
Si torna a parlare di merito: un argomento spinoso, complesso e che si presta a facili strumentalizzazioni. Se la meritocrazia in sé è necessaria, non può prescindere da alcuni aspetti come disuguaglianze sociali e rispetto della persona, troppo spesso trascurati.
Cosa si intende con “merito”?
“Ministero dell’Istruzione e del Merito“. Questo è il nuovo nome del dicastero del Governo preposto alle scuole di ogni ordine e grado, dall’infanzia alle superiori. E proprio il termine “Ministero del Merito“, fortemente voluto dalla neo-premier Giorgia Meloni, ha riacceso il dibattito mai sopito in materia.
A primo acchito, può sembrare una scelta sacrosanta; anzi, verrebbe da chiedersi “perché nessuno l’ha fatto prima?”. Del resto, ci lamentiamo sempre di politici poco competenti chiamati ad alte responsabilità; così come altrettanto spesso ci indigniamo per l’ennesimo caso di dipendente pubblico fannullone e lavativo – non che i fannulloni e i lavativi manchino nel privato, sia chiaro.
Riflettendo bene, però, il concetto di “merito” necessita di alcuni chiarimenti e approfondimenti. In primis: perché il merito viene legato a doppio filo solo all’educazione fino ai 19 anni? Non è per caso necessario il merito nelle università, negli ospedali e in tanti altri settori?
E soprattutto: chi parla di Ministero del Merito è consapevole delle problematiche sociali ed economiche che possono falsare il confronto tra talenti, così come dei risvolti psicologici legati alla performatività personale? Oppure confonde il merito con il congelamento delle disuguaglianze e concepisce il mondo e la vita come una competizione sfrenata e spietata?
Il merito “buono”
Partiamo da un presupposto: una società meritocratica è necessaria. Abbiamo bisogno dei medici migliori, degli insegnanti più appassionati, anche degli operai più abili, e così via. Ogni ideologia o corrente di pensiero che prova a “demonizzare” tale assunto, anche con argomentazioni apparentemente sensate, è da rispedire con sdegno al mittente.
Questa cosa, però, che a prima vista sembrerebbe scontata, in realtà è molto difficile da accettare. Il che è comprensibile: l’idea di “merito” implica un giudizio sul nostro lavoro, dei nostri risultati, magari anche di noi stessi come persone. Insomma, se possibile meglio evitare. Eppure in un mondo in continua evoluzione, dove l’imperioso progresso impone nuove specializzazioni e nuovi ruoli, diventa imprescindibile la ricerca di quanto di meglio la società possa offrire per ruoli di responsabilità.
Si è visto negli ultimi anni quanto possa essere pericolosa la presenza nei posti di comando, o più generalmente in politica, di persone clamorosamente inadatte, incompetenti o peggio ancora macchiettistiche e pittoresche. Il mito dell’uno vale uno, creato dal Movimento 5 Stelle e in seguito sposato anche da altri partiti, si è rivelato alla prova dei fatti devastante per l’Italia.
Ma discorsi simili possono essere fatti nei più disparati ambiti lavorativi. Si pensi alla scuola: da anni si discute sull’opportunità di migliorare la selezione del personale docente, valutando non solo la preparazione nelle materie ma anche l’effettiva abilità del candidato ad insegnare. Sebbene diversi passi avanti siano stati fatti in tal senso, questi tentativi hanno visto forti resistenze da parte dei sindacati, che hanno piuttosto richiesto con forza sanatorie e assunzioni tout court dei precari storici, senza alcuna valutazione della loro idoneità all’insegnamento.
Analogo ostruzionismo è giunto da parte delle organizzazioni sindacali ad ogni proposta di valorizzazione del merito degli insegnanti già assunti: sembra assurdo, ma per i sindacati un insegnante scansafatiche, che lavora solo per portare a casa lo stipendio a fine mese, merita lo stesso trattamento del collega che invece insegna per passione e non si fa problemi a lavorare di più per il bene dei suoi allievi. Insomma: il merito fa paura.
Il merito “cattivo”
Come appena visto, non deve essere il merito in sé a preoccuparci. È giusto invece non sottovalutare alcune degenerazioni di tale idea: in primis quella di precipitare in una corsa dissennata al successo, anche a costo del nostro benessere fisico e mentale.
Suscita spesso polemiche e perplessità la visibilità data dai media a giovani laureatisi “a tempo record” o capaci di conseguire più lauree contemporaneamente (possibilità che peraltro è stata introdotta solo di recente in Italia).
L’ultimo di tali casi è quello di Carlotta Rossignoli, una di queste super-dottoresse, laureatasi in appena 5 anni – a fronte dei sei canonici – in medicina.
La ragazza ha affermato di dormire appena 5 ore al giorno e di ritenere sostanzialmente superfluo il tempo dedicato al sonno e alle amicizie: un messaggio pericolosissimo, addirittura paradossale se pronunciato da una neo-medica.
Nel mondo reale sono tanti i ragazzi stressati dalle aspettative sociali legate allo studio, con le università spesso incapaci di offrire un adeguato supporto psicologico. E troppe volte tale disagio è causa di scelte estreme: molti giovani sono arrivati al suicidio per motivi legati all’università, spesso dopo aver mentito ai genitori sul loro percorso di studi.
Diversi dei ragazzi celebrati dalla stampa, peraltro, provengono chiaramente da famiglie benestanti e hanno quindi una condizione di partenza molto più fortunata rispetto a tanti coetanei che allo studio devono affiancare un lavoro per poter realizzare i loro sogni.
Come diceva don Milani, “non c’è ingiustizia peggiore di fare parti uguali tra diseguali“: nessuna discussione sul merito può prescindere dalla giustizia sociale, perché in caso contrario non stiamo parlando di merito, bensì di privilegio.
Una società meritocratica e giusta
Tutte queste considerazioni fanno capire bene quali siano gli aspetti da considerare quando si parla di Ministero del Merito. Sembra facile immaginare una società meritocratica, ma per costruirla bisogna anzitutto garantire giustizia sociale: in primis rimuovendo quelli che la Costituzione definisce:
Gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
Costituzione Italiana, art. 3.
Inoltre, bisogna porre al centro l’importanza della dignità umana e della salute fisica e mentale, la quale non può essere sacrificata sull’altare di un qualsiasi obiettivo. Il merito deve essere uno dei pilastri di una società giusta, purché esso sia promosso con buonsenso.
Riccardo Minichella
(In copertina National Cancer Institute da Unsplash)