Quello che un tempo è stato un grande impero commerciale, oggi non è altro che una potenza di media grandezza. Il Regno Unito ha cambiato cinque primi ministri nel giro degli ultimi sei anni, e l’instabilità politica caratterizza il governo dei conservatori. Il nuovo premier, Rishi Sunak, saprà riportare il Paese con i piedi per terra?
Da Johnson a Truss
Facciamo un passo indietro a quando, nel 2016, David Cameron volle il referendum sulla Brexit. Questa mossa, secondo i suoi sostenitori, avrebbe permesso al Regno Unito di tornare a essere una grande potenza a livello internazionale, finalmente sciolta dalle briglie dell’Unione Europa. Alle elezioni del 2019, i conservatori vinsero nuovamente, e Boris Johnson ottenne la carica di primo ministro.
Il 31 gennaio del 2020, il Regno Unito firmò l’accordo di recesso, uscì dall’Unione e dal mercato unico diventando Paese terzo. Bisogna rimarcare che Johnson fu eletto principalmente per la sua risolutezza sulla questione Brexit, di cui era un assiduo sostenitore.
In un momento in cui il Governo e la società britannici erano divisi sull’uscita o meno del Paese dall’UE, serviva un personaggio politico che portasse a termine quello che era stato iniziato. Al di là di questo, ben presto si è visto come i conservatori mancassero di veri e propri obiettivi politici. In più, gli scandali politici e la crisi economica dovuta alla pandemia da Covid-19 fecero precipitare la legittimità del governo. Inoltre, dopo Brexit, il PIL del Regno Unito ha fortemente risentito dell’uscita dal Mercato unico a causa dell’aumento dei prezzi di importazioni ed esportazioni.
A tutto ciò, più recentemente si è aggiunta l’impennata dei costi per l’energia a causa della guerra in Ucraina e l’inflazione. Intrappolato in un vortice da cui non sapeva come uscire, Johnson si è dimesso a luglio 2022, lasciando il posto a Liz Truss come nuova premier del Regno Unito, il 6 settembre.
Terremoto Truss nel Regno Unito
Truss fin da subito ha ricevuto l’invito da parte del Cabinet britannico a “essere coraggiosa”. La neo-premier non si è tirata indietro, e ha immediatamente varato un ambizioso piano per rilanciare l’economia britannica. Si trattava di un piano pluriennale da 400 miliardi di sterline: di queste, 45 miliardi sarebbero state stanziate per una grossa riduzione delle tasse e per l’eliminazione dell’aliquota al 45% sui i redditi più alti.
La manovra avrebbe avuto lo scopo di avvantaggiare i ceti più abbienti della società britannica inducendoli a consumare di più e aumentare la domanda di beni nel Paese. Ai tagli delle tasse, si abbinava un aumento della spesa pubblica, con sussidi alle famiglie per affrontare il caro vita, causato dell’inflazione, e per le imprese, al fine di sostenere la produzione.
Truss ha quindi scelto di surriscaldare l’economia britannica sperando di aumentare domanda e offerta, con un piano che riduceva fortemente le entrate nelle casse dello stato, aumentando al contempo la spesa pubblica, e costringeva il Regno Unito ad aggravare il proprio debito pubblico.
La risposta negativa dei mercati è stata immediata: gli investitori non hanno più ritenuto la sterlina una valuta sicura e il suo valore è crollato, con una conseguente esplosione dell’inflazione.
L’entrata in campo di Sunak
Non appena Truss si è resa conto dell’effetto collaterale del suo ambizioso piano, ha messo in moto la cosiddetta U turn, rimangiandosi la cancellazione dell’aliquota per i redditi più alti.
L’inversione a U ha fatto perdere credibilità alla premier in carica da appena 45 giorni, e di fronte alla disastrosa situazione economica, il 20 settembre Truss si è dimessa lasciando l’ennesimo vuoto di governo.
Dopo appena cinque giorni, i conservatori hanno trovato il nuovo inquilino per il numero 10 di Downing Street: Rishi Sunak, ex-banchiere e già ministro del tesoro nel periodo della recessione causata dal Covid. In realtà, il nuovo premier appartiene alla stessa ala ideologica di Truss. Anch’egli abbraccia politiche fortemente neo-liberiste, ma in questo caso ha criticato l’avventata manovra fiscale di Truss, che costringeva il Paese a indebitarsi in un momento in cui il debito pubblico britannico ammonta a circa il 110% del PIL.
Per ora, la presentazione del nuovo piano economico è rimandata al 17 novembre; possiamo aspettarci comunque importanti tagli fiscali e sostegno alle imprese, ma sicuramente, vista la disastrosa eredità lasciata da Truss, le manovre di Sunak saranno più caute.
La Global Britain: impero in declino
Oltre a una maggiore cautela, si auspica una maggiore stabilità del governo, senza la quale non può venire la crescita economica tanto voluta. Si è paragonato l’instabilità politica dei governi inglesi anche alla situazione italiana dalla rivista The Economist nell’articolo Welcome to Britaly.
Questo perché, prima delle elezioni italiane di settembre, in entrambi i Paesi vi era un partito di maggioranza al governo da 10 anni, caratterizzato da forti divisioni interne e sfocati obbiettivi politici; parliamo del PD per l’Italia e del partito conservatore nel Regno Unito.
Oltre alla crisi politica, il Regno Unito soffre una mancanza di legittimità a livello internazionale. I conservatori avevano venduto Brexit come una mossa che avrebbe riportato la Global Britain: speravano nel ritorno del grande impero commerciale britannico.
Il punto di vista dei conservatori
La realtà dei fatti, come ha affermato Villafranca, responsabile della ricerca ISPI, è che:
I conservatori in Gran Bretagna non hanno fatto i conti con la storia.
Antonio Villafranca
Il Regno Unito oggi non è un impero; è meno influente nelle relazioni internazionali, e non ha lo stesso potere economico di un tempo.
I conservatori sono ancora legati a ideologie neo-liberiste thatcheriane, che oggi sono anacronistiche. Infatti, il governo dei Tories forse pensa di potersi affiancare a potenze mondiali come gli Stati Uniti, i quali hanno un debito pubblico altissimo e non temono di alzarlo, perché il dollaro rimane valuta di riserva a livello internazionale.
Il Regno Unito, diversamente, non può permettersi di indebitarsi a oltranza, e la reazione negativa dei mercati dopo le ambiziose manovre di Truss lo ha dimostrato. I conservatori britannici devono accettare il declino di quello che è stato un impero, ma oggi non è altro che una potenza media.
Luce Pagnoni
(Immagine di copertina e da wired.it)
Per approfondire: Brexit: Si può fare!; Brexit – Ultimo atto (?) e Brexit – Senza compromessi si va verso il “no deal” (articoli di Federico Speme); Brexit – Non è che un arrivederci (un articolo di Sofia Bettari)