto drastiche, attualmente l’alternativa più efficace consisterebbe nella costruzione di una vera e propria città galleggiante, la Maldives Floating City. L’innovativa cittadina si svilupperà su uno spazio di circa 200 ettari in cui si realizzeranno 5.000 edifici, a soli dieci minuti di barca dalla capitale Malè.
Il progetto è stato intrapreso, in sinergia con il governo locale, da un team specializzato di architetti appartenenti alla Waterstudio, in collaborazione con l’azienda olandese Dutch Docklands.
La futura e quasi utopistica opera si pone come scopo ledere il meno possibile il paesaggio circostante, con uno spiccato richiamo all’ecosostenibilità.
Nello specifico, il progetto dovrebbe terminare intorno al 2027 (anno in cui i primi abitanti potranno cominciare a stabilirvisi in modo permanente) e assumerà la forma esagonale di un classico corallo marino. Tra i 5.000 edifici che faranno parte di questo straordinario complesso vi saranno negozi, hotel, appartamenti, scuole e persino un ospedale, con la viabilità resa perfettamente funzionante tramite un apposito sistema di ponti e banchine.
Un barlume di speranza
Ormai è sotto gli occhi di tutti: il cambiamento climatico sta mietendo sempre più vittime e continuerà a farlo in modo inesorabile. I ghiacciai si stanno sciogliendo sempre più rapidamente e le catastrofi naturali sono quasi all’ordine del giorno. Arrivati a questo punto è quindi inutile sperare in una brusca inversione di rotta. Dunque, che fare?
L’auspicio è che l’uomo si renda presto conto dei danni che ha causato e che rivoluzioni definitivamente il suo modo di pensare e agire il pianeta. Uno scenario altamente improbabile, se non impossibile, anche perché le principali responsabili della crisi climatica sono le industrie, le multinazionali, non solo il singolo cittadino. Realtà, quindi, più difficili da amministrare.
Le Maldive costituiscono solo la punta dell’iceberg, la conseguenza più grave e anche quella più vicina in ordine di tempo. Ma a fronte di queste previsioni negative è comunque apprezzabile il tentativo del governo di opporsi, di far sentire la propria voce, di cercare delle strade alternative.
Da un lato per sottolineare gli effetti della crisi climatica e dall’altro per simboleggiare la speranza e la tenacia, qualità intrinseche dell’essere umano. La Maldives Floating City può quindi essere a tutti gli effetti una mossa disperata, una semplice strategia di sopravvivenza, ma ha anche la capacità di dimostrare al mondo che un futuro alternativo esiste.
Un futuro sì penalizzato dagli errori del passato, ma su cui poggiare le basi per un approccio più sano, responsabile e consapevole nei confronti del pianeta Terra.
Jacopo Caruso Albertazzi
(In copertina Jailam Rashad da Unsplash)