CronacaPersonale

Cara Heidi, i monti in Alto Adige non ci sorridono più

Alto Adige (1)

La mia sensibilità al tema del cambiamento climatico si è sviluppata in un processo durato anni, iniziato quasi per caso e protrattosi poi come naturale conseguenza di innumerevoli estati trascorse nei dintorni della Val Gardena, in Alto Adige.


Non si vedono ghiacciai

Ogni anno i ghiacciai che si vedono su rare e lontane cime si riducono sempre di più e chi è abituato a quei panorami non può non accorgersene. Quando sono in Val Gardena, in Alto Adige, non passo un giorno senza fare almeno una piccola escursione e, negli ultimi tempi, l’apparizione di un po’ di neve sulle Alpi è motivo di meraviglia fugace, al pari dell’avvistamento di una marmotta o di mamma camoscio col suo piccolo in una sassaia.

Siamo tutti rimasti scombussolati a fronte degli alpinisti travolti dal frammento di Marmolada, il luglio passato. Ricordo ancora i giornalisti, in televisione, che si chiedevano cosa si sarebbe potuto fare. La risposta è: nulla. A parte, forse, impedire a quelle persone di trovarsi su quella parete in quel momento.

Alto Adige

La violenza della montagna è imprevedibile e inarrestabile e la cosa migliore che si possa fare sotto un seracco, in pieno giorno e negli ultimi anni, è andarsene il più velocemente possibile.

Piogge d’inverno

Io e la mia famiglia non andiamo a sciare da quando io frequentavo le elementari; quindi, si parla di più di una decina di anni fa. Ricordo che andavamo ad aprile, per evitare l’afflusso del mese di gennaio, ma trovando le piste ancora bianche. Adesso gli abitanti del luogo lamentano nevicate primaverili sempre più rare, addirittura piogge in pieno inverno (è giusto soffermarcisi: temporali a quelle quote e in quella stagione sono indice di temperature mai viste, decisamente troppo alte).

Le ingenti nevicate alimentano e mantengono in vita i ghiacciai, queste lunghe lingue gelate che garantiscono il giusto approvvigionamento d’acqua, per l’agricoltura e per gli impianti idroelettrici, durante le stagioni estive. Infine, le belle settimane bianche rafforzano il settore terziario.

Ottobre 2018: la tempesta di Vaia

Gli ultimi mesi, complici i danni causati dall’ingente pioggia prima in Emilia-Romagna, poi nelle Marche, ci hanno sbattuto in faccia, forse come mai prima d’ora, gli effetti di temperature torride. Ovviamente, ci sono dei trascorsi. Uno di questi ha procurato conseguenze che durano tuttora nelle valli del Sud Tirolo.

La tempesta di Vaia ha colpito quegli stessi territori a fine ottobre del 2018. I testimoni hanno parlato del solito episodio senza precedenti: tetti spazzati chissà dove, alberi sradicati, trasportati con ferocia dalle intemperie e infine rimasti appesi ai cavi dell’alta tensione.

E gli effetti di questa tragedia sono evidenti tuttora. Laddove, per anni, il fitto bosco ha ricoperto interamente il fianco di una montagna, adesso sullo stesso territorio si notano bene, anche dalla bassa quota dei paesi, grandi chiazze disboscate, talvolta lunghi e spessi tronchi che giacciono sradicati.

Ricordo che nel 2020 venire giù da certi sentieri, anche non troppo ripidi, era divenuto complicato a causa della mole di rami e dei ceppi che stavano là, traballanti, da più di un inverno prima. D’altronde, si è trattato di una quantità di legna che i boscaioli tagliano in dieci, se non in quindici anni.

Epidemia forestale

L’ennesima, demoralizzante novità per i panorami altoatesini è rappresentata dal bostrico. Il fitto bosco è, come detto, un mantello logoro per determinate aree, ma maculato per altre. Gli abeti rossi, di norma verde scuro (nelle stagioni calde, almeno), in estate sono tinti del colore dell’autunno, e tali rimangono.

Si tratta dell’effetto della proliferazione di un piccolo insetto della famiglia dei coleotteri: il bostrico, appunto. Esso si insidia sotto la corteccia, scava gallerie, depone uova, si nutre di legno vivo. Infine, lascia i sentieri costeggiati da alberi tristi, del tutto morti o visibilmente ammalati, in attesa di una soluzione che tarda ad arrivare. Inutile dirlo, non è certo un fenomeno che nasce così, di punto in bianco.

Infestazioni del genere nascono su alberi già sofferenti e si diffondono; dunque, risulta facile citare in causa la tragedia del 2018 e i danni che si è tirata dietro. Inoltre, è vero anche che le piante hanno un proprio sistema immunitario che viene sempre compromesso a fronte di periodi siccitosi, diminuendo la loro capacità di far fronte agli attacchi dei parassiti.

Consapevolezze

È importantissimo rendersi conto che questi, come quelli di quattro anni fa, non sono solo abeti andati perduti nella cartolina perfetta che è l’Alto Adige. Le radici di un bosco fitto hanno un ruolo importante nel mantenimento dell’ecosistema. Per esempio, possono impedire frane che altrimenti si riverserebbero sul paese sottostante, oppure proteggere la fauna e tenere pulita l’aria.

Ho provato a chiedere e ho constatato che poco, se non nulla, di ciò che ho scritto nei paragrafi precedenti, è stato avvertito da qualcuno che non abbia trascorso ventuno estati della propria vita in montagna. Eppure, chiunque, poche settimane fa, si è stretto intorno alla famiglia che cercava il corpo del piccolo Mattia, travolto dall’alluvione che ha colpito diverse province di Ancona.

Tra pochi anni gli stessi potrebbero, anche dalla sauna del loro confortevole hotel di lusso a cinque stelle all’Alpe, storcere il naso a fronte di una settimana bianca trascorsa senza l’ombra di un fiocco di neve che non fosse artificiale e sparato pigramente su una pista.

Ho scelto la fiducia

Visto che ancora non è stata inventata una macchina del tempo che ci consenta di cancellare gli errori commessi, non ci resta che cercare di ripararli e, nel frattempo, sperare nel meno peggio. Personalmente, dopo aver studiato quali meraviglie artistiche e tecnologiche abbiamo raggiunto da soli partendo da un rametto e una pietra focaia, ho scelto di avere fiducia.

Un bel banco di prova della straordinarietà degli esseri umani risale al 2020. In meno di un anno, rimboccandoci le maniche, siamo riusciti a trovare l’arma per sconfiggere un virus da pandemia globale, che solo in Italia era arrivato a sottrarre 800 vite ogni giorno. Siamo stati bravi e lo saremo di nuovo, mi piace credere.

A dirla tutta, siamo già arrivati ad alcune soluzioni alla crisi del riscaldamento globale, testate e verificate. Ora basta trovare il coraggio e la responsabilità di prendere le decisioni giuste a gamba tesa, senza indugiare davanti a chi teme un cambiamento, perché allora sì che falliremmo, smettendo di combattere per tutto il buono che ancora rimane in questo mondo.

Arianna Bandiera

(In copertina Manuel Podestà da Unsplash, nell’articolo foto di Arianna Bandiera)


Per approfondire: leggi gli altri articoli della sezione Personale di Giovani Reporter.

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