
L’ApPunto
Non è facile parlare del mondo classico: entrare nelle logiche di una società lontanissima dalla nostra ed evitare di leggerne personaggi e istanze con gli occhi del presente. Anche perché tutte le volte che guardiamo al passato tendiamo a fissare solo uno specchio che riflette la nostra immagine. È questo il caso della Saffo di Silvia Romani: bellissima, elegante, rivoluzionaria, ma inconsistente.

Di Punto in bianco
Silvia Romani, docente di Mitologia e Religioni del Mondo Classico alla Statale di Milano e autrice di alcuni libri sul mondo greco antico, ha recentemente pubblicato per i tipi di Einaudi Saffo, la ragazza di Lesbo (Einaudi, 2022), un saggio atipico e particolare che forse poi in fondo saggio non è.
Sulla carta si tratta di un’operazione interessante. L’obiettivo dichiarato è ricostruire un affresco del mondo in cui è vissuta Saffo, una summa del poco che conosciamo della sua vita per renderla più vicina a noi.
Insomma, riscoprire dietro la patina della più celebre poetessa greca la “ragazza di Lesbo“.
Citando direttamente il libro in questione, “[…] raccontare di lei significa anche parlare di ciascuno di noi. Le sue parole sono le nostre parole: il cielo, il mare, la luna, le stelle, le rose e le viole. Le sue paure somigliano ai nostri fantasmi: l’abbandono, la solitudine, la fine di un amore, la vecchiaia, la morte” (pp. 6-7).

Sarebbe interessante capire quali autori della letteratura – greca, nello specifico, ma anche universale – non rientrino in questa generica e generalista espressione, che in fin dei conti vuole dire tutto e non vuole dire niente, ma questa è decisamente un’altra storia.
Ecco, forse già dal breve passo appena citato si possono vedere le due nature del libro di Silvia Romani: da una parte, un ottimo stile di scrittura, capace di incuriosire, accompagnare e avvolgere il lettore; dall’altro, un approccio superficiale e “divulgativo” nel senso negativo del termine. Come se autrice ed editore non sapessero bene a chi rivolgersi, in quella zona d’ombra che separa saggio e romanzo e che Einaudi chiama Frontiere.

Il Punto della situazione
Saffo, la ragazza di Lesbo è senza ombra di dubbio un libro intelligente, studiato e ben documentato. E tuttavia è sempre in bilico tra detto e non detto, sempre con un “forse”, un condizionale, un collegamento stemperato da una frase ad effetto, un nesso logico saltato in favore della giustapposizione degli elementi. E come testo è intelligente anche perché non si prende le sue responsabilità, non si sbilancia mai. Lascia tutto al lettore, che può decidere quali stimoli seguire, quali suggerimenti accogliere.
Per il resto è una babele abbastanza confusa di elementi che c’entrano con Saffo e di elementi completamente avulsi dal suo mondo e dalla sua poetica. Sembra più un compendio di cultura classica, un bignami striminzito e vagamente stantio, che presenta – bene, non dimentichiamolo, è scritto bene – un certo numero di luoghi comuni sull’antica Grecia. Più o meno interessanti.

Ci sono gli eroi della guerra di Troia, l’immancabile Omero (che “aveva fermato l’urlo della battaglia per parlare di amore nel celebre incontro fra Ettore e Andromaca”, a p. 83), il mare color del vino (p. 144), le rose, le viole e i giacinti (pp. 37-40; 49-50), il mito di Orfeo (pp. 27-30) e quello Apollo e Selene (p. 62-64), Arianna e Teseo (pp. 122-123), Adone e Afrodite (pp. 93-97).
E poi, ancora, Britomarti e Artemide (p. 103), Odisseo e Diomede (pp. 60-61) e tanti altri, fino a Millais, Baudelaire, Freud, Burnett, Poe e Shakespeare. Perfino un lungo – lunghissimo! – riassunto di Picnic a Hanging Rock, di Joan Lindsay (1967, ora Sellerio 2000), che non si capisce bene perché sia presente, se non per riempire pagine (pp. 68-71).
Tutti temi appena sfiorati, perché sono troppi, troppo vasti e troppo discussi. E si prenda come esempio il trattamento a dir poco approssimativo dell’etimologia del nome di Briseide (p. 14), nozione inutile ai fini del libro ma che per Romani è “una ragazza di Brise, città di Lesbo”. Peccato che la critica si divida in chi pensa che si tratti di un patronimico (“figlia di Brise o di Briseo”) e chi ritiene che sia effettivamente un demotico, ma che valga come “originaria di Brisa“. Il passo riportato nel testo è quindi un errore dovuto all’incrocio di queste due ipotesi.
Ci sono, dunque, gli amori, gli affetti, le tempeste e i naufragi, le lontananze e i ricongiungimenti, per parafrasare l’autrice (p. 25). E anche qui ci sarebbe stato molto altro da dire.

Punto debole
Pensandoci bene, quel che manca in Saffo, la ragazza di Lesbo è proprio Saffo. Ci sono i suoi frammenti, “sopravvissuti al naufragio della letteratura greca”, per andare di luoghi comuni, i suoi amori e i suoi sentimenti. O almeno, quelli che crediamo siano stati i suoi amori e i suoi sentimenti. E di lei poco o nulla.
Per quanto riguarda il greco, valga come esempio, il celebre frammento 168b V., che già abbiamo trattato, con analisi delle traduzioni più celebri:
Δέδυκε μὲν ἀ σελάννα
καὶ Πληΐαδες· μέσαι δὲ
νύκτες, παρὰ δ’ ἔρχετ’ ὤρα·
ἔγω δὲ μόνα κατεύδω.

Silvia Romani riecheggia le bellissime versioni di Leopardi e Quasimodo e propone (p. 59):
È tramontata la luna.
Con lei le Pleiadi. La notte
è al suo mezzo. Fugge l’ora
e io dormo, sola.
Al netto di una buona corrispondenza di versi, si tratta di una semplice traduzione di servizio, inutile in una sede come quella di Saffo, la ragazza di Lesbo, dove si poteva osare di più, sia a livello di contenuti che di interpretazioni. Sarebbe stato più interessante inserire una versione in poesia, che offrisse da una parte una critica originale e puntuale ai contenuti e dall’altra una nuova prospettiva su Saffo in generale.
In questa sede ci si può limitare a rilanciare il gioco dell’articolo sopra menzionato con un’altra proposta, in settenari, per restituire parte dell'”indubbio sapore popolare” (Neri 2021: p. 846) che è cifra stilistica dell’intero frammento.
Scomparsa è già la luna
e pure la Chioccetta.
– La notte si fa bruna,
il tempo corre in fretta.
Io son qui, senza alcuna;
la sola che ti aspetta.
In ogni caso, per tornare al libro, la Saffo di Silvia Romani è bellissima, elegante, rivoluzionaria, ma inconsistente come schiuma d’onda, per citare Cesare Pavese (Dialoghi con Leucò). E inesistente.
Diventa più il riflesso di quello che l’autrice avrebbe voluto che Saffo fosse, rispetto a quello che è stata realmente e che non si può ricostruire tanto nel dettaglio.

Punto a capo
A questo si aggiunge un articolo che la stessa Romani ha pubblicato a luglio su Domani, sempre a proposito di Saffo, e in particolare in riferimento al frammento 16 V. A chi volesse approfondire il tema, si rimanda a questa ottima analisi con traduzione a cura di Federico Cinti.
In riferimento ai versi 3-4 ([…] ἔγω δὲ κῆν’ ὄτ- / τω τις ἔραται, “io [dico che la cosa più bella sia] ciò che si ama”, nella versione di Romani a p. 17), l’articolo recita:
“Ciò”: un pronome che non ha alcuna pretesa di declinazione di sesso o di genere, che racconta da solo tutto quel che c’è da sapere sul modo in cui si amava nell’antichità […]. Che di un uomo si tratti o di una donna non ha importanza; il carattere neutro del pronome serve anche a questo, millenni prima dell’oggi: a raccontare di un mondo che non ha bisogno di maschili e di femminili, ma solo di un corpo e di un’anima di cui innamorarsi. Saffo è un’icona LGBT.
Silvia Romani, Saffo, la ragazza di Lesbo che per prima ha descritto la fisiologia di un amore (Domani, 2 luglio 2022)
Alla base di tutto questo la sovrapposizione di genere grammaticale e genere biologico, molto frequente quando il grande pubblico si approccia al linguaggio cosiddetto inclusivo. Lungi dal cercare icone LGBT ante litteram, qui semplicemente “la forma neutra serve ad esprimere il concetto nella forma più generale possibile, benché Saffo stia pensando a persone e non a oggetti” (Neri 2008), in concordanza con il neutro κάλλιστον al verso precedente. Il dettaglio è molto importante per chiarire che la poetessa non sta cercando di nascondere il genere della persona amata in riferimento a un non meglio precisato “mondo che non ha bisogno di maschili e di femminili”.
E questo perché concetti come l’identità di genere, l’orientamento sessuale e il superamento del binarismo maschile/femminile non erano sicuramente parte del pensiero e della cultura di Saffo, che, del resto, dai pochi dati che abbiamo, era sposata e aveva anche una figlia di nome Cleide. L’impressione, come spesso succede in questi casi, è che si voglia a tutti i costi riflettere su Saffo caratteri e forme di pensiero dell’epoca moderna che nulla hanno a che vedere con il VII-VI secolo a.C., forzando ambiente e clima culturale.
In un simile contesto – anacronismo per anacronismo – forse sarebbe stato più adatto al gioco di Silvia Romani il carme 63 di Catullo, “dell’ambiguo sesso”, per citare la definizione che ne diede Alfonso Traina; con come oggetto il mito del giovane Attis, che si evira in Frigia per consacrarsi alla dea Cibele, poi scivola nel sonno dopo un’orgia sacra e infine si dispera per l’accaduto, non potendo in alcun modo tornare indietro nel tempo. E tuttavia anche qui non abbiamo icone LGBT.

(s)Punti critici
In conclusione, vale la pena distinguere due Saffo che si incontrano e si scontrano, si fondono e si confondono all’interno di questo libro.
Da una parte la donna dietro il nome, la poetessa realmente esistita che ha composto versi immortali sopravvissuti a migliaia di anni di storia, in un periodo in cui la poesia era appannaggio quasi unicamente maschile.
Dall’altra, il personaggio che hanno costruito sul suo fantasma i lettori e gli scrittori delle epoche successive, l’eroina che si suicida tra le braccia di Afrodite eternamente destinata a cantare di amore, dolore e abbandono.
Ha senso, dunque, leggere Saffo, la ragazza di Lesbo? Dipende da cosa si cerca. Un lettore interessato a una ricostruzione corretta – per quanto possibile – della vita di Saffo e del contesto in cui si muoveva, dovrebbe forse rivolgersi altrove (vedi bibliografia).

Una persona interessata a leggere una bella storia può trovare un buon libro ben scritto, che andrebbe soltanto presentato come quello che è: un romanzo. E non è cosa da poco. Forse, se Einaudi avesse presentato il volume in una collana come Supercoralli o Stile Libero, al posto delle Frontiere, il risultato sarebbe stato più efficace.
Non [ci] resta che ammettere che la prima Saffo, quella ‘vera’, resta un grande, imbarazzante interrogativo nella storia della letteratura greca (e mondiale) […]. Ma la seconda – quella ‘falsa’, quella dell’immagine con il libro, la penna alle labbra e l’aria assorta […], quella divenuta di volta in volta Omero, Socrate, santa, prostituta, sacerdotessa, etera, maestra di scuola, tribade, e tanto altro ancora – è un patrimonio dell’umanità.
Camillo Neri. Saffo: testimonianze e frammenti (2021): p. 95.
Davide Lamandini
(In copertina In the Days of Sappho, di John William Godward, 1904)
Consigli di navigazione:
- Per leggere i testi originali, si consigliano il completo e monumentale Saffo: testimonianze e frammenti, di Camillo Neri (De Gruyter, 2021) o il più agevole Saffo: poesie, testimonianze e frammenti, a cura di Camillo Neri e Federico Cinti (Rusconi, 2017); interessante anche, per le traduzioni, Lirici greci, di Salvatore Quasimodo (ora Mondadori, 2018).
- Sulla vera-falsa biografia di Saffo, l’introduzione a Saffo. Poesie, di Vincenzo Di Benedetto (BUR, 1987), ma anche Sulla biografia di Saffo, di Vincenzo Di Benedetto e l’introduzione al già citato Neri 2021; più abbordabile e sintetico, Saffo e la poesia d’amore, di Franco Montanari (La Repubblica, 2022). Per le interpretazioni, rimando comunque all’utile bibliografia in appendice a Saffo, la ragazza di Lesbo (pp. 183-194).
- Sul Carme 63 di Catullo, invece, si rimanda all’edizione curata da Francesco Della Corte per la Fondazione Lorenzo Valla (Mondadori, 2010): pp. 117-123 per il testo e la traduzione, 298-303 per il commento.